E’ stato un successo l’incontro di sabato 18 settembre al Museo del Cinema di Torino. Senza dubbio, un evento che non ha deluso le premesse. Il filo conduttore dell’emozione ha viaggiato per tutta la serata, originando un grande evento dove l’indimenticabile attrice italiana è stata ricordata con il documentario dal titolo “Lucia Bosè – L’ultimo ciak”. In anteprima assoluta, è stato presentato a pubblico, stampa giornalistica, ma anche alla stessa famiglia Bosè (che ha fatto pervenire un messaggio scritto commosso), questo lavoro filmico inedito a firma di Kiff Kosoof (il sodalizio artistico tra i registi Davide Sordella e Pablo Benedetti), incentrato sulla vita di una star indiscussa di Cinecittà, musa di Luchino Visconti e Michelangelo Antonioni, legata ad amicizie importanti come quelle con Franco Zeffirelli o con Mauro Bolognini (tanto per citare due mostri sacri tra i tanti con cui si relazionò professionalmente).

L’uomo che intervista Lucia nel documentario è lo scrittore Gianni Farinetti, che di fatto interpreta la parte di Kiff Kosoof (nel libro omonimo tratto dal doc, è infatti Kiff Kosoof a portare avanti le interviste). Una scritta in sovraimpressione all’inizio della pellicola ci informa che la chiacchierata risale all’anno 2005.
Già: Kiff Kosoof, questo originale nome artistico del duo registico Sordella-Benedetti, che ha iniziato a firmarsi in coppia da molti anni. In ogni caso, l’artifizio sembra funzionare, oltre che incuriosire. Convincente risulta infatti, ai fini della immedesimazione da parte di chi guarda, la scelta di certi originali punti di vista nelle inquadrature, o di alcuni veloci movimenti di macchina che fanno entrare dentro la scena. Il budget low cost della pellicola non ne inficia assolutamente la resa, anzi: la sapienza del montaggio, curata da Davide Sordella, è uno dei punti di forza creativa del prodotto.
“Questo documentario ha una genesi precisa; avevamo girato in Cile nel 2012 con Lucia Bosè il film “Alfonsina y el mar” e nel 2019 ci siamo ritrovati con l’attrice al Festival di Roma: è nata così l’idea di realizzare un documentario biografico” – ha annunciato alla stampa il regista Sordella qualche ora prima dell’appuntamento serale al Museo del Cinema.
“Poi è arrivato il lockdown e, a Marzo 2020, Lucia è morta. L’opera che abbiamo completato in un anno di lavoro è diventata così omaggio alla sua memoria”.
Torino riteniamo sia riuscita, con questa iniziativa, nell’intento di ricordare Lucia Bosè con grande sentimento: un omaggio ai 90 anni che avrebbe compiuto quest’anno; omaggio al suo carisma e alla sua bellezza, che anche in tarda età non ha mai perduto, tra le rughe e gli originalissimi capelli color blù; omaggio soprattutto alla donna più che all’attrice. Lucia rivive per il pubblico in un documentario delicato e dagli accenti multiformi, tra un ciak cinematografico ed una inquadratura di back stage; tra spezzoni di film, e documenti storici dall’ Istituto Luce. Efficaci ai fini della narrazione le riprese dell’intervista attraverso i corridoi dell’Hotel a Stresa da dove tutto cominciò, con lei sedicenne incoronata bella tra le belle d’Italia. A tutti viene immediato l’ accostamento del nome Lucia Bosè con il neorealismo, ma Lucia è stata molto di più: una interprete dal talento viscerale, al di là di schemi precisi e definiti.

Questo lavoro filmico riesce a suggerire tratti di una esistenza in rosa vissuta in maniera felice – così le gioie come i dolori – e vuole avere la mission di informare lo spettatore, rivisitando in maniera sincera e inaspettata ricordi personali.
Tanti i successi, ma anche i fallimenti, e la viva voce di Lucia accompagna nella narrazione la voce narrante di Farinetti, divenendo a sua volta protagonista anche con il suono, e non solo con l’immagine, e soprattutto mostrando al pubblico una figura vibrante ed intensa. Si ha l’occasione di veder ripercorrere gli inizi , con la vittoria sedicenne a Miss Italia nel 1947 (comincia proprio così il documentario: con l’albergo di Stresa che la vide trionfare nel celebre concorso di bellezza, e che Lucia ripercorre con meraviglia e stupore dopo così tanti anni, nella maturità della sua vita); si rievoca l’incontro con il primo amore: in giuria, a Miss Italia, c’è infatti Edoardo Visconti di Modrone, parente di Luchino: un segno del destino.

Lui – uomo sposato – si innamora pazzamente di lei e la invita a seguirlo a Roma, dove ritroverà Luchino, e ad un certo punto una giovanissima Lucia dovrà poi scegliere fra una vita da “amante segreta” e una possibile carriera nel cinema; riecheggiano nei racconti anche gli orrori della Seconda Guerra Mondiale vissuti in prima persona (svariati gli spezzoni dell’ Istituto Luce che accompagnano la storia; colpisce in particolare quello che mostra Mussolini e la Petacci giustiziati a testa in giù a Piazza Loreto nel 1944… Ed ecco riaffiorare indelebili ricordi di Lucia bambina, con quella visione rimasta integra da allora, negli occhi e nella mente). E’ inoltre dalla sua voce che apprendiamo che la casa in cui abitava da piccola, in un quartiere popolare di Milano, fu rasa al suolo dalle bombe; sono i suoi i toni emotivi che il telespettatore ascolta quando intravede il dolore per il rapporto naufragato con la grande passione della sua vita, nonché il più celebre torero di tutti i tempi, Luis Miguel Dominguín (che succedette ad un lungo fidanzamento con Walter Chiari); per il bel matador, al culmine della carriera, Lucia mollò tutto, seguendolo fino in Spagna, dove poi è vissuta fino alla fine dei suoi giorni (un amore, questo, che non rimpiangerà mai nonostante il coraggioso divorzio, e con cui ebbe i figli Miguel, Lucia e Paola ). Farinetti guida altresì la chiacchierata centrale della storia, ma non sovrasta mai la protagonista. E’ una sorta, se vogliamo, di fedele scudiero che accompagna con discrezione la narratrice principale. La visione mai annoia lo spettatore, ed il ritmo filmico rimane discretamente concertato per tutti gli oltre 60 minuti di durata; anche nei momenti privi di dialogo. Rapisce, infine, il fil rouge della meravigliosa musica di cui è sotteso il film, con un sottile retrogusto vintage (anche di tipo spirituale) che aleggia per gran parte della pellicola.
“Lucia Bosè – L’ultimo ciak” intende consegnare una figura dello star system all’immaginario collettivo cambiandole l’ abito principale: si descrive una eroina moderna, capace di seguire i sentimenti più che la ragione; una donna vissuta all’insegna della forza e della libertà, sfidando i costumi della sua epoca. Libertà di pensiero e di azione. Libertà di vivere secondo il proprio personale sentire, e senza rimpianti. Mai rassegnata. “Ho avuto molto dalla vita” – afferma. “E non mi lamento mai”.

Il taglio comunicativo scelto per questo film è emozionale (per lo più, lo scopo sembra raggiunto, tranne in qualche momento rarissimo sparso della sceneggiatura), ed impreziosito dalla consapevolezza del valore del cambiamento, che Lucia sembra conoscere molto bene: “Rinascere ogni giorno” (è questo il motto che viene declamato).
In questo documentario di Kiff Kosoof ci viene regalato molto materiale di scena del film “Alfonsina y el mar” (il film in lingua spagnola è distribuito nei paesi ispanici e negli USA anche con il titolo “One more time”) che – lo sottolineiamo – è stata l’ultima interpretazione sul grande schermo dell’attrice: alla veneranda età di 83 anni accettò di spostarsi nella sabbia del deserto di Atacama, in Cile, per girare un film in pieno stile neorealista. Lucia arriva a parlare della morte e del rapporto che ha con essa, ed è forse qui che lo spettatore ha modo appieno di riconoscere – nella star cristallizzata della propria memoria – una donna priva di lustrini, dallo spirito lucido e senza ombra di retorica, che attraverso la recitazione non scappa dai propri bilanci esistenziali ed è pronta consapevolmente e serenamente ad accogliere la fine del ritorno (perchè si ritorna sempre da dove tutto è cominciato: “prima o poi nella vita ritorniamo a casa”).
La regia fa incrociare spassosi spezzoni di vita privata, con i figli che parlano di loro stessi o della madre, e anche Lucia stessa ad un certo punto parla di queste sue vesti ; davanti allo spettatore vince sicuramente la riprova del cuore, anche se – come lei dichiara – “E’ difficile essere madre”. Colpisce in particolare il figlio Miguel che asserisce, in uno spezzone di repertorio: “Travestirsi è una malattia di famiglia”.
Ed eccola la vera Lucia, che conosciamo per la prima volta: cade la maschera dell’attrice, affiora l’identità della donna; una donna capace di passioni, di risate, di ricordi dolorosi che insegnano e che non vengono mai rinnegati; una donna che colpì cinematograficamente Luchino Visconti sin dalla prima occhiata, vissuta inseguendo “I like my freedom”.

Il vecchio film“Alfonsina y el mar” è stato sapientemente rimontato in una versione “director’s cut”, e l’opera aggiunta “Lucia Bosè – l’ultimo ciak”, così ricavata, in sintesi presenta tutto questo girovagare di mondi, stati d’animo, momenti di set e vita vissuta; di spezzoni cinematografici alternati a interviste inedite a Lucia nel backstage; di frammenti di archivio, tra carriera e momenti privati.
La colonna sonora porta la firma di Enrico Sabena (edizioni Ala Bianca), noto compositore dalla lunga esperienza, facente parte della Associazione Compositori Musica per Film a guida onoraria di Ennio Morricone.
Il Maestro Sabena ci ha confidato che ha dovuto realizzare un completo coordinato musicale sull’evergreen argentino “Alfonsina y el mar” (per i non addetti ai lavori: è la canzone che narra la tragica fine di Alfonsina Storni, la celebre poetessa e scrittrice argentina che nel 1938 si tolse la vita lasciandosi andare nell’oceano). Una sfida raccolta, la sua: realizzare musiche originali, in stile e di grande qualità, che accompagnassero il respiro del film per poi sfociare – nei titoli di coda – nella canzone originale.
“Ho scelto di usare un minimalismo acustico; una malinconia sempre ricorrente, anche nei temi giocosi, sia con la chitarra folk che con la fisarmonica che con gli ensemble di archi e legni – e qui voglio ricordare l’apporto unico e prezioso del francese Bruno Mattio, che avevo incontrato a Parigi durante il mio viaggio di nozze” – dichiara.
“Lo ricordo con tristezza, Bruno, perché è recentemente scomparso, ma anche con riconoscenza: i suoi clarini, soprattutto il clarino basso, ha arricchito gli organici delle mie composizioni con un colore davvero originale, e una sensibilità melodica fuori dal comune. Un’ensamble da camera, folk, con un filo di elettronica aggiunto per sottolineare dove necessario la surrealtà di certe scene”.

Per concludere, nel corso dell’happening è stato presentato in anteprima anche il libro “Lucia Bosè – l’ultimo ciak” di Laura Avalle (edito da Morellini Editore), ispirato all’omonimo documentario; la particolarità è proprio questa: trattasi di una biografia romanzata ispirata dal film, e non viceversa.
Di Lucia Bosè hanno scritto i più grandi, lo sappiamo: da Alberto Moravia, suo grande sostenitore, a Oriana Fallaci. Nel documentario “Lucia Bosè – l’ultimo ciak”a firma Kiff Kosoof viene pero’ finalmente disvelata la parte umana di questa protagonista artistica non comune, che ha contribuito a rendere grande l’Italia nel mondo.
The game is over.
Sì, qui sulla terra sicuramente, ma altrove – come dice Lucia stessa nel documentario – “Ci incontreremo ancora; io non ho paura”.
Vogliamo credere anche noi che ti potremo incontrare ancora, cara Lucia. Un giorno. Sopra le nuvole. Fiera ed indomita come sei stata disvelata in questo progetto che di te parla, e a te è dedicato con così tanto cuore.
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