La cultura e la vita della popolazione italiana afro-discendente sono agli albori del loro riconoscimento ufficiale. Un riconoscimento che andrebbe normalizzato nelle scuole, nel nome di un’integrazione costruttiva, aperta al dialogo e alla curiosità verso l’altro. Daphne Di Cinto, nata e cresciuta in un paesino del Nord Italia, ha realizzato un cortometraggio intitolato “Il Moro”, incentrato sulla vita di Alessandro De’ Medici (1510 – 1537), il primo duca di Firenze afro-discendente.
Conosciuto come anche “Il Moro”, data la sua carnagione scura, Alessandro De’ Medici ha avuto una vita breve, ma intensa. Ricoprendo diverse cariche nella Firenze rinascimentale, ha lasciato un segno alquanto importante nella Storia italiana come primo duca della capitale toscana e primo personaggio di origine africana nella scena politica italiana, ma pochissimi sono quelli che parlano e fanno ricerca sulla sua storia. Ucciso dal cugino Lorenzino De’ Medici, Alessandro è stato cancellato dai libri di scuola, come anche dai tanti testi accademici e storici dell’epoca. Non sono tanti i documenti che portano alla luce l’identità di questo giovane afro-italiano, ma dopo circa mezzo millennio una ruggente e fresca generazione di italiani si mostra interessata a scoprirlo.
Per La Voce Di New York, la regista, attrice e sceneggiatrice Daphne Di Cinto ci racconta il suo film e gli obiettivi che vuole raggiungere con questo progetto.

Come e quando è iniziata la tua ricerca sul soggetto di Alessandro De’ Medici?
“Per caso, quando la foto di un suo dipinto mi è apparsa davanti, in un articolo che spiegava il suo background misto. Mi ha incuriosito moltissimo, soprattutto per il fatto di non averlo mai saputo, sentito o appreso prima, così ho iniziato a fare qualche ricerca… e non ne sono più uscita!”
Che tipo di emozioni stai cercando di suscitare con questo progetto?
“Vedersi rappresentati positivamente nei media e nella cultura non è una cosa scontata per tutti. Non lo è sicuramente per la comunità Afroitaliana e Afroeuropea. Dunque, questa è la prima cosa che voglio fare. Voglio che i bambini e le bambine nere nelle scuole europee non si debbano sentire come se l’unico capitolo che li rappresenti nelle lezioni di storia sia “la tratta degli schiavi”. Voglio che sappiano che c’è molto di più, senza dover andare dall’altra parte del mondo. C’è di più a partire da fuori dalla porta di casa. Allo stesso tempo vorrei che chi non è toccato in prima persona da queste dinamiche, possa espandere il proprio punto di vista. E se con questo film e con la storia intorno ad esso posso ispirare anche solo una persona a puntare il più in alto che può, ben venga. Poi chiaramente, spero che le immagini che abbiamo creato e la storia che raccontiamo possano intrattenere e regalare qualche momento degno di essere ricordato”.
Sei un’attrice, sceneggiatrice e produttrice. Raccontaci della tua esperienza nell’ambito dello spettacolo, come donna italiana afro-discendente.
“Sono un’attrice, sceneggiatrice e regista e ora sì, anche produttrice, per forza di cose. Ne sono molto grata, perché ho imparato moltissimo. La mia esperienza in Italia come attrice si riassume in una breve storia triste: me ne sono andata! Quando io ho iniziato il mio percorso recitativo non era certo l’Italia del 2021. Dunque, le opportunità erano davvero poche e non molto felici. In ogni modo, questo significa che ho avuto la spinta per andare a mettermi in gioco in posti che mi hanno formata. Ne sono incredibilmente grata. Da donna… tanti si approcciano alle donne non bianche con una condiscendenza e mancanza di rispetto imbarazzanti. Ci si ritrova a dover continuamente giustificare, dimostrare il proprio valore”.

Il Moro è uno short ambientato in una Firenze rinascimentale. Lavorando sul set di Bridgerton, hai trovato facile organizzare una produzione così solida tanto quanto eterogenea in termini di casting, location, e costumi?
“Facile?! È stato tutto fuorché facile! Il Moro è la mia prima regia. È stato lungo, doloroso e snervante. Ma anche meraviglioso, esaltante, soddisfacente. Lavorare su Bridgerton mi ha mostrato uno standard che chiaramente non avevo le possibilità di emulare, ma ho fatto del mio meglio per lavorare al massimo della qualità. Se ci sono riuscita è solo grazie ad ogni persona che si è prestata o che ha ci prestato qualcosa. Come Monica di Sartoria Teatrale, Antonietta per i costumi, NAA Studio per i gioielli, Giannini per gli oggetti di scena e chiaramente i meravigliosi comuni di Dozza e Imola per averci accolti nelle magiche location del film”.
Credi che questo film abbia a che fare anche con temi attuali piuttosto che solo argomenti storici? Se sì, in che modo?
“Assolutamente sì. C’è un parallelismo innegabile. Ecco questo ragazzo afrodiscendente che nasce figlio di una donna tenuta in schiavitù, ma fa parte della famiglia Medici. È diverso dal resto di loro e tutti puntano il dito contro il fatto che sia ‘di bassa nascita’. Nonostante tutto diventa il primo Duca di Firenze. Perché lui a quella terra appartiene. Non credo ci sia bisogno di tradurlo in termini attuali, perché è già palese”.
Da persone esterne, quali sono i modi migliori per difendere e sostenere le cause per cui centinaia di Afro-Italiani combattono ogni giorno?
“Istruirsi, non cadere nei luoghi comuni e negli stereotipi e attivamente evitare comportamenti, atteggiamenti e parole razziste considerate normali dal sistema in cui si è cresciuti. Bisogna avere la volontà e la generosità di capire che le proprie azioni e i propri atteggiamenti possono avere conseguenze molto reali sulla comunità afrodiscendente. Poi parlarne. Siamo ancora al punto in cui ci sono persone che non darebbero peso, per esempio, alle mie parole, ma ascolterebbero quelle del loro amico bianco. È un retaggio difficile da sradicare e possiamo farlo solo insieme. E per dirla con Martin, “alla fine, ricorderemo non le parole dei nostri nemici ma il silenzio dei nostri amici”.
Per contribuire ai costi di post-produzione, Daphne invita tutti gli interessanti a visitare la pagina crowdfunding e lapagina Instagram.