C’è chi ama quelli cremosi, c’è chi preferisce i profumi intensi del Gorgonzola, c’è chi spera di vedere tra i campi comparire una mucca dal manto lilla e chi, nel 2011, ancora monta in sella a un cavallo per inseguirle e prenderle al laccio.Qualunque sia l’approccio, l’universo “bianco” del latte e dei suoi derivati (in particolare quelli caseari) mantiene indiscutibilmente il suo fascino e rappresenta una punta di diamante della cucina italiana. E non solo della cucina nostrana. Perché se è vero che i consumi di prodotti caseari italiani si mantengono stabili, l’esportazione verso l’estero ha invece registrato un 15 % in più (in termini di valore economico) rispetto all’anno precedente (i dati sono riferiti al 2010) trovando negli Stati Uniti (e nella Germania, Francia e Gran Bretagna) un mercato sempre più attratto dai profumi dei formaggi italiani. A ben vedere, è questa la vera ricchezza del made in Italy: una produzione alimentare sempre più apprezzata e consumata da un pubblico internazionale, quasi sempre reso eruditi dall’incessante promozione fatta dagli italiani nel Mondo, veri e propri baluardi del “gusto italiano”.
Con 14,8 miliardi di euro di fatturato, il comparto lattiero caseario italiano ha permesso di chiudere con la bilancia commerciale all’attivo per 154 milioni di euro, confermandosi una delle migliori industrie di “trasformazione” dell’Italia, capace di coniugare qualità produttiva e bontà delle materie prime, e innestandosi su una tradizione ultracentenaria che pesca nelle radici dell’economia agricola italiana. Primo paese europeo per numero di riconoscimenti conseguiti in campo caseario (36 sono quelli che hanno conquistato le sigle DOP, IGP e SGT, con il dato aggiornato a fine dicembre 2009) l’Italia dei formaggi ripropone lungo lo Stivale quella straordinaria varietà produttiva che affascina i viaggiatori alla ricerca dei sapori e dei gusti inimitabili. Gli americani preferiscono ad esempio quelli a pasta morbida: il taleggio e l’italico ha riscontrato grande successo nell’80% dei clienti statunitensi, aprendo grandi scenari commerciali sui mercati contrassegnati dalla bandiera a stelle e strisce. Anche il grana e il pecorino hanno però conquistato la loro fetta di consumatori, proponendosi come formaggi da grattugia o in compagnia di altre pietanze.32749 aziende produttrici nei settoridel formaggio, 36250 allevamenti e 1695 impianti di trasformazione, 1413 aziende di caseificazione e 1130 di stagionamento rappresentano i numeri di un’attività che trova nel latte vaccino la maggior materia prima per la produzione. Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, seguite da Toscana e Sardegna, rappresentano invece le regioni maggiormente vocate all’allevamento mentre l’Emilia Romagna (con il 9,8%) 59,8%) assume il ruolo di guida nel settore della trasformazione. 492 aziende operano in questa regione per trasformare il latte in prodotto caseario, 349 e 173 sono invece rispettivamente i produttori della Lombardia e Valle d’Aosta, a formare un quadro d’insieme che vede l’Italia seconda in Europa (dopo gli eterni rivali francesi) per numero di produttori di formaggi DOP Asiago, Bitto, Bra, Caciocavallo Silano, Canestrato Pugliese, Casatella Trevigiana, Casciotta d’Urbino, Castelmagno, Fiore Sardo, Fontina, Formaggio di Fossa di Sogliano, Formai de Mut dell’Alta Valle Brembana, Gorgonzola, Grana Padano, Montasio, Monte Veronese, Mozzarella (STG), Mozzarella di Bufala
Campana, Murazzano, Parmigiano Reggiano, Pecorino di Filiano, Pecorino romano, Pecorino sardo, Pecorino siciliano, Pecorino toscano, Provolone Valpadana, Quartirolo lombardo, Ragusano, Raschera, Robiola di Roccaverana, Spressa delle Giudicarie, Stelvio o Stilfeser, Taleggio, Toma piemontese, Valle d’Aosta Fromadzo, Valtellina Casera: questo l’elenco dei prodotti, in rigoroso ordine alfabetico, che hanno permesso all’Italia di incrementare negli ultimi cinque anni del 40% l’esportazione e di impalmare il settore caseario come trainante dello sviluppo all’interno del primo comparto alimentare nazionale. Nonostante l’incalzare dei tanti prodotti di imitazione che insidiano il mercato interno italiano a scapito della filiera nazionale.