Era alta, ben vestita, con l’aria snob di chi è uscito dalla Yale Drama School provenendo dalla upper class newyorkese, era diversa. Perfetta per ruoli diversi. Come quello di Ripley in Alien del 1979 che l’ha lanciata nel firmamento hollywoodiano e tutti quelli che sono seguiti. Sigourney Weaver ha ricevuto a Venezia il Leone d’Oro alla carriera dal Festival e con la consueta ironia ha parlato di sé, delle cose del mondo, del cinema italiano.
“Mi sono innamorata del cinema grazie ai film di Fellini, Antonioni, De Sica. – ha detto – La vostra è una cinematografia che continua a dare spazio agli autori.” E ha aggiunto scherzando: “Registi italiani, fatevi avanti: sono disponibile.” Ad averlo un copione adatto ad una attrice che è stata Diane Fossey in Gorillas in the mist, Gwen/Tawny in Galaxy Quest, Dana Barrett in Ghostbusters, Jill Bryant in The Year of Living Dangerously, la ricercatrice Grace Augustine in Avatar e Kiri in Avatar: The Way of Water e farà parte dei prossimi in preparazione. A 75 anni Sigourney Weaver continua a lavorare tantissimo, ha appena finito le riprese del thriller Dust Bunny in Ungheria accanto a Mads Mikkelsen.
Cosa alimenta questo amore interminabile per il cinema ?
Sono stata fortunata, ho ricevuto tanti copioni interessanti per film così diversi fra loro nella mia carriera, perché dovrei fermarmi? È così eccitante. Ora ho due altri Avatar da fare dopo averne fatti già tre! E in più da qualche parte nel mondo hanno deciso che le donne mature possono interpretare personaggi complessi e hanno cominciato a scriverli. Improvvisamente non siamo più solo la suocera o simili ma persone vere per un pubblico fatto di persone vere.
Tanti personaggi molto speciali, donne potenti…
Le donne possono essere tutto, io ho interpretato donne normali. Penso alle donne che lottano contro il cambiamento climatico e altre crisi in tutto il mondo, a quelle che si prendono cura delle loro famiglie, dei bambini: sono tutte in prima linea. La mia ispirazione è ciò che vedo, le donne vere. Noi non venivamo riconosciute per quello che abbiamo sempre fatto, le donne sono sempre state capaci. Mi si chiede perché interpreto donne forti e io penso che io interpreto donne e le donne sono forti le donne non cedono e sapete perché? Perché non ce lo possiamo permettere, dobbiamo resistere.
Ma pensa che avere portato queste donne sul grande schermo abbia creato un immaginario femminile più potente, abbia preparato per un momento storico come la corsa alle presidenziali di Kamala Harris?
Siamo tutti molto eccitati per la corsa di Kamala, pensare che il mio lavoro possa essere servito in qualche modo a spianare la strada verso l’ascesa di donne come lei mi rende estremamente felice e sono in molti a ringraziarmi facendo questa connessione. Abbiamo passato momenti difficili dopo il 2016 e siamo grati che lei ci sia.
E lei da chi è stata ispirata?
Ingrid Bergman, ho lavorato con lei, il mio primo lavoro, me lo ha dato Sir John Gielgud. Abbiamo fatto una tournée insieme portando in scena The Constant Wife di Somerset Maugham. E lei è sempre stata molto gentile con me e meravigliosa.

Chi l’ha fatta innamorare del cinema?
Lavorare con Peter Weir. Prima di incontrarlo avevo fatto Alien che mi sembrava una avventura bizzarra, poi Eyewitness, e non amavo il cinema, mi mancava il teatro. ma quando ho incontrato Peter Weir (The year of living dangerously ndr) le cose sono cambiate mi sono innamorata del cinema e non mi è mai passata.
Suo padre era un importante produttore televisivo e sua madre una attrice. Le loro professioni hanno influenzato la sua scelta di fare l’attrice?
Mio padre è stata una grossa ispirazione perché tornava a casa tutte le sere con il sorriso. Io ero piccola e penso che vederlo così contento del suo lavoro mi ha attratto verso questo business più di ogni altra cosa. Mio padre ha dato inizio alla televisione via cavo e nel 1962 è stato fatto fuori illegalmente eppure non è stato mai amaro non ha mai mollato. Ma quando ho cominciato a fare i colloqui per i ruoli io sapevo che non sarei stata scelta e facevo quello che mi pareva, mi sentivo molto libera. E i miei erano convinti che non ce l’avrei fatta, pensavano che mi avrebbero divorato, dicevano che il business era una mafia.
Anche lei non credeva che ce l’avrebbe fatta?
Sì ricordo che alla laurea ho pianto, la persona dell’Università di Yale che mi doveva aiutare a trovare lavoro mi ha detto: “ovviamente tu proverai a entrare in televisione….” Le ho risposto che avrei lavorato da un fioraio, o un panettiere, o avrei fatto l’impiegata di banca almeno avrei toccato del denaro anche se non mio… Ma i miei amici mi chiamavano continuamente per i loro piccoli lavori in teatro e con il tempo mi sono detta: non mi pagano, ma lavoro e mi diverto. Poi finalmente ho trovato il primo lavoro retribuito, al Public Theatre, in una commedia di John Guare, e mi sono detta: allora lo posso fare! I miei genitori erano i più sorpresi….