Alla sedicesima edizione del Festival del Cinema di Roma è stata presentata una delle pellicole più belle ed interessanti degli ultimi anni: “Red Rocket“, girata in sedici millimetri e presentata alla settantaquattresima edizione del Festival Cannes. Il regista Sean Baker, ha raccontato attraverso la macchina da presa un’America depressa, mettendo in luce quanto gli Stati Uniti, siano un paese per ricchi che non fa sconti a nessuno, la cui normalità non ha a che fare con gli hotel di lusso di Manhattan, ma con una popolazione che stenta a sopravvivere, con pochissima assistenza da parte di uno stato costruito esclusivamente per i predatori.
La trama si districa tra le sfortunate vicende di suitcase pimp, un uomo che nell’industria del sesso si mantiene attraverso relazioni sentimentali e professionali con delle pornoattrici. A quasi quarant’anni, il fallito attore porno Mikey Saber, interpretato dal un magnifico Simon Rex, è costretto a lasciare Los Angeles senza un quattrino, per tornare nella tanto disprezzata città di Texas City.

Tornato a casa dell’ex moglie e della suocera tossicodipendenti, dove non è particolarmente ben voluto, si mette a vendere erba, per cercare di racimolare denaro con il quale poter ritornare a LA. Un giorno incontra una ragazza di diciassette anni, che lavora al Donut Hole, soprannominata Strawberry, con la quale intraprende una relazione clandestina.

Da subito Mikey nota una predisposizione della ragazza per il mondo del Porno vedendola come la sua “gallina dalle uova d’oro”. Si finge dunque un agente importante, che vive in una casa di lusso, facendole credere di poter farle cambiare vita, diventando chiaramente il suo “protettore”. Il problema è che aveva ricominciato ad intrattenere una relazione sessuale con la sua ex moglie, la quale non intende accettare un secondo rifiuto, tanto da far precipitare Mikey, in un baratro senza ritorno.

Lo scenario che Sean mostra, con un forte senso dello humor è disastroso. È un mondo in cui le persone vivono in case di cartone, completamente abbandonate al proprio destino ed alle droghe, che sono l’unico escamotage per sopperire alla bruttezza e alla noia di città in cui non c’è niente di bello. Non c’è senso di appartenenza e non c’è compassione. Tutti i personaggi sono profondamente soli: sociopatici che arrancano per rimanere in vita, contro un sistema che fagocita tutto e tutti.
Il panorama presentato è quello di una popolazione completamente non formata e disinteressata alla cultura. Non vengono mostrati i divi di Hollywood, con i loro volti da migliaia di euro di chirurgia, ma esseri umani rovinati e stanchi, che mangiano cibo spazzatura e il cui l’unico momento “bello del mese”, è magiare dei Donuts, in un orribile bar di strada. La regia è grandiosa, i sedici millimetri scavano nelle emozioni degli attori, che sono tutti perfettamente scelti e diretti. A livello tecnico è bellissimo vedere quanto siano stati usati i piani totali e i piani sequenza. Il fattore più interessante è l’utilizzo di una sagace ironia all’interno di una tragedia, proprio perché essendo già l’ambiente profondamente tragico, arriva ancora di più senza enfatizzarlo ma al contrario, alleggerendolo.

Una menzione va sicuramente fatta alla bravura di Simon Rex, nei panni di Mikey Saber. Rex è riuscito a calarsi profondamente nel personaggio, è istrionico e allo stesso freddo e calcolatore. Un carattere che non conosce la pietà, che usa le persone a proprio piacimento senza alcun rimorso. Non ama nessuno se non sé stesso e disprezza chi lo ama nel momento che non gli è più utile. Riesce con il corpo e gli occhi a raccontare anche nei momenti di silenzio, senza mai perdere di credibilità.

Altro carattere perfettamente riuscito è quello di Lexi, interpretato da Bree Elrod. La bravura di questa meravigliosa attrice si unisce ad un volto, che può far pensare che di queste battaglie ne abbia vissute abbastanza. Ha una sensibilità particolare e un sapiente utilizzo dello strumento vocale. È sempre perfettamente dentro, a tratti con la giusta indifferenza per poi passare subito ad un abisso di disperazione e tristezza.
Un film dunque molto carico di significato, assolutamente da vedere, che trafigge gli animi degli spettatori, soprattutto per noi Europei, che spesso abbiamo una visione distorta degli Stati Uniti, come la terra delle grandi opportunità. Chi vedrà questo capolavoro capirà.