
New York è la città che non dorme mai? E l’America la mecca dello spettacolo? Forse lo erano. Da tempo osservo i cartelloni italiani delle grandi città e ho seguito quasi tutti i festival per lo più multidisciplinari o solo di danza dell’estate. Grande stupore: mentre “la Grande Mela” e l’immenso Paese che gli ruota attorno, dormono sonni non certo beati ma inquieti, e privi di quell’ossigeno refrigerante e necessario alla salute dello spirito e della psiche che può offrire solo l’attività performativa, qui tutto scorre, si affastella come non mai. Mi soffermo sul Teatro alla Scala: ha programmato tra settembre e ottobre un Aida in forma di concerto, come una Traviata, ancora in corso, ma con i costumi di Dolce e Gabbana, e un Gala con star come Roberto Bolle, Svetlana Zakharova e Alessandra Ferri che ha mandato in visibilio il pubblico che ora attende una Giselle. La prossima opera sarà una Bohème completa di scene e costumi e con una storica regia di Franco Zeffirelli. Quanto ai concerti sinfonici sono stati moltissimi e lo saranno sino a novembre, con eventi speciali siglati da Maurizio Pollini, Anna Netrebko, Jonas Kaufmann, Placido Domingo, Daniel Barenboim.

Importa a qualcuno, da questa parte del pianeta, se il Metropolitan di New York vanta 3800 posti ma questi resteranno vuoti sino al settembre 2021, mentre i 700 nella platea del Piermarini per non contare i palchi (in tutto 2030), per quanto “contingentati” sono colmi e da un bel po’? Certo dispiace per i lavoratori americani dello spettacolo con le braccia incrociate e le enormi perdite economiche del settore. Ma anche noi non siamo il Paese del Bengodi, anzi. Tuttavia godiamo di un sistema di avallo economico alle attività culturali, diminuito per l’emergenza Covid-19, che l’America non ha, come non ha un servizio sanitario interamente pubblico, affiancato a quello privato. Inoltre, questo piccolo Paese è il cuore della vecchia Europa – dobbiamo ricordare l’Impero Romano? – e nei momenti di difficoltà sfodera il meglio di sé, badando più alle sue passioni che al dio denaro. Vogliamo ricordare che l’amatissimo Riccardo Chailly, direttore musicale della Scala, ha donato all’inizio di settembre un Requiem nel Duomo di Milano in onore ai defunti del coronavirus e lo ha replicato a Bergamo e a Brescia, due città molto colpite da questa pandemia? E se il nuovo Sovrintendente Dominique Meyer si è dato da fare durante il lockdown grazie a collegamenti online con artisti scaligeri e non, ora non rinuncia alle presentazioni pubbliche (e contingentate) di ogni evento scaligero, e ha riaperto pure il Museo Teatrale alla Scala il più frequentato della città, con incontri, presentazioni di libri e un ennesimo ciclo di concerti “Il salotto musicale”; mentre dal 5 novembre apre una nuova mostra a cura di Pier Luigi Pizzi.

Ma tornando agli spettacoli: per Pollini il pubblico ha fatto a botte per entrare. Eppure il Teatro alla Scala, come tutti i teatri italiani, era ed è cosparso di cartelli che mettono a distanza di 2 poltrone gli spettatori singoli, e vicini solo i congiunti. Nessuno entra senza aver provato la febbre, che commessi gentili provano a tutti gli spettatori e nessuno si sogna di levare la mascherina durante le recite di qualsiasi tipo, pena l’immediato allontanamento dalla sala. Questo significa che il terribile virus, che ha chiuso in lockdown ogni attività spettacolare da marzo a giugno, continua a circolare, tra alti e bassi, anche tra noi. Ma diverse sono state e sono le misure per fronteggiarlo e la disciplina con cui il popolo di questo piccolo Paese – di solito considerato senza rigore e snobbato dai politici esteri con il naso all’insù e i capelli color polenta (l’Inghilterra non ha ombra di attività teatrali)- ha ubbidito ai decreti ministeriali – una quantità – sino a che la morsa non si è allentata consentendo i festival estivi, e da ottobre la riapertura di scuole, cinematografi e i citati musei. Come il Mart di Rovereto, ospite già in settembre della riuscita installazione Over the Rainbowdel coreografo Matteo Levaggi ed inserita nella 40esima edizione di un festival – “Oriente Occidente” – che stringendo i denti non ha rinunciato a se stesso e ha ottenuto picchi di consenso con il protestatario e tutto femminile Sonoma di Marcos Morau, a capo del gruppo spagnolo La Veronal, un omaggio inglese a Merce Cunningham e Hyenas-Forme di minotauri contemporanei della Compagnia Abbondanza/Bertoni, storia di animali mitologici per lo più impotenti e addolciti.
Tra luglio ed agosto – mesi di solito riservati alla danza – nessun festival, in realtà, ha rinunciato alla propria esistenza, avvalendosi di spazi all’aperto, sempre “contingentati” ma più ampi e ariosi, desueti e anche teatrali. Citiamo il multiforme “Kilowatt Festival”, nato nel 2003 a Sansepolcro, cittadina nota per aver dato i natali a Piero della Francesca, quest’anno dal beneaugurante titolo “Viaggio al termine della notte”e lo storico festival romagnolo di Santarcangelo che ha scelto di coinvolgere abitanti, tecnici, volontari, puntando a sottolineare le discriminazioni di genere e razziali e le difficili condizioni in cui versano molti artisti italiani non commerciali e le fughe neofasciste del momento. Nei fine settimana, un altro longevo festival dedito alla ricerca, dapprima noto con il nome di “Drodesera”, dall’ospitante cittadina trentina di Dro e poi “Centrale di Fies” si è autocelebrato chiamando a raccolta in “Hyperlocal – life e onlife” alcuni suoi artisti eletti come Michele Di Stefano, Chiara Bersani, Alessandro Sciarroni, Jacopo Jenna e Marco D’Agostin.

In agosto chi aveva cominciato questa partita a scacchi teatrale contro il terribile virus attendendo simbolicamente lo scoccare della mezzanotte e un minuto del 15 giugno per dar vita al primo spettacolo notturno dal vivo in Italia nella prima fase di ripresa dalla pandemia, al Teatro Sperimentale di Pesaro con 100 spettatori (su 500) ben distanziati, e un unico performer in scena, Ascanio Clestini, celebre attore-narratore, si è ancora dato da fare. Amat il circuito delle Marche, ha predisposto per il suo festival estivo, “Civitanova Danza”, un “Quartetto in rosa” : quattro spettacoli di altrettante coreografe diversissime tra loro che ora sono in scena ovunque. Da Silvia Gribaudi a Claudia Castellucci – imminente Leone d’argento alla Biennale Danza 2020; da Carolyn Carlson, a Monica Casadei con il felliniano I Bislacchi, una pièce che vive con inesausta giovialità dal 1997.

Due aspetti sono ancora da sottolineare: il primo è l’afflato politico – attenzione non partitico – di queste vetrine estive ben consapevoli delle difficoltà in cui versano soprattutto le piccole e medie imprese teatrali e coreutiche, in attesa di sapere come saranno ripartiti i fondi del “Recovery Fund” e che ruolo avrà la cultura nella fase di ripresa numero due. In altri termini, secondo molti lavoratori dello spettacolo i festival non bastano, anche se sino ad ora hanno integrato eventi di grandi nomi internazionali come quello del greco Dimitris Papaioannou, con il suo sognante Ink investito da una pioggia torrenziale (a “TorinoDanza” e poi ad “Aperto” di Reggio Emilia) a nomi di casa. Una conferma giunge dalla coreografa tedesca Sasha Waltz: ha inaugurato con Dialogue/Roma 2020-Terra Sacra il mastodontico “Romaeuropa Festival” (377 artisti provenienti da 27 Paesi, 126 eventi in scena in 20 spazi della capitale tra danza, teatro, musica arti digitali e kids) insieme a molti artisti italiani ospiti sino a fine novembre. Il secondo aspetto riguarda l’originalità delle scelte.

A metà luglio “BolzanoDanza”, intitolato per l’occasione “Eden-Danza per uno spettatore”, ha offerto un “tu per tu” tra scena e platea nel Teatro Comunale altoatesino. Grazie ad Eden of Carolyn con due interpreti della celebre Carlson, a Eden secondo Michele (il già citato Di Stefano) con sei performers e infine a Eden selon Rachid , altro duetto per Rachid Ouramdane, coreografo francese di origini algerine. Con i loro frammenti di coreografie, della durata massima di 10 minuti, ha fatto scorrere trenta recite al giorno (dalle 11 del mattino alle 22.30 di sera) per un solo spettatore a rotazione. Tutto gratis, tutto accolto da festoso successo e meraviglia. Impressionante trovarsi in un’enorme teatro vuoto, a tu per tu con danzatori che si muovono ed esprimono solo per te. Originale nella sua brevità (solo tre giorni a fine agosto) anche “Orizzonti Verticali” nel magnifico borgo di San Gimignano, la cittadina delle torri (nel Medioevo 72, oggi 14). L’evento si è sottotitolato “Sentieri di carta” ma anche “Mi sono felicemente dimenticato tutto”, in omaggio a letteratura e teatro. Con la performance di danza Bianchisentieri di Patrizia De Bari, ora richiesta ovunque, ha però fatto centro. Una magnifica ballerina si muove entro un abito fatto di rotoli di carta scritta o intonsi: starebbe bene a passeggio per la 5th Avenue newyorkese o nel Gran Canyon.