Ancora al Teatro Massimo Vittorio Emanuele di Palermo il seguito del teatro-inchiesta su una verità mistificata da trent’anni: le vicende della più grande tragedia di mafia, i 57 giorni tra l’assassinio di Falcone e quello di Borsellino.
Chi giunge a Palermo via aerea, appena si affaccia alla scaletta, viene accolto da una lunga scritta “Aeroporto Falcone-Borsellino”, la sola cosa che ha potuto concretamente realizzare questa città. Per il resto ci sono la nebbia e gli oscuri interrogativi, il tacito arcano su fatti di cui tanti, troppi furono i protagonisti.
In questo ultimo 13 maggio, il Massimo ha concluso con l’opera-inchiesta Cenere ,trilogia dedicata a quelle stragi del 1992 in cui morirono Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino nonché gli agenti delle scorte Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Si era cominciato nel 2017, nel 25°, con Le parole rubate di Gery Palazzotto e Salvo Palazzolo, musiche di Marco Betta, Orchestra del teatro Massimo, diretta dal giovane maestro Yoichi Sugiyama, recitata con intensa partecipazione da Ennio Fantastichini, motion capture del regista Giorgio Barberio Corsetti.
Il loro secondo episodio, I traditori, fu recitato con passione nel 2019 da Gigi Borruso, diretto dal regista Alberto Cavallotti, due pianoforti e un contrabbasso, musica di Marco Betta, Fabio Lannino e Diego Spitaleri, «perché la musica è intrecciata con la narrazione, è un’opera-inchiesta».
«Falcone, Borsellino, ma anche Dalla Chiesa, Cassarà: c’è un metodo del delitto a Palermo. Quando escono di scena i killer di Cosa Nostra, arrivano i traditori che sottraggono, manipolano. Fondamentale che un teatro autorevole trovi il coraggio di mettere in scena le prove di un grande inganno». E ne hanno avuto coraggio. Così si riflette: «“Se fosse qui con me, chiederei al diavolo come ha fatto a progettare un piano così sottile con una materia così grossolana: mafiosi, tritolo, terra, carne, sangue, lamiere. Come ha fatto a ingannarci sbattendoci in faccia gli indizi, anziché nasconderli. Come ha fatto a immobilizzare la giustizia per tutti questi anni inventando piste di indagine al limite del grottesco. Come ha fatto a rendere tutto ciò plausibile, senza che nessuno di quelli deputati al controllo si accorgesse di nulla. E soprattutto gli chiederei una cosa. Come ha fatto a dare fiducia ai traditori”» (presentazione teatro).
Quest’ultima pagina dell’opera-inchiesta di Gery Palazzotto, Cenere, propone una indagine e analizza i principali passaggi processuali tra omissioni e deviazioni, invenzioni e credibilità. Sulla scena i faldoni del processo e un’orchestrina di pianoforte, viola e violoncello di Antonino Saladino che commentano la narrazione ancora con musiche di Betta, Lannino e Spitaleri. E ancora Gigi Borruso che si sdoppia e triplica nell’esposizione della verità, strumenti mediatici nuovi e originali, presentati su uno schermo con le elaborazioni grafiche di Azzurra Messina, il videomaking di Antonio Di Giovanni e Davide Vallone, gli artworks di Francesco De Grandi. Le sequenze narrative sono intermezzate e reinterpretate dai movimenti dei corpi dalle coreografie ideate ed eseguite da Alessandro Cascioli e Yuriko Nishihara. A chiusura un originale intervento musicale, una vera e propria prova orchestrale, quando si alza la cortina di fondo dello schermo e il maestro Michele de Luca dirige la Massimo Youth Orchestra.

Quale verità si può oggi ricavare da un trentennale depistaggio, il più surreale e lontano da qualsiasi labile forma di giustizia democratica? Certo, la nostra Repubblica nacque con un peccato originale di depistaggio e di mistero con la strage di Portella delle Ginestre al raduno sindacale del 1° maggio 1947 e proseguì con l’oscura strategia della tensione tra bombe di Brigate rosse e nere fino all’assassinio Moro.
Non si può che essere d’accordo con la presentazione di locandina: «Cenere è un’opera globale che usa nuovi linguaggi per affrontare vecchie ferite collettive. Una sorta di lente di ingrandimento che analizza i passaggi fondamentali che portarono a quell’indecente capolavoro criminale che è – per definizione dei giudici – il più clamoroso depistaggio dell’Italia repubblicana» (da Highlights del Teatro).
L’inchiesta segue questa surreale sequenza di anomalie, bugie e falsità, tra oscuramenti ed omissioni, colpe riconosciute e mai espiate, parole non dette. Da quei boati, lungo l’autostrada presso Capaci verso l’aeroporto che segna con un monumento il punto di esplosione, in quella via D’Amelio davanti alla casa della madre di Borsellino: quella terra sconvolta tra rottami e brandelli di corpi, quelli irresponsabili e fuori ragione delle scorte. E il Caos, quasi stasi primordiale da cui non si salvò il mondo, tra giudici collusi o incompetenti e criminali presi per innocenti, comparse e sinceri pentiti nello scambio delle parti. Ideatori e promotori oscuri messi in scena nella interminabile serie di processi e insabbiamenti. Ad offesa dell’intelligenza comune e della verosimiglianza. Qui sono esposti i fatti, con nomi e cognomi di comprimari e controfigure. Per concludere che quello che resta è “cenere”.
Con questa terza domanda della trilogia il cerchio è chiuso? Per nulla, se continuano a prevalere i punti interrogativi e l’impossibilità di riportare indietro la pellicola, scomparsi tanti protagonisti e muffite e incenerite tante carte. Qual è la verità, ripete il narratore. Dallo scorrere dei fatti, sentenze fino ai tre gradi e riapertura di indagini, in una reiterata eclissi della giustizia per comandamento “uguale per tutti”, il giornalista e scrittore Gery Palazzotto, apre il gioco con il depistaggio Borsellino, protagonista il giudice Tinebra e i vari gradi degli inquirenti fino ai servizi segreti per tornare alla questione di partenza: quale è la verità?
«Quest’opera è una forma di preghiera interiore, al tempo stesso commemorazione e narrazione di una tragedia del nostro tempo – dice Marco Betta, sovrintendente del Teatro Massimo, che dà la sua diretta prova al pianoforte –, da compositori ci siamo perduti ognuno nelle musiche dell’altro per trovare un’armonia, una musica per la verità. L’arte ha il potere di svegliare le coscienze sui grandi temi della civiltà. E allora restituiamo agli spettatori un nuovo prototipo di opera del Novecento, dove tutte le arti agiscono all’unisono per filtrare la realtà».