Sta per volgere al termine una esauriente retrospettiva in celebrazione del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini: Carnal Knowledge – The films of Pier Paolo Pasolini (17 febbraio – 12 marzo), realizzata in collaborazione con Cinecittà presso l’Academy Museum of Motion Pictures – inaugurato il 30 settembre scorso a Los Angeles su progetto del geniale architetto genovese, Renzo Piano.
La sala “David Geffen” – con i suoi mille posti tappezzati di rosso, nonché un impianto audio Dolby di ultima generazione e un elegante e innovativo sipario tagliafiamma anch’esso in rosso – ha fatto opportunamente da cornice alla prima della rassegna di un cineasta sanguigno, quale Pasolini.
Antipasto succulento della serata è stata la testimonianza preziosa di Dante Ferretti – celeberrimo scenografo maceratese per tre volte vincitore di premi Oscar – che ha solleticato l’appetito in attesa della proiezione di Accattone (1961), debutto cinematografico di Pasolini, splendidamente restaurato e digitalizzato da Cinecittà e la Cineteca di Bologna.
A inizio anni ’60, mentre ancora frequenta l’Accademia di belle arti di Roma, tramite l’intercessione di un conoscente Dante conosce Luigi Scaccianoce, scenografo affermato che diverrà presto collaboratore assiduo di Pasolini.
“Il Vangelo secondo Matteo (1964) è stato il primo film di Pasolini a cui ho collaborato in qualità di assistente scenografo. Siccome Scaccianoce era impegnato in altri film, ho dovuto mettermi alla prova per realizzare la visione del regista. Pasolini, in seguito ad alcuni sopralluoghi in Palestina, aveva deciso di ambientare il film nel Sud Italia, principalmente tra i Sassi di Matera. Il compito di ricreare la giusta atmosfera, che potesse trasportare gli spettatori tra i luoghi sacri della cristianità, è stato tutt’altro che semplice. Pasolini mi ha insegnato tanto.”

Ferretti si dimostra subito all’altezza e viene riconfermato assistente scenografo per il successivo film surreale e poetico: Uccellacci e uccellini (1966), sapiente connubio di ideologia marxista e pauperismo francescano, in cui la “maschera” tragicomica di Totò e la spumeggiante fisicità di Ninetto Davoli troneggiano sul paesaggio brullo e alienante della periferia romana.
Non appena lo scenografo menziona la sua collaborazione al primo lungometraggio a colori di Pasolini: Edipo Re (1967) – adattamento ricco di influssi freudiani dell’omonima tragedia sofoclea – il moderatore della serata nonché curatore della rassegna, Bernardo Rondeau, sottolinea il ritorno di Franco Citti quale interprete protagonista, dopo il felice esordio in Accattone.
Dante Ferretti nega l’evidenza, ribattendo con un perentorio: “No.” Il pubblico prorompe in una fragorosa risata. Poi, l’ospite prosegue: “Mi scuso, ma sono passati più di cinquant’anni e non ricordo più molto bene.”
“Io, Scaccianoce, un line producer ed un paio di membri della troupe andiamo in Marocco per dei sopralluoghi. Prima a Casablanca, poi a Marrakesh ed, infine, ad Ouarzazate. Quest’ultima consisteva in un’unica strada, con un bazar e un piccolo albergo francese da un lato, una locanda dall’altro, ed un ospedale al termine della stessa. Dopo pranzo, Scaccianoce si accomiata, dicendoci che deve tornare in Italia per lavorare ad un altro film. Qualche giorno dopo, Pasolini ci raggiunge in Marocco e mi chiede di Luigi. Gli spiego la situazione e lui mi dice: «Meglio così.» Ancora una volta, volente o nolente, sono stato io a dover prendere in mano le redini della situazione. Dopo aver scelto Ouarzazate e dintorni come location, procedo a reimmaginare gli esterni in stretta collaborazione con Pasolini. Il regista mi incarica, poi, di tornare nei teatri di posa della Dino De Laurentiis Cinematografica di Roma per controllare se il lavoro fin lì svolto da Scaccianoce si armonizzasse con gli esterni. Ho dovuto rifare tutto da capo. In seguito, quando Pasolini torna a Roma, congeda Scaccianoce e si complimenta con me per aver dato perfettamente corpo alla sua visione”.
A questo punto, Dante Ferretti non sa bene come proseguire e scherza a proposito della sua età: “Sono molto giovane, però la memoria mi ha abbandonato dietro le quinte”. Il pubblico ride e applaude fragorosamente.
“Successivamente, Scaccianoce ed io lavoriamo al Satyricon (1969) di Fellini. A metà riprese, il regista vuole utilizzare una sorta di beige sul set, ma nessuna delle tonalità proposte da Scaccianoce lo soddisfano. Io mi accorgo di un pezzo di cartone sul pavimento, lo raccolgo e propongo di impiegare quella sfumatura di marrone. Fellini, entusiasta, si complimenta con me per l’ottima scelta. A quel punto rimpiazzo Scaccianoce in qualità di scenografo per la seconda metà del film, le cui riprese si svolgono sull’isola di Ponza”.
Appena terminate le riprese di Satyricon, il produttore di Pasolini, Franco Rossellini, mi telefona dicendomi che il regista mi vuole immediatamente in Cappadocia, Turchia, come scenografo per Medea (1969), trasposizione cinematografica della tragedia di Euripide.
“Giunto sul set, Pasolini mi comunica che la scena in cui Maria Callas (interprete di Medea) arriva su un carro al tramonto verrà girata tra quattr’ore. Devo inventarmi lì per lì un veicolo che possa servire allo scopo. Il risultato finale soddisfa pienamente il regista. Non sapevo nulla a proposito del film, ma Pasolini mi rassicura, promettendomi di dirmi tutto il necessario per la continuazione delle riprese, che si svolgono non soltanto in Turchia, ma anche ad Aleppo, in Siria, e negli studi di Cinecittà”.
A questo punto, Dante Ferretti racconta un aneddoto che la dice lunga sulla sua aura quasi divina: “Un giorno, all’entrata di Cinecittà, Federico Fellini mi ferma e dice: «Dantino, lo so che hai lavorato con Pasolini a Medea. Ricordati che la prossima volta devi lavorare con me.» Io ribatto: «Maestro, non mi rovini. Non voglio fare guai e farmi licenziare da lei. Mi chiami tra dieci anni, quando si sarà rabbonito ed io acquisirò maggiore confidenza»”.
Negli anni successivi, lo scenografo diventa sempre più indispensabile “deus ex machina” di Fellini e di Pasolini.
Con quest’ultimo, lavora alla cosidetta “Trilogia della vita,” composta da: Il Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972) e Il fiore delle Mille e una Notte (1974). Infine, lavora a: Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975), primo film di quella che sarebbe dovuta essere la “Trilogia della Morte”.
A fine serata, Dante Ferretti ricorda Pasolini con queste parole: “È stato un grande uomo. Un intellettuale di straordinaria intelligenza, uno scrittore, poeta, regista e sceneggiatore. È stato un comunista”. Poi, precisa: “Un comunista in senso buono, però. Non un comunista russo.”
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