La storia di Enzo Ferrari. Nell’immaginazione di Michael Mann, l’interpretazione di Adam Driver. Dove la moglie di Ferrari è Penelope Cruz e l’unica italiana è Daniela Piperno nel ruolo della madre odiosa (gli altri interpreti sono Shailene Woodley, Sarah Gadon, Gabriel Leone, Jack O’Connell and Patrick Dempsey). Una bella sfida. Il regista ottantenne di sfide ne ha affrontate tante, come la star Driver, ma quanto entrambi riescono a calarsi nello spirito dell’Italia post seconda guerra mondiale? Della vita di provincia nel 1956? La ricerca dei dettagli e dell’accuratezza è ossessiva, come ha detto lo stesso regista in conferenza stampa al Festival di Venezia, dal rumore dei motori, quello originale, quello delle Ferrari diverso da quello delle Maserati, bellissimo ha commentato, alla fabbrica di Maranello, agli interni dove vengono preparati i ravioli e servita la pasta. E poi Modena: dagli sfondi della Ghirlandina alla via Emilia, teatro di una fase cruciale della Mille Miglia, i portici rossi, il mercato, il barbiere. “Vivevamo lì, durante le riprese, uscivamo e svoltato l’angolo c’era il barbiere dove Ferrari faceva la barba, il teatro dove ascoltava l’opera – ha spiegato il regista – e il film lo abbiamo fatto correggendolo via via con una attenzione ossessiva verso i particolari.” E ancora: le scene iniziali in bianco e nero in cui il volto di Driver alla guida di una macchina da corsa si alterna a immagini documentarie delle corse di Ferrari di inizio secolo, alle repliche perfette delle macchine dell’epoca, “quelle vere non me le hanno fatte toccare, non si fidavano”, ha scherzato Driver, eppure il film non convince affatto. Qualcuno fra i giornalisti in sala ha detto “se fosse una Ferrari dovrebbe tornare in officina per una revisione completa”. La metafora è calzante. Troppe scene nelle case, con le mogli, amanti, madri, concittadini, troppi dettagli di vita necessari forse a chi quella vita non la conosce bene e ne è affascinato. Ma inevitabili rallentamenti di un ritmo che, come vuole il cavallino dovrebbe essere rampante.

Mann si sofferma sulla vita privata di The Drake, come veniva chiamato Ferrari, sull’anno 1956, centrale a suo avviso. “Quando rappresenti un personaggio così la sua vita ha influenze maggiori di quello che può sembrare e in quell’anno la sua azienda stava fallendo, lui era prostrato dal dolore per la scomparsa del figlio, il suo matrimonio stava andando a rotoli e tutte queste crisi, comuni a molti esseri umani, a lui succedono insieme in quello spazio temporale.”
Mann non faceva un film dal 2015, a questo pensava da tempo, lo ha scritto con Troy Kennedy Martin poi ha mandato il copione a Driver. “Ho sempre voluto lavorare con lui e quando ho visto il copione così pieno di dolore di conflitto interiore, il rapporto con la madre, la perdita del figlio, la difficile relazione con la moglie sua partner nella azienda, mi è sembrato entusiasmante.”
Driver è a Venezia nonostante lo sciopero che impedisce alle star hollywoodiane di promuovere i loro film, ma Ferrari non è prodotto da una major e questo ha reso possibile la sua partecipazione. Inevitabile però la domanda sulla protesta.

“Sono felice di essere qui – ha detto – per sostenere questo film che abbiamo realizzato in tempi brevi con grande sforzo collettivo. Ma mi chiedo perché una piccola compagnia di distribuzione come Neon e STX International può venire incontro alle richieste dei sindacati di Hollywood , siamo nei negoziati iniziali, e una compagnia grande come Netflix o Amazon non può? Ogni volta che artisti iscritti al sindacato sostengono un film che ha mantenuto i termini dell’accordo evidenzia che sono disposti a collaborare con chi prova a collaborare, non gli altri.”
Driver, reduce dall’interpretazione di un altro italiano famoso, Gucci, nel film con Lady Gaga nel ruolo della moglie assassina, ha spiegato che per lui è un privilegio potersi immergere in realtà che non conosce, in mezzo a persone diverse da lui, empatizzare con loro. “Stare sul posto ti permette di capire molte cose – ha detto – e questo è il bello del fare l’attore, per un periodo lungo sei costretto a vivere ed empatizzare con persone diverse da te. Ma alla fine il tuo compito è quello di attenerti alla sceneggiatura e creare il tuo personaggio, fare lavorare la tua immaginazione. Certo interpretare qualcuno che ha radici culturali diverse è una responsabilità maggiore.”
Una responsabilità sulla quale si era soffermato Pierfrancesco Favino durante la conferenza stampa del suo film quando in perfetto inglese ha sottolineato che non si capisce perché i ruoli di italiani non possano essere interpretati da italiani. “Ci sono tanti giovani attori di talento che parlano inglese meglio di me e che aspettano solo la loro occasione” ha detto. Una piccola polemica a distanza per animare un po’ i primi giorni di festival.
Ferrari uscirà nelle sale italiane il 25 dicembre.