Se ne parla (e se ne scrive) bene: accurata la sceneggiatura di Adam McKay che ne è anche il regista (in questo caso, qualche obiezione: meglio una manciata di minuti in meno; un po’ “lento”, a volte…); danno il meglio gli interpreti: Leonardo Di Caprio, molto bravo; Meryl Streep: la grande attrice di sempre… Steccare, dunque, dal coro? Eccepire che è politically correct, e dunque basta con questa specie di dittatura del pensiero “per bene”; che per esempio la scena finale è il massimo dello stucchevole, prevedibile, esattamente quello che ti aspetti e sarebbe invece ora di sorprendere, “maravigliare”…; e comunque, con un simile budget a disposizione (solo per Di Caprio un assegno di 30 milioni di dollari; per Jennifer Lawrence 25 milioni), son bravi tutti, a far qualche cosa di decente…
Ecco, no: per una volta, ha ragione la maggioranza; per una volta è stucchevole e ha torto chi vuole “steccare”. Per una volta un film come “Don’t Look up” ti fa divertire, ma amaro; alla fine esci con in testa una quantità di pensieri. Film pericoloso, dunque? In certa misura, sì: fa pensare. Alla pandemia da Covid, per esempio: a quel virus che ci ha mutato il mondo sotto gli occhi, snaturato e stravolto l’esistenza; ci costringe a passare da un’era a un’altra; sarà una data spartiacque nei libri di storia: “prima” e “dopo” il Covid…
Ma c’è anche ha pensato, dopo aver visto il film, alle questioni legate al “riscaldamento globale”: i rischi, i pericoli, le certezze, del “global warming”… E dire che di “riscaldamento globale” nel film non si fa cenno; tantomeno della pandemia…
Eppure tanti, dopo aver visto questo kolossal fanta-catastrofico che racconta della Terra minacciata da un enorme meteorite, vi hanno colto allegorie in questo senso. Sarebbe forse interessante indagare e capire il perché di questi “salti” mentali.
Il film, ora. McKay, sceneggiature e produzioni a parte, nel 2015 realizza “The Big Short” (“La grande scommessa”); e tre anni dopo “Vice” (“Vice-L’uomo nell’ombra”); reca nel suo DNA l’impronta inconfondibile del “Saturday Night Live”. Anche quando si impegna in qualcosa di tremendamente serio come il vice-presidente degli Stati Uniti al tempo di George W. Bush, i suoi problemi e i problemi che crea al suo Paese e al mondo, ti strappa un sorriso; anche quando evoca il tracollo economico del 2008, c’è un lazzo, uno sberleffo. Poi certo, ti si strozza tutto in gola… In “Don’t Look Up” rivela tutta la sua maestria (e genialità; si può dire?) nel suo saper usare sapientemente Di Caprio e Lawrence; ma anche Meryl Streep, Jonah Hill, Cate Blanchett, Timothée Chalamet, Ron Perlman, Mark Rylance, Chris Evans, Ariana Grande, Gina Gershon e tanti altri. Non sembrano neppure recitare, piuttosto è come se si trovassero da qualche parte un fine settimana, e decidessero di passare il tempo divertendosi nel fare cose buffe, accettando le apparenti stramberie di cui la storia è infarcita; ed è invece un qualcosa di serio: perché è infinito il catalogo delle minacce concrete e dei pericoli reali di cui si è a conoscenza, corresponsabili; e che si “vivono” con una leggerezza e una irresponsabilità sconcertante.

Si può cominciare dal titolo del film, da prendere alla lettera: quel “Don’t Look up” è la generale norma comportamentale. A imitazione di quello che si dice facciano gli struzzi non si guarda (e soprattutto, non si vede) in “alto”; si affonda la testa sotto la sabbia (e si lascia libera la parte più sensibile). Invece la minaccia è proprio da dove non si vuole guardare, che viene.
La cometa si dirige in picchiata verso la Terra, un impatto devastante; c’è chi avverte il pericolo, naturalmente inascoltato. Poi, per ragioni che esulano il disastro e le sue conseguenze, ecco che invece si presta loro attenzione; ma fino a un certo punto: che sono sempre e comunque le miopi logiche mercantili quelle che prevalgono. Volutamente si riassume il tutto in modo banale e anche trasandato. Il film al contrario è una raffinata “descrizione” del mondo feroce e grottesco nel quale si vive, e nessuno viene risparmiato. Più in generale, volendo, suggerisce anche l’eterna questione del rapporto tra scienza e potere; dell’utilizzo della scienza da parte del potere; della responsabilità degli scienziati, e della loro etica, più o meno a buon mercato. Poi, a voler fare i critici eruditi, si può scomodare Joe Dante, Tim Burton, i fratelli Ethan e Joel Coen, possibili citazioni da “The World, the Flesh and the Devil” (“La fine del mondo”), di Ranald MacDougall, con Harry Belafonte; o lo spielberghiano “Deep Impact”, di Mimi Leder con Robert Duvall e Morgan Freeman; volendo perfino “Space cowboy” di Clint Eastwood, o “Armageddon”, di Michael Bay, con Bruce Willis e Ben Affleck; o dottoreggiare con “Dr. Strangelove” (“Il dottor Stranamore”, di Stanley Kubrick; e “Seven Days in May” (“Sette giorni a maggio”), di John Franknheimer… .

“Don’t Look up” però, si discosta dal genere: non c’è nessun eroe, a parte i due impotenti scienziati (e a conti fatti, anche mediocri); tutti sono avidi, imbecilli, arroganti, presuntuosi, dominati da uno smisurato senso di onnipotenza, preda di fatalismo… Si può dire che McKay ci ha studiato tutti bene, e a fondo… E’ esagerato definire questo film una sorta di metafora di un mondo impazzito, dove si è smarrita la capacità di discernere; ed è una denuncia tanto più acre quando per nulla retorica e con “messaggio” pedagogico?
Un “messaggio” comunque lo si può cogliere: nel titolo. E’ sempre bene disobbedire quando qualcuno ordina: “Don’t Look up”. E’ bene, è igienico, guardare in alto (e sotto, e dietro, e di lato); possibilmente anche cercare di “vedere”; e prendere coscienza che c’è qualcosa di altro, oltre ai “like”.