Il secondo film a firma italiana in Concorso alla 79° Mostra del Cinema di Venezia è Monica, opera di Andrea Pallaoro, che come i suoi precedenti film si concentra sull’intimo dell’essere umano. Pallaoro aveva già conquistato il pubblico a Venezia ’70 con Medeas (2013), nella sezione Orizzonti e aveva già debuttato nel concorso principale con Hannah (2017), che aveva portato la Coppa Volpi a una bravissima Charlotte Rampling.
Il regista trentino vive e lavora negli Stati Uniti e da sempre gira in lingua inglese. Non fa eccezione questo Monica, racconto di una transgender che aveva abbandonato la sua famiglia nel Midwest in età adolescenziale e vi ritorna ora come donna, in età matura, per cercare di riconciliarsi con la stessa famiglia che l’aveva rifiutata e per affrontare gli ultimi tempi di vita di sua madre, malata di cancro. È l’occasione per incontrare nuovamente la sua famiglia e il suo passato, per fare un bilancio della sua esistenza, mentre la madre sembra, almeno inizialmente, non riconoscerla, lasciando intendere un passato di difficoltà di relazione e il rifiuto da parte della famiglia delle scelte di genere della figlia transessuale.
Il nuovo film di Pallaoro è totalmente incentrato sulla performance dell’attrice Trace Lysette (Hastlers), il cui contributo si gioca sul sottile confine tra fiction e realtà, come ha lei stesso affermato in conferenza stampa: “indubbiamente l’esperienza della mia vita di trans mi ha aiutato ad interpretare questo ruolo. Ho sofferto personalmente per la scelte della mia vita, questo mi ha permesso di calarmi nel ruolo di Monica. Non c’è nessuno che conosce Monica meglio di te – mi ha ripetuto varie volte Andrea sul set – e questo mi ha dato una forte motivazione e sicurezza di me”.

La trama è caratterizzata da dialoghi molto asciutti, brevi e aridi di spiegazioni. La cinepresa di Pallaoro induce a lungo in riprese statiche (static shot) per enfatizzare il tono di intimismo della sceneggiatura, rafforzata dai toni caldi e stemperati della fotografia (Katelin Arizmendi).
Un film di corpi, Monica, che tenta di far emergere emozioni e sentimenti dei personaggi attraverso volti e sguardi. Girato in una frame ratio quadrata, 1:1, in Monica si fa ampio uso del ‘fuori campo’ “per permettere di analizzare più a fondo il rapporto fra esterno ed interno, tra psicologico e fisico”, ha spiegato il regista durante la conferenza stampa.
Se Lysette ha portato nel film i sentimenti della sua esperienza personale, Andrea Palladoro ha arricchito il film con la recente esperienza della malattia della madre, nel film interpretata da Patricia Clarkson (Sharp Object). Una volontà specifica di offrire al pubblico parti delle vite private di chi il film lo ha confezionato e interpretato. Nonostante i tanti temi affrontati nel film, quali la diversità, l’abbandono e il rifiuto, il ritorno, la vecchiaia, la riscoperta di antichi valori (la bellezza della vita famigliare, nonostante le conflittualità, e la serenità devoluta dalla presenza dei bambini), colpisce che il film si sviluppi con pochi dialoghi monosillabici, lunghi silenzi interrotti solo da qualche polisillabo e profondi sospiri. Una sceneggiatura che più che guidare lo spettatore verso una storia strutturata, lascia spazio a libere interpretazioni.
La distribuzione del film è programmata per la fine del 2022.