“Le Sorelle Macaluso”, di Emma Dante, ultimo film italiano in Concorso al Festival del Cinema di Venezia, ha suscitato non poche perplessità, polarizzando opinioni contrastanti del pubblico.
Dante si è cimentata nella cinematografia dopo aver accumulato un sostanzioso background come regista teatrale; con questo film è alla sua seconda esperienza cinematografica, dopo “Via Castellana Bandiera” del 2013.
La regista siciliana ripropone qui a Venezia, con i dovuti adattamenti, un suo pezzo teatrale, l’omonimo “Le Sorelle Macaluso”, con cui vinse il premio Ubu nel 2014.

Il film ambientato negli anni ’80 in una Palermo disadorna e austera, è la storia di una famiglia composta da cinque sorelle (Katia, Pinuccia, Maria, Antonella e Lia) che abitano un appartamento senza la presenza dei genitori: “Non è importante la presenza dei genitori, potrebbero essere morti o semplicemente assenti. La storia non cambierebbe se sapessimo di più su i genitori”, commenta la regista interrogata su questo particolare durante la conferenza stampa. Ma la risposta non convince e non soddisfa: come può una famiglia essere la stessa con o senza genitori?
Il racconto del film si sviluppa intorno alla vita delle cinque sorelle nell’arco di tutta la loro esistenza, dalla loro infanzia fino alla loro vecchiaia.
Se all’inizio la telecamera si muove con ritmo veloce, catturando particolari descrittivi delle cinque sorelle, man mano, nel corso del film, la regista Dante perde l’effervescenza e si rilassa insistendo con inquadrature lunghe su particolari che non offrono niente di arricchente al contenuto del film. Così, al rallentarsi della ripresa cominciano a dipanarsi una serie di eventi che diventano l’oggetto dominante del film. Ma l’accumularsi degli eventi non lascia spazio alla riflessione, necessaria per la elaborazione della tempesta di sentimenti che le protagoniste si trovano a dover affrontare.
I sentimenti vengono espressi attraverso la lettura di testi letterari: la regista, utilizzando la passione per la lettura di Lia, si avvale di testi estrapolati e letti da scritti di Oriana Fallaci, Annamaria Ortese e Fyodor Dostoevskij, e, come se non bastasse, utilizza come colonne sonore del film, canzoni i cui testi fanno da ‘didascalia’ per la rafforzare i concetti sottostanti la trama del film stesso.
Attraverso questa escamotage Dante rende ridondanti concetti come l’amore per gli animali, la rabbia insita nei personaggi, la paura di morire, l’appassionato amore omosessuale. Sovraccaricato è anche la reazione di Maria nel divorare un vassoio di pastarelle; forse a simboleggiare i morsi alla vita che lei stessa non era riuscita a dare, incapace di realizzare le sue aspirazioni, mentre la vita stava divorando lei con la malattia.
Una tonalità eccessiva viene utilizzata dalla regista nella descrizione di tutte le sorelle Macaluso: chi eccessivamente sovrappeso, chi eccessivamente affamata di sesso, chi maledettamente divorata dal cancro, chi addirittura si rifugia nell’eccesso della follia.
Anche le mura della casa e gli oggetti che in essa abitano sono eccessivamente ridotti alla rovina, una rovina causata dal tempo ma soprattutto causata dalla mancanza di accortezza e mancanza di amore. Questo un tema mancante nel film: l’assenza dell’amore. Eppure tutto parte da li.
“Questo film è un film sul tempo” dice più volte la regista, interrogata sul significato del film. Ma questo che significa? Forse vuole dire che il lungo arco temporale in cui il film si sviluppa le ha offerto l’opportunità di porre in scena una gran quantità di drammaticità umane: la morte della piccola Antonella, la omosessualità di Maria e le sue aspirazioni di danzatrice mai realizzate, la morte di cancro della stessa Maria, la malattia mentale di una delle sorelle, disaccordi famigliari per la divisione misera eredità. Insomma un cocktail di avvenimenti che la regista dosa e calibra per offrirli al pubblico stimolando forti reazioni emotive; un po’ come parlare alla ‘pancia’ dell’osservatore, offrendo dosaggi di tragicità umana per destare reazioni “wow”.

Se la regista voleva utilizzare il “tempo” come utile contenitore di tanti eventi tragici, allora possiamo concordare con lei e sostenere che questo è un film sul tempo che passa e schiaccia la vita dei suoi protagonisti.
Ma se ci si domanda “che altro è questo film” e ci si avventura alla ricerca di significati più profondi le risposte sono deludenti: è un film “patina”, un film “formica”, un film che non va oltre il registrare gli avvenimenti non offrendo allo spettatore considerazioni profonde. Queste sono state le riflessioni di coloro che da un film non solo si aspettano di essere sollecitati emotivamente ma anche di essere coinvolti ad un livello di pensiero più profondo.
La scena finale del film, quando lo spostamento di un pezzo di mobilia rivela la presenza di un buco nella parete, ci riporta con la memoria alla scena iniziale del film che si apre con le bambine Macaluso intente a creare un buco sulla parete delle loro casa. Mentre nel corso del film i sentimenti vengono sollecitati in modo ridondante, il significato del buco alla parete è rimasto oscuro ai più. Sollecitata a dare una spiegazione del valore simbolico del buco alla parete, la regista ha risposto: “Non vi offro nessuna spiegazione del significato del buco. Se non ne avete capito il significato me ne dispiaccio. Forse è stata una mia mancanza di chiarezza”. E’ sembrata ai più una risposta irritata, stizzita e anche ironica. Una risposta eccessiva, come eccessivo è il linguaggio del film.
Quale è il significato profondo di questo film? Posta difronte a questa domanda la regista ha difeso la propria scelta filmica sostenendo: “la vita di tutti è fatta di tanti eventi e io volevo solo raccontare la vita di queste donne e le loro problematiche”.
Un film sulle donne fatto da una donna. Ma questo è un gruppo di donne, le sorelle Macaluso, che hanno fallito, ritrovandosi a vivere circondate da rabbia, tristezza, e rancore. Donne che non sono state in grado di “tirarsi su”, di credere nella forza dei propri desideri e ambizioni, donne senza un progetto di vita a lungo termine.
Insomma, donne che ripropongono modelli sociali a cui noi (chi scrive è una donna) non vogliamo assomigliare, sebbene possiamo provare empatia nei loro confronti.
Il film uscirà a partire da giovedì, 10 settembre, nei cinema italiani.
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