Quando pensiamo a L’Odissea di Omero, immaginiamo divinità e ciclopi, mari in tempesta e isole lontane. Ma, per Uberto Pasolini, produttore e regista italiano trapiantato a Londra, il vero mito è quello dell’uomo comune, del padre, del marito che cerca di tornare a casa dopo anni di lontananza.
“La mia passione per quest’opera è antica”, confessa Pasolini, con il sorriso di chi ha coltivato a lungo un sogno. “Adesso mi rendo conto che la vera storia non sono gli dei, ma gli uomini. Io stesso mi sento un po’ come Ulisse: non ho combattuto in guerra, ma ho passato tanto, forse troppo, tempo lontano da chi amo”. E come dargli torto? Trenta anni per portare questa versione de L’Odissea sul grande schermo – Ulisse avrebbe potuto tornare a Itaca due volte in quel tempo!
Scritto da Pasolini, John Collee ed Edward Bond, The Return, presentato alla Festa del Cinema di Roma, nella sezione Grand Public, e in uscita negli Stati Uniti il 6 dicembre, non si preoccupa troppo di rimanere fedele al testo originale. Il film sceglie invece di concentrarsi su una parte specifica del racconto. “Non mi interessava mostrare avventure spettacolari,” spiega Pasolini, “volevo esplorare il significato del ritorno a casa. Cosa significa davvero tornare da chi hai lasciato? E chi diventi, quando finalmente torni”?
Ralph Fiennes dà vita a un Ulisse diverso: “Non è più il re di Itaca,” dice l’attore inglese, “è solo un uomo spezzato, un uomo che fatica a riconoscersi dopo anni di battaglie. Il ritorno per lui è un viaggio di guarigione, ma non sa se riuscirà mai a rimettere insieme i pezzi di sé stesso”.

Ulisse non è solo. Ci sono due figure fondamentali che lo aspettano, e che lo rendono ancora più umano. Juliette Binoche interpreta una Penelope intensa, ma lontana dall’immagine della regina che attende paziente. “Pensavo che sarebbe stato difficile interpretare una figura così mitica”, confessa l’attrice francese, “ma alla fine ho scoperto una donna sola che cerca di proteggere suo figlio”. E chi può capire meglio questa solitudine e questa lotta silenziosa se non una madre moderna? In Penelope vediamo riflesso il volto di tante donne che, giorno dopo giorno, portano avanti la loro battaglia silenziosa, senza clamori, senza riconoscimenti, ma con una forza disarmante.
Uno degli elementi chiave è il personaggio di Telemaco, Charlie Plummer, che finalmente trova lo spazio che merita. “Nei tentativi cinematografici precedenti è stato spesso trascurato”, sottolinea Pasolini, “eppure la sua lotta per affermarsi come uomo, per uscire dall’ombra del padre, è qualcosa che tocca ogni generazione”. Telemaco è un giovane uomo in bilico tra la venerazione per un padre che non c’è mai stato e il desiderio di essere sé stesso. Insomma, una dinamica familiare che, se ci pensiamo bene, potrebbe benissimo riguardare le nostre case di oggi, con figli che cercano di emanciparsi dall’ingombrante figura paterna.
The Return è anche una potente critica alla guerra e a quello che lascia dietro di sé. “Il vero mostro non è Polifemo o Scilla,” sottolinea Pasolini, “è la guerra e i suoi orrori”. È lei che distrugge chi parte e chi resta”. Dopo aver approfondito le testimonianze dei reduci del Vietnam e le difficoltà del loro reinserimento nella vita familiare, il regista di Still Life e Nowhere Special, Una storia d’amore, ha compreso che una vicenda vecchia di 3000 anni è ancora incredibilmente attuale. Al centro c’è un uomo che torna in patria ma è segnato per sempre: vede la guerra ovunque, consapevole che è sempre lì, in agguato, pronta a ripresentarsi.
Sono passati 70 anni prima che Omero tornasse sul grande schermo, e questo film riesce a offrire una prospettiva inedita su una storia immortale. Pasolini ci ricorda che i miti, lungi dall’essere semplici leggende remote, sono riflessi di ciò che siamo oggi. Ulisse, Penelope, Telemaco sono persone reali con emozioni, dubbi e dolori. Per questo The Return risuona così forte dentro di noi. È un viaggio epico, sì, ma è anche il viaggio di ciascuno di noi verso casa, verso noi stessi e verso chi amiamo.