Grande attesa, grandi nomi, grandi film. Il festival di Venezia, dal 27 agosto al 7 settembre, alla sua 81esima edizione ruggisce. Il leone del suo simbolo mostra gli artigli. Alberto Barbera al suo tredicesimo anno di direzione, riconfermato dal neopresidente Buttafuoco e dalla destra di governo, strappa definitivamente al rivale Cannes il primato di festival del cinema. Come? Un tappeto rosso da Hollywood Boulevard, con Angelina Jolie e Brad Pitt opportunamente dislocati a due giorni di distanza per evitare baruffe chiozzotte in pubblico, Lady Gaga e Joaquin Phoenix, Nicole Kidman e Antonio Banderas, Julianne Moore e Tilda Swinton insieme a Pedro Almodovar. E ancora: Jude Law, Daniel Craig, Cate Blanchett, Monica Bellucci al braccio di Tim Burton, Peter Sarsgaard forse con la moglie Maggie Gyllenhaal, Kevin Costner. E i leoni alla carriera Sigourney Weaver e Peter Weir e ancora Claude Lelouch e la presidente di giuria Isabelle Huppert.
E chi non ha un film, come Richard Gere, passerà lo stesso in laguna per la serata dell’AmfAR all’aeroporto Nicelli il 1 settembre o, come Oprah Winfrey, per andare ospite di Diane Von Furstenberg all’Arsenale a Venezia, il 29 agosto.
Arriveranno tutti con grande sfarzo di motoscafi, abiti, gioielli. Suite per le megastar da 16mila euro a notte, alberghi tutti esauriti, pensioni, airbnb, persino le stanze dismesse per i reporter affannati in corsa in bicicletta fra un film e l’altro.
Il festival è un big business, e lo è ancor più negli ultimi anni, da quando con fiuto da grande burattinaio Barbera ha iniziato a proporre film che hanno poi vinto l’Oscar, selezionato megaproduzioni e insieme pellicole di registi sconosciuti, creando mix insieme raffinati e mondani, per ogni esigenza. Film più commerciali e più politici, più accessibili e più cerebrali. 4000 le pellicole selezionate quest’anno per arrivare alla scelta ufficiale. Barbera racconta che prima che lui arrivasse a Venezia, gli studios hollywoodiani preferivano andare al Festival di Toronto, più vicino, meno costoso. Poi lui si è accaparrato Gravity di Cuaron. Lo ha presentato in apertura, era il 2013, e il film ha poi vinto l’Oscar per il miglior regista, guadagnato 700 milioni di dollari, consacrato Cuaron e insieme Barbera e la Mostra. Da allora ogni edizione ha avuto film da Oscar. Birdman e Spotlight, poi La La Land, A Star Is Born, Joker, Dune e Tar. L’anno scorso, a dispetto dello sciopero, c’erano i film di Sofia Coppola, Ava DuVernay, Michael Mann e il regista greco Yorgos Lanthimos che ha vinto il Leone d’oro con Poor Things per poi portare a casa quattro Oscar, fra cui quello di migliore attrice per Emma Stone. Ma gli studios ormai preferiscono Venezia anche a Cannes. Il sorpasso è avvenuto con un altro film di Cuaron, Roma. Cannes lo aveva snobbato perché pronto per Netflix, piattaforma nemica del cinema d’autore quindi da boicottare, Barbera non si è fatto tanti scrupoli, lo ha preso, e Roma ha vinto sia il Leone che l’Oscar.
Fiuto per i film e capacità di seduzione degli studios e delle star hanno riportato anche il pubblico al Lido: raddoppiati i biglietti venduti, oltre tremila giornalisti accreditati provenienti da tutto il mondo, e lunghe file di giovani al Venice Immersive, selezione di realtà virtuale all’isola del Lazzaretto Vecchio (undicimila le prenotazioni lo scorso anno).
Quest’anno madrina del festival sarà l’attrice romana Sveva Alviti che condurrà le serate di apertura e chiusura. La Mostra inizierà con un omaggio a Vittorio De Sica per i 50 anni dalla scomparsa: L’oro di Napoli (1954), con lo stesso De Sica, Totò, Sophia Loren, Silvana Mangano, Paolo Stoppa, nella versione restaurata da Cinecittà. Ricorda Martin Scorsese in My Voyage to Italy, che “L’oro di Napoli a New York veniva trasmesso in televisione, e tutti nel quartiere lo rivedevano ogni volta e lo amavano molto.”
L’apertura ufficiale sarà il giorno dopo con Beetlejuice Beetlejuice di Tim Burton, sequel del pluripremiato Beetlejuice (1988). Presentato fuori concorso, è interpretato da Michael Keaton, Winona Ryder, Monica Bellucci e Willem Dafoe. Il festival si chiuderà con un altro film fuori concorso, L’Orto Americano di Pupi Avati, un viaggio dalla Bologna della liberazione al profondo Midwest.