Ad aprire la zione “Orizzonti”, nella prima giornata della 79ª Mostra del Cinema di Venezia, è Princess, film di Roberto De Paolis, con Glory Kevin come interprete principale, secondo lungometraggio del regista dopo Cuori Puri del 2017.
In apertura, titolo e cast vengono presentati attraverso i caratteri di un libro di favole, a cui fa contrasto stridente una colonna sonora da film del terrore.
Il film narra la storia di un gruppo di ragazze nigeriane che per sopravvivere e pagare i debiti che hanno contratto con la protettrice, si prostituiscono sin dal loro arrivo in Italia. E, come tutti i personaggi della favole, anche loro vivono una parte della loro giornata nel bosco, dove, invece di incontrare i principi azzurri, incontrano attraverso il loro lavoro, i principi oscuri, figure opache della società, che utilizzano e sfruttano sessualmente le ragazze nigeriane, cittadini di una Italia “dove niente funziona”, fa dire il regista aa uno di questi uomini sinistri.
Il regista tocca superficialmente le motivazioni sociologiche sia della prostituzione, sia dello sfruttamento della stessa, e cerca nel contempo di scavare più a fondo nell’animo della protagonista Princess, diciannovenne che scambia il proprio corpo con il denaro, dove il denaro finisce per diventare il co-protagonista nel film.
Nel suo ‘lavoro’, la nostra Princess sperimenta diversi livelli di degrado al punto tale che il decadimento sconfina oltre la realtà ‘lavorativa’. Il gruppo di ragazze nigeriane, infatti, trasferisce nei loro rapporti interpersonali la rabbia, la tristezza, la violenza e l’aridità delle emozioni che le attraversano. La loro convivenza non si basa su rapporti di amicizia, di solidarietà, di compassione, ma sono contemplati solo rapporti utilitaristi e competitivi. Un mondo dove, in modo non tanto celato, si nascondono gelosie e invidie e dove l’unico obiettivo è la ricerca del denaro, ambito da tutte. Una sottocultura che si manifesta in atteggiamenti di infantilismo, di pochezza di spirito e immaturità.
Anche la loro vita privata viene caratterizzata da una sessualità volgare, che si immette nelle loro conversazioni, nei loro giochi o scherzi della vita di tutti i giorni. Come se per un effetto alone il loro ‘lavoro’ riesca a macchiare anche il profondo della loro anima, creando la difficoltà di tenere a distanza dai loro sentimenti l’imbarbarimento che una tale crudele realtà produce.
La protagonista Princess si illude che attraverso un meccanismo di dissociazione della mente dal suo corpo possa “non sentire dolore, perché il mio corpo appartiene ad un’altra donna lasciata in Nigeria”, confessa. Una difesa psicologica che pagherà con un prezzo emotivo di rilievo: non sentire dolore significherà che il suo cuore è diventato la parte fredda del suo corpo. Cosi, quando alla Principessa verrà offerta l’opportunità di cambiare vita, di integrare la sua cultura nigeriana con la cultura italiana, di sentirsi amata e di amare, non sarà in grado di cogliere la positiva occasione, non riuscendo ad interpretare nella giusta prospettiva una nuova realtà da lei percepita troppo estranea e troppo lontana. Del resto, Princess ha da sempre scambiato il denaro con l’amore, negando a se stessa il sogno delle favole.
Il regista De Paolis ha voluto affrontare una tematica molto angosciante e talvolta indigeribile. “Ho costruito Princess fondendo il mio punto di vista con quello di alcune ragazze nigeriane vittime di tratta, che hanno poi interpretato i diversi ruoli”, dice lo stesso De Paolis. Tuttavia, la sensazione è che, in questo caso, l’uso di attrici non professioniste, per quanto sia un forte elemento di realismo, finisca anche per diventare un limite, rendendo alcuni passaggi della trama fin troppo semplici e privi di una profonda analisi psicologica dei personaggi che una storia così intensa avrebbe meritato.