Sarà la quasi ottantatrenne Twyla Tharp a presentare la sua lodevole compagnia al New York City Center (12-25 marzo) in quello che è stato definito “The Diamond Jubilee”. Il titolo, magniloquente, si deve al sessantesimo compleanno del gruppo fondato dalla leggendaria coreografa nel 1965, rigeneratosi mille volte ma sempre con ballerini giovani e fuoriclasse.

Il loro giubileo, iniziato nel febbraio 2024, sempre da New York (Joyce Theatre), sta toccando e toccherà tutte le principali città degli States da costa a costa e farà poi tappa a Venezia, in luglio. Qui l’artista sarà gratificata dal Leone d’oro alla carriera (19 luglio), mentre nei due giorni precedenti (17 e 18) la Twyla Tharp Dance Company darà il via al 19/o Festival Internazionale di Danza Contemporanea costruito dal britannico Wayne MacGregor e presenterà al Teatro Malibran un dittico composto da Slacktide, novità assoluta, su musica di Philip Glass e il beethoveniano Diabelli, una celebre coreografia del 1998. Le due pièce sono state le prescelte, tra oltre 160 coreografie, a firma Tharp, per il “Diamond Jubilee”: predisporsi all’ascolto delle loro differenti sonorità non significa ravvisare somiglianze tra le 33 variazioni per pianoforte composte da Beethoven intorno al tema di un valzer di Anton Diabelli e i 9 pezzi di Aguas da Amazonia : ritmi sudamericani per Glass, ispiratosi ai fiumi della foresta pluviale. Piuttosto il confronto musicale induce a una riflessione sul vagabondaggio culturale della futura reginetta della Biennale Danza.

Nomade per origine famigliare, l’ex-quacchera di Portland nell’Indiana, fu costretta dai genitori in età non ancora adolescenziale a un viaggio della speranza molto simile a quello della bislacca famiglia Bundren in Mentre morivo del Premio Nobel 1964 per la letteratura William Faulkner. Quel drammatico girovagare dei Tharp sembrava senza meta; in realtà, per volontà della risoluta madre, puntava all’apertura di un drive-in di cinema e teatro a Rialto, nel cuore dell’Old West desertico della California. Anche la piccola Twyla, già battezzata e sempre dalla genitrice “ballerina e genio artistico della famiglia”, si sottopose a una tormentosa migrazione didattica da maestro di musica a maestro di flamenco e di tutto un po’, come lei stessa racconta in Push Comes to Shove (Tutti i nodi vengono al pettine), puntuale ed esilarante autobiografia del 1992, suo primo libro dei quattro già pubblicati. Cosi la nostra artista, una volta maggiorenne, divenne famosa negli altezzosi ambienti del balletto newyorkese, come a Broadway, al cinema, alla tv, per i suoi musical e le sue acrobazie.

Negli anni Sessanta Tharp seppe coniugare la semplicità della Post Modern Dance in jeans e scarpe da tennis (il ceppo della Judson Church cui storicamente appartiene) a quanto di più scintillante e amato, perché popolare, esprimeva la cultura americana: il divagare aereo di Fred Astaire, la danza sociale. Tra gli anni Settanta e Ottanta, fece danzare il tip tap a Mikhail Baryshnikov nel film Il sole a mezzanotte quando ancora questo principe del balletto non conosceva altro che i capolavori sulle punte. Creò spettacoli di tempestiva verità epocale, dall’asciutto The Fugue al travolgente insieme di raffinati passi a due di Nine Sinatra Songs, con l’indimenticabile The Catherine’s Wheel, su musica di David Byrne e dei Talking Heads, diviso in tre capitoli, proposti e riproposti in video sino e oltre il 2000. Proprio nel giro di boa del terzo millennio, a sessant’anni, la sua danza, creata sempre per un gruppo di abilissimi ballerini, e sempre compiutamente musicale, somigliava sia alla sua loquacità verbale e scritta sia alla sua figura fisica: capelli bianchi e minigonna.

Peccato che le Variazioni Diabelli inserite nel “Diamond Jubilee” e viste al debutto palermitano del 1998 al Teatro Biondo, non siano solo lo scherzoso cimento di uno dei cinquanta compositori a cui l’editore viennese Diabelli commissionò le variazioni di un suo valzer, bensì il più ricco, tra i ricchissimi esempi, della tarda creatività beethoveniana. Una galoppata nella storia per giungere al suo superamento. La danza, quasi neoclassica, ma senza punte, acquisisce gesti e movenze barocche e settecentesche (il minuetto) vuole essere scherzosa ma infila eleganti passi a due con molti riferimenti a Jerome Robbins. Così tra inseguimenti e fughe, il Diabelli della nostra coreografa scivola via garbato e inoffensivo. Nell’immagine si prova a rivalutare l’ironia – una delle variazioni fa il verso al Leporello mozartino: e chi dimentica che Tharp ha eleborato la coreografia nei film di Miloš Forman, da Hair ad Amadeus a Ragtime ? Resta il dubbio che tra il pensiero musicale, summa aristocratica della grande tradizione tedesca, e la coreografia schiettamente americana della Tharp, si muova, in realtà il fantasma di un’inconciliabile intesa. Ma staremo a vedere.
Quanto a Slacktide (2025), quando possibile accompagnato dal vivo dal Third Coast Percussion con la flautista Constance Volk, fa coincidere il primo dei suoi pezzi con l’ultimo movimento di In the Upper Room, la prima e sino al “Diamond Jubilee” unica collaborazione della Tahrp con Glass, risalente al 1986. Dopo un’apertura d’insieme al rallentatore, con i ballerini che entrano come se si muovessero nell’acqua – Slacktide significa marea calma – vi sono frasi rimbalzanti anche per danzatori dalle linee non ballettistiche, eppure fluidi e svolazzanti sulla partitura. Il tema dei fiumi in Amazzonia non ha alcun collegamento con la coreografia che, invece riguarda il tempo: il modo in cui accelera, rallenta, dipende dalla nostra sensibilità e percezione. Una “marea debole” è un momento in cui l’acqua è ferma, non si muove in nessuna delle direzioni acquee. Al culmine finale di Slacktide di Tharp, un ballerino grassottello si getta nelle braccia di un altro danzatore per poi sollevarsi e l’intero ensemble si blocca magicamente, mentre i ritmi della partitura di Glass continuano a correre. Una forte luce proveniente dalla parete di fondo fa muovere tutti dentro e fuori dalle silhouette stagliate sul fondale. Vi è tensione dialettica tra temporalità ed eternità: la coreografa sembra dirci che il tempo è in continua evoluzione e contiene il qui e ora e l’aldilà. Non è una scoperta, ma per dirla in danza occorre la brillantezza mentale e fisica di una Tharp.