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in Spettacolo
February 18, 2022
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“Inventing Anna”: la serie Netflix su New York, Google, l’inganno e la nuova moralità

Cosa serve per sfondare dove soldi e fama regnano sovrani? E nell'America dove la cultura dell'imbroglio spinge tutti ad affannarsi e ad anteporre il proprio io?

Grace Russo BullarobyGrace Russo Bullaro
Time: 4 mins read

Ma chi era veramente, Anna Delvey o Anna Sorokin? Una ricca ereditiera tedesca con un padre da 60 milioni di dollari, o una squattrinata dalle abitudini truffaldine?

Dal canto suo Anna doveva ritenersi una genietta, laddove gli altri plebei “erano tutti così banali!”. L’indagine e il successivo processo celebratosi nel 2019 hanno rivelato come Anna fosse un’autentica artista della truffa, capace di ingannare l’alta società di New York facendole credere di essere una di loro, una dell’élite che faceva e disfaceva affari, che conduceva affinché gli altri seguissero.

Anna (interpretata da Julia Garner si gode la bella vita che sta derubando

La nuova serie TV Netflix, diretta da Shonda Rhimes, affronta lo scandalo che qualche anno fa ha affascinato la Grande Mela e il mondo, mettendo a nudo i meccanismi che fanno girare la New York del 21° secolo.

Rhimes si è ispirata a un articolo scritto nel 2018 sul New York Magazine da Jessica Pressler. L’avviso all’inizio di ogni episodio recita che “Questa storia è completamente vera tranne che per tutte le parti che sono totalmente inventate”. Non si tratta però solo di una mossa scaltra per evitare problemi legali, riflettendo a livello artistico la natura del soggetto: se c’è un travisamento della verità, di chi sono le bugie?

Anna Sorokin/Delvey era una maestra nel fabbricare ambiguità e bugie. Senza dubbio, lei stessa deve averne abboccato ad alcune – forse alla maggior parte. Il segno distintivo di un grande truffatore è la capacità di credere alle proprie bugie, perché prima di poter persuadere qualcun altro bisogna convincere se stessi.

Ma non è forse una versione parafrasata del tanto citato slogan (ripetuto 3 volte in Inventing Anna) “fingi finché non ce la fai” (“fake it till you make it“)? E quanti, tra quei ragazzi sprofondati negli abissi dell’oceano newyorkese dove nuota chi sogna ricchezza e celebrità, lo hanno adottato come mantra?

Anna che ammira il 281 Park Ave, il “suo” edificio, dove il suo sogno si tramuterà in realtà

Durante il processo è stato dimostrato che Anna “ha rubato un jet privato e ha truffato banche, hotel e soci in affari per un valore di circa 200.000 dollari. Ha fatto tutto questo mentre cercava di assicurarsi un prestito di 25 milioni di dollari da un hedge fund per fondare un club artistico esclusivo”.

Che si tratti di New York, Londra o Parigi, il mondo è ormai lo stesso posto, collegato da social media che mettono a nudo tutti i nostri segreti e permettono a narcisisti come Anna di lanciare le proprie campagne pubblicitarie – vere o false che siano. Nel mondo postmoderno l’apparenza si rivela più autentica della realtà.

Come sosteneva Jean Baudrillard, il guru del postmodernismo, “Il nuovo mondo della ‘iperrealtà’ – le simulazioni mediatiche, ad esempio Disneyland e i parchi di divertimento, i centri commerciali e i mondi fantastici dei consumatori – è più vero del ‘vero’, e regola il modo in cui pensiamo e ci comportiamo”.

L’ambizione può avere fini filantropici, come una raccolta fondi per un ospedale, o squisitamente mondani, cioè la celebrità fine a se stessa (chi ha detto “Kardashian”?). Laddove le società moderne erano organizzate intorno alla produzione di beni, quella postmoderna è imperniata sulla ‘simulazione’, cioè sulle immagini e i segni di quei beni e su ciò che essi rappresentano. In questi termini, Anna Delvey è senz’altro una simulazione delle aspirazioni di Anna Sorokin.

I post di Anna su Instagram sono stati fondamentali per rintracciarla

Per ironia della sorte, una volta che l’indagine ha preso il via, questa è stata significativamente favorita dalle prove raccolte dagli account social di Anna, dalle sue foto su Instagram che la collocano inequivocabilmente con certe persone in posti specifici e in un determinato momento. A volte, pare, il mondo reale decide di non farsi rimpiazzare da quello della finzione.

In Inventing Anna c’è poi la musica a conferire tensione alle scene e commentare eloquentemente il sottotesto della fama a qualsiasi prezzo. Google Me di CLIQ e Alika & Ms Banks immortala i valori odierni in un mondo guidato dai media, dove il narcisismo impera e a tutti piace credere di essere importanti, con Google che convalida la loro autostima:

Ho ricevuto riconoscimenti e Google possiede le prove
Io creo l’onda, loro fanno quello che faccio io
Non possono farlo come me però, io sono l’idolo
Ho spavalderia, grazia, salsa con maniere
Lascia che odino, l’odio è standard

La grande ambizione di Anna non è quella di fondare un ospedale o una scuola, ma un club esclusivo dove si possano esporre opere d’arte astronomicamente costose, dove i ricchi e gli influenti possano mescolarsi con i loro colleghi snob senza dover riconoscere l’esistenza di chi non può permettersi di fare shopping da Bergdorf, come invece Anna e i suoi amici. La sua visione del club è: “quando sei dentro, sai di essere speciale. Esclusivo”. Come afferma la procuratrice Catherine in Inventing Anna: “lei è tutto ciò che c’è di sbagliato nell’America di oggi”. Ma Anna la vede diversamente: “Io sono famosa!”. E questo la assolve da tutti i peccati.

Neff (interpretato da Alexis Floyd), concierge e amica, conosce come funzionano le cose a New York.

Da Charles Ponzi a Bernie Madoff, non sono mai mancati truffatori e artisti dell’inganno, ma l’amica di Anna, Neff, un’astuta giovane donna che lavora come concierge nell’hotel di lusso dove Anna è solita stringere amicizie importanti, capisce che ormai è un modo di vivere irrilevante. In modo conciso, anche se dichiaratamente greve e cinico, spiega la nuova moralità postmoderna alla giornalista investigativa Vivian Kent:

“Questa è New York. Sono nel business della gente di New York. Tutti qui stanno giocando una partita. Tutti qui hanno bisogno di segnare. Tutti qui si danno da fare. Tutti qui vogliono qualcosa. Soldi, potere, immagine, amore”.

Alla fine, la realtà raggiunge Sorokin, che, malgrado indubbiamente brillante ad ingannare, non era nemmeno laureata. La “vera” Anna è stata condannata da 4 a 12 anni per accuse che includono estorsione di secondo grado, furto di servizi e tentato furto di primo grado. Fino al 16 febbraio 2022, ha scontato la sua pena in carcere ed è ora detenuta in una struttura di correzione a Goshen, N.Y., sotto il controllo dell’U.S. Immigration and Customs Enforcement. Potrebbe essere deportata, ma la giovane ha già presentato appello.

Dopo tutto, Anna Sorokin dice di non essere pentita. “Non si è pentita di nulla, tranne forse per il modo in cui si è comportata. Rifarebbe tutto di nuovo”.

Forse, come tutte le celebrità e i politici che vengono colti in fallo quando raccontano una bugia o compiono un errore, il suo unico rimpianto è proprio questo: essere stata beccata, un’approvazione inequivocabile della “nuova moralità” che mette l’ambizione davanti alla realizzazione.

La responsabilità è insomma un concetto obsoleto, e le relazioni umane hanno solo un valore transazionale.

Tradotto da Gennaro Mansi

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Grace Russo Bullaro

Grace Russo Bullaro

Grace Russo Bullaro, born and raised in Salerno, Italy, holds a Ph.D. in Comparative Literature, and after teaching for more than 25 years in the English Department at City University of New York (Lehman College) is now Emerita. Her academic interests include political, cultural and intellectual movements, specifically, the interface of politics and the arts. She has written many books and articles on subjects related to those areas.

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