La vita, le sue sorprese e le sue sofferenze. Le dinamiche della nostra esistenza possono essere così profonde da installare in noi dubbi, preoccupazioni e rimorsi che segnano i nostri percorsi. La vita di Camillo Bellocchio, fratello gemello di Marco Bellocchio, ha avuto un grande peso sulla famiglia del regista. La sua morte, avvenuta all’improvviso attraverso il suicidio alla fine degli anni Sessanta a soli 29 anni, è stata emblematica e potente. Tanto da spingere il Maestro a produrre un documentario presentato in questi giorni al New York Digital Arts e prima ancora al Festival di Cannes, dove Bellocchio ha vinto l’Honorary Palme d’Or.
Il docu-film è un lavoro di ricerca, il risultato di un’analisi che Bellocchio vuole portare luce. Le interviste condotte parenti e amici, sono prove che attestano e mettono insieme pezzi di realtà famigliari, ricche di tradizioni e passati lontani, che in qualche modo riescono a fungere da riconciliazione per i Bellocchio, dopo lunghi anni.
“Camillo era un ragazzaccio simpatico, che aveva voglia di divertirsi” spiega uno dei fratelli Bellocchio. Descritto come un “angelo”, Camillo era in apparenza un ragazzo a cui piaceva scherzare e passare il tempo in compagnia. Uno come tanti. Ma anche l’unico membro della famiglia ad aver sofferto parecchio dopo la morte del padre.
Tormentato da una costante sensazione di non essere abbastanza agli occhi del mondo, Camillo ha scelto la strada del suicidio per non combattere più con le sofferenze della quotidianità. Non era né il figlio maggiore, né il figlio minore. Non aveva alcuna disabilità, né alcun talento brillante come Marco, divenuto famoso fin da subito nel mondo del cinema. Camillo era normale, quieto, tanto da non venire notato abbastanza. Le bocciature a scuola, il pesante senso religioso, il servizio militare, il mondo della scuola e del lavoro: tutto questo lo ha fatto sentire la pecora nera della famiglia. Tanto diverso da celarsi dietro un velo di sorrisi, per poi scegliere di togliersi la vita.
Il documentario è emblematico nel suo format e nella sua abile trasposizione cinematografica non solo di una realtà intima e delicata come quella dei Bellocchio, ma anche della realtà storica dell’Italia del Dopoguerra. Bellocchio ritrae con immagini d’archivio un’Italia caratterizzata da binomi ed ossimori prevalenti di quel periodo: una nazione cattolica, come anche progressista. La vita dei Bellocchio, fortemente influenzata dalla religione cattolica e dagli studi religiosi, ha trovato in parte una sorta di liberazione nelle politiche e filosofie progressiste dell’epoca. Il titolo del film è tratto dall’ultimo dialogo fra Marco e Camillo, dove quest’ultimo, riferendosi alla sua vita personale, dice al fratello di non preoccuparsi a lottare contro gli ideali. Il mondo e le sue politiche possono aspettare quando si è depressi, quando l’unico cambio radicale da compiere è quello di prendersi cura della propria vita: “Marx può aspettare”, ma non la felicità interiore.
Marco Bellocchio, noto regista, sceneggiatore e produttore cinematografico di Bobbio, è una delle figure più importanti del panorama cinematografico contemporaneo italiano. Classe 1939, la filmografia di Bellocchio conta più di quaranta film, fra cui le famose pellicole “I pugno in tasca” (1965), “La Cina è vicina” (1967) e “Sbatti il mostro in prima pagina” (1972).
La pellicola, prodotta da Kavac Film, Tenderstories e Rai Cinema, è disponibile adesso anche in lingua originale con sottotitoli in inglese, per un pubblico internazionale.