Il periodo estivo è sempre particolarmente propizio per occuparsi di fantascienza, un genere solo apparentemente semplice, ma in realtà molto complesso e ricco di sfumature proprio per le sue molteplici influenze culturali.
La fantascienza, come genere letterario, sfugge ad una definizione troppo rigida, ma nell’antichità possiamo citare Luciano di Samosata (120 – 192), filosofo e scrittore vissuto tra Atene e Roma, che nella sua opera più nota, La storia vera, descrive, tra le altre avventure, un viaggio sulla Luna dove insieme ad altri compagni incontra i seleniti con il loro re Endimione in lotta contro il re del Sole Fetonte per la colonizzazione del pianeta Venere (Vespero). L’intento dell’opera è satirico, come ci informa lo stesso autore, ma nulla toglie alla sua fantasia sbrigliata che lo porta ad una curiosa elencazione degli usi e costumi del popolo dei lunari.
Nel corso dei secoli molte sono state le storie che hanno spinto gli scrittori a parlare di mondi fantastici, basti pensare all’ Orlando furioso (1516) di Torquato Tasso (1544 – 1595) e al viaggio sulla Luna di Astolfo trasportato dall’alato ippogrifo (figura mitologica metà cavallo e metà grifone, introdotta per primo da Luciano) per ritrovare il senno smarrito del paladino.
Nel 1657 Savinien Cyrano de Bergerac (1619 – 1655) viene pubblicato postumo L’altro mondo o Gli stati e gli imperi della luna in cui il protagonista raggiunge la Luna trasportato dall’attrazione su una cintura composta da fiale dii rugiada e ci racconta usi e costumi di quei luoghi, sempre in forma satirica.
Altro famoso viaggio lunare è quello descritto da Rudolf Erich Raspe (1736 -1794) nell’opera Le avventure del barone di Münchhausen (1781).
Sulla Luna il mirabolante barone ci va ben due volte: la prima arrampicandosi su una pianta di fagiolo di Spagna (noto per la sua velocità di crescita) per recuperare la sua ascia d’argento e la seconda rapito da un ciclone marino (e qui ritorna sempre Luciano).
Un romanzo precursore è sicuramente Frankenstein pubblicato nel 1818 da Mary Shelley (1797 – 1851) in cui, in un ambiente culturale contaminato da romanticismo e positivismo, si narra della creazione di un “mostro” eticamente tormentato, frutto dell’ingegno umano.
Fa seguito l’opera dello scrittore, giornalista e poeta americano Edgar Allan Poe (1809 – 1849) che nella sua vasta produzione di horror e gialli pubblica anche saggi di argomento scientifico come Eureka del 1848 in cui vi è una teoria del cosmo che contiene una plausibile spiegazione del cosiddetto paradosso di Olbers ed anticipa la teoria del Big Bang. Nel racconto Lo scarabeo d’oro (1843) Poe dà poi sfoggio della sua conoscenza matematica della crittografia.
La fantascienza moderna si fa però risalire principalmente a due autori, Julius Verne (1828 -1905) e a Herbert George Wells (1866 -1946).
I due scrittori definiscono due generi della fantascienza: il francese fonda una fantascienza scientifica e tecnologica, nel senso che le sue storie, si pensi a Dalla Terra alla Luna (1870), sono plausibili e realizzabili in un futuro più o meno prossimo, mentre l’inglese dà inizio ad una fantascienza positivamente contaminata da elementi misteriosi che sfociano anche nell’orrorifico romantico, si pensi ad esempio alla Guerra dei mondi (1897) o alla Macchina del Tempo (1895). Dopo tutto la distanza temporale tra Verne e Wells (e, se vogliamo, anche dalla Shelley) è limitata, ma i generi sono diversi e come detto, daranno luogo anche cinematograficamente a due filoni distinti.
Wells introduce nella fantascienza il “perturbante” cioè l’elemento inconsueto legato alla paura che si insinua nel mondo quotidiano e che la psicanalisi freudiana farà a suo modo suo legandolo all’inconscio.
Questo brevissimo excursus ci serve a introdurre il cinema di fantascienza che delle due tendenze prima descritte porta significazione.
In assoluto il primo film di fantascienza è Viaggio sulla Luna (1902) di Georges Méliès, muto, in bianco e nero e poi colorato a mano. L’immagine del faccione lunare colpito in un occhio dal missile è ormai entrata nella cultura pop mondiale.
Una citazione di Fritz Lang (1890 – 1976) con il suo Metropolis (1927) e Una donna sulla Luna (1929) è inevitabile, ma il vero cinema di fantascienza nasce e si sviluppa a partire dagli anni ’50 dello scorso secolo principalmente negli Stati Uniti.
La stagione d’oro dei film di fantascienza classica si ebbe nel decennio che va dal 1950 al 1959 anche se diversi capolavori sono stati prodotti in seguito, ma gli anni ’50 hanno una caratteristica di continuità e pervasività che poi non si trova più in seguito.
Il centro promotore mondiale era naturalmente Hollywood e il mercato fu letteralmente invaso da film di vario livello qualitativo. Molti i cosiddetti “beta – movie” o “film di serie b” che a causa del budget limitato si presentavano con soluzioni tecniche e narrative che lasciavano a desiderare, ma anche alcuni di questi film divennero in seguito dei veri e propri oggetti di culto (cult – movie) per i fan.
Occupiamoci invece dei film di fantascienza di alto livello qualitativo.
Il primo film che segna l’inizio della fantascienza matura è Uomini sulla Luna (Destination Moon) film del 1950 diretto da Irving Pichel con la collaborazione dello scrittore Robert A. Honlein (autore del famoso La Luna è una severa maestra, 1966). La trama è semplice: si tratta della descrizione, quasi documentaristica, della conquista del nostro satellite ben 19 anni prima che avvenisse realmente.
Il livello qualitativo è alto tanto che la pellicola vinse un Oscar l’anno successivo per gli effetti speciali. Non vi sono mostri o alieni, ma l’interesse del film è soprattutto nella descrizione tecnica del viaggio e di come all’abbandono del nostro satellite gli astronauti riescano con l’ingegno a risolvere un problema di peso eccessivo che rischiava di non farli più decollare. Una tematica che si ripresenterà poi realmente nel decennio successivo con i programmi Nasa denominati Mercury, Gemini ed Apollo.
Un altro film che ha fatto epoca è La cosa da un altro mondo (The Thing from Another World) del 1951 e diretto da Christian Nyby.
Se il film precedente può essere ascritto al filone di Verne questo è senza dubbio attribuibile invece a quello di Wells.
Un disco volante si schianta in Alaska e rimane imprigionato dai ghiacci. Il personale della locale base scientifica individua in maniera suggestiva l’ordigno ed estrae un blocco di ghiaccio con l’alieno dentro e lo porta alla base stessa. L’essere però si libera ed inizia una vera e propria guerra tra il personale e l’alieno che verrà finalmente distrutto.
Si tratta di un’opera che inaugura appunto il genere misto in cui non c’è solo fantascienza ma anche una componente più propriamente attribuibile al genere horror e che basa sulla paura dell’ “altro”, del diverso e non a caso in pieno maccartismo.
Altro film epocale è Ultimatum alla Terra (The Day the Earth Stood Still) del 1951 diretto da Robert Wise. Questa volta un disco volante atterra a Washington e ne discende un alieno saggio, Klaatu, coadiuvato da un imponente robot d’acciaio di nome Gort, inviati dalla Confederazione Galattica per ammonire i terrestri a non continuare gli esperimenti nucleari e a convivere in pace pena la distruzione (da parte aliena) del pianeta.
Del 1953 è invece un film forse meno noto dei precedenti ma che contiene interessanti spunti. Si tratta di Gli invasori spaziali (Invaders from Mars) per la regia di William Cameron Menzies.
David, un ragazzino con l’hobby per l’astronomia, una sera mentre osserva il firmamento con il suo telescopio si accorge che un oggetto volante atterra vicino la sua casa. Impaurito avverte i genitori che non gli credono. Il ragazzo insiste e così i genitori svegliati in piena notte lo seguono nel luogo dell’avvistamento dove il padre, che è uno scienziato, viene improvvisamente risucchiato sottoterra. La madre e il figlio non si accorgono di nulla, ma poco dopo il padre ricompare ma si comporta stranamente. Infatti è “posseduto” da un alieno, tema che da allora in poi si ripresenterà spesso.
La vicenda si conclude con l’intervento dell’esercito americano e l’esplosione in volo della navicella spaziale e così la Terra è salva.
Veniamo ora a due pezzi da novanta.
La guerra dei mondi, sempre del 1953, per la regia di Byron Haskin, è tratto direttamente dal libro già citato di H. G. Wells e narra dell’invasione da parte degli abitanti di Marte della Terra ed ha vinto anch’esso il premio Oscar per gli effetti speciali.
Il film all’epoca terrorizzò non poco gli spettatori americani ma anche italiani grazie all’espediente delle macchine volanti a forma di manta, con luce pulsante verde e dal caratteristico ronzio che distruggevano qualsiasi cosa si trovasse sul loro cammino con una sorta di raggio laser inceneritore. Si noti come queste macchine metalliche nel romanzo di Wells fossero in realtà dei “tripodi” che non volavano ma si muovevano sulle lunghissime “zampe” metalliche.
Uno scienziato ed una ragazza si oppongono inutilmente agli invasori fino al finale in cui la provvidenza divina corre in aiuto dei terrestri grazie ai batteri che uccidono gli invasori.
Il pianeta proibito è invece del 1956, per la regia di Fred M. Wilcox ed è ispirato da La Tempesta di William Shakespeare.
Un’astronave del XXIV secolo, C-57-D, atterra sul pianeta Altair IV alla ricerca dei superstiti di una precedente missione scientifica, la Bellerofonte, diretta dal professor Edward Morbius che fa di tutto per dissuadere l’atterraggio. John J. Adams, il comandante, atterra comunque. Il professore e sua figlia Alta gli raccontano di una “forza misteriosa” che pervade il pianeta e che uccise tutto il gruppo tranne la sua famiglia. Una razza antichissima, i Krell, svilupparono una formidabile tecnologia sotterranea che il professore ancora studia ma dimenticarono di integrarla con l’inconscio, con i cosiddetti “mostri dell’Es” che attenteranno anche alla loro incolumità.
Il mostro del subconscio, e qui siamo in piena psicanalisi, tenta di ucciderli squagliando letteralmente massicce porte d’acciaio, ma il comandante, la figlia e l’equipaggio fanno esplodere il pianeta e il professore perisce insieme alle vestige e i segreti dei Krell.
Da ricordare il debutto del robot Robby che fu un vero oggetto di culto con gadget e riproduzioni in tutto il mondo.
Il decennio d’oro non può non includere L’invasione degli ultracorpi (Invasion of the Body Snatchers) del 1956 per la regia di Don Siegel che riprende però la trama del meno noto e già citato Gli invasori spaziali del 1953 di cui abbiamo già parlato.
Anche questa volta gli alieni scelgono la strada della sostituzione degli umani e lo fanno grazie a dei giganteschi “baccelli” che incubano e riproducono perfettamente le persone da sostituire.
All’inizio il protagonista, il dottor Bennell, come al solito, non viene creduto ma poi la polizia gli darà ragione coinvolgendo l’esercito e sconfiggendo il pericolo.