Video a cura di Giulia Pozzi
“Gomorra” è un indiscusso ed indiscutibile fenomeno. La serie televisiva liberamente ispirata all’omonimo best seller di Roberto Saviano e al film di Matteo Garrone, che racconta a tinte crude le organizzazioni camorriste che delinquono nelle aree periferiche di Napoli, sta inchiodando davanti allo schermo gli spettatori di 170 paesi in tutto in mondo. Sono numeri sorprendenti per una produzione televisiva italiana, ed ancora più sorprendente è il successo che la serie sta avendo negli Stati Uniti. La storia del cinema e della serialità televisiva americana ha già elevato al rango di classici film dello stesso genere da “Il Padrino” a “Scarface” alla serie de “I Soprano”. Le storie raccontate in quelle celeberrime pellicole però appartengono ad un’altra cultura, quella italoamericana, e sono raccontate con un filtro drammaturgico più fittizio, più narrativo che neorealista. “Gomorra” abbraccia questa tradizione cinematografica ma vira verso un taglio spietatamente verista, raccontato in dialetto napoletano e dove il territorio non fa solo da sfondo ma diventa assoluto protagonista.
L’attore Salvatore Esposito, che nella serie interpreta il personaggio crudele e senza scrupoli di Genny Savastano, è un altrettanto fenomeno. Fenomenale è la sua parabola artistica e di vita che dalla stessa periferia napoletana raccontata in “Gomorra” lo ha portato ad essere protagonista del mondo del cinema e dell’intrattenimento. Esposito si racconta nel libro Non volevo diventare un boss – Come ho realizzato in miei sogni grazie a Gomorra, da poco uscito per le edizioni Rizzoli e scritto insieme all’autore Diego Nuzzo. Un racconto di vita intenso che mostra una faccia simile e diversa, complementare ed antitetica, della Napoli raccontata nella serie televisiva che lo ha reso famoso. Cresciuto proprio là dove molti giovani cadono vittime delle illusorie promesse della camorra, Salvatore in questo libro si racconta al bivio di un destino che lui, grazie soprattutto all’appoggio fondamentale della sua famiglia, ha preso per mano verso una strada luminosa, forte di un sogno che aveva sin da quando era bambino: quello di fare l’attore. Quasi ironicamente quella strada però gli si è riproposta, non la ha vissuta ma ha saputo interpretarla e farla vivere in tutta la sua brutale ed umana ricchezza nel personaggio di Genny.
Esposito è volato a New York per presentare il suo libro, proprio nel paese dove Gomorra sta diventando sempre di più un cult. E per raccontare il lato più luminoso della sua Napoli, si è affidato alla collaborazione dell’autore napoletano Alessandro Iovino e di Rosario Procino, proprietario di Ribalta Pizzeria, il ristorante punto di riferimento di tutta la comunità italiana ed in particolare partenopea a New York, da anni impegnati a creare un ponte ideale tra Napoli e la Grande Mela.
Presso la Casa Italiana Zerilli-Marimò della New York University, Esposito ha amabilmente discorso del nuovo libro, della sua storia e della sua carriera, con il direttore della Casa Italiana Stefano Albertini e con Angela Vitaliano, napoletana doc ed affermata giornalista residente a New York. Molte le tematiche affrontate durante la conversazione, e palpabile l’entusiasmo del pubblico che ha accolto Esposito come una vera e propria star. L’attore napoletano ha raccontato di quanto importante sia distinguere la serie televisiva Gomorra, da quella che è la realtà di Napoli nella sua complessità. “Dobbiamo sempre ricordarci che la serie si intitola “Gomorra”, non si intitola Napoli”, chiosa Esposito quando un membro del pubblico lo ringrazia perché grazie a “Gomorra” gli americani, ed in particolare gli italoamericani, hanno la possibilità di sentire Napoli più vicina e di vederla per quella che è. La camorra fa parte di Napoli, ed è una realtà, come lo è però la grande cultura accademica, la grande laboriosità dei napoletani, l’arte di arrangiarsi, il sole, il mare e la pizza. Così come i ragazzi napoletani, che non sono tutti figli o schiavi della camorra, che inseguono i loro sogni, con determinazione, forza e costanza, così come Salvatore che ha sempre desiderato in cuor suo di diventare un attore, di studiare, di sfidare i luoghi comuni e di diventare anche un esempio per la sua generazione. “Non volevo neanche farmi i tatuaggi da ragazzo perché avevo paura che non sarebbe poi stato bello quando avrei poi fatto l’attore, sapevo già che ci dovevo tenere un po’ alla mia estetica”.
Racconta tirando fuori anche la sua vena più comica e disimpegnata così diversa dal personaggio che interpreta nella serie televisiva. Ed infatti il profilo che emerge dalla stimolante conversazione con Albertini e Vitaliano, è quella di un attore a tutto tondo, preparato e molto professionale. Salvatore parla di quando dopo aver lavorato per anni da McDonald decise dal giorno alla notte di licenziarsi e di partire alla volta di Roma per studiare recitazione. Sarà l’accademia d’arte drammatica di Beatrice Bracco, purtroppo da poco scomparsa, ad accoglierlo e ad intuirne le grandi potenzialità e la versatilità attoriale che lo contraddistingue e che gli permette di passare dallo spietato Genny al personaggio più leggero e comico di “Puoi baciare lo sposo” di Alessandro Genovesi, dove interpreta un giovane ragazzo gay in procinto di sposarsi. Anche in questo caso l’attore lancia un messaggio positivo per la sua generazione: “l’amore è amore, di qualsiasi genere esso sia. Io sono cattolico e la prima cosa che Dio ci dice è di amare. L’amore è puro e non ha genere”, ha dichiarato infatti Esposito. Lui che da attore ormai di mestiere sa perfettamente dove il personaggio finisce e la persona attore comincia, cerca di non confondere mai i due piani: “quando interpreto Genny lascio a casa Salvatore, quando finisco di interpretare Genny non lo porto con me nella mia vita privata, è importante per un attore distinguere questi due piani per essere sempre vero in quello che si interpreta”. E così l’attore Esposito non porta il suo giudizio su la camorra o sul suo personaggio dentro la scena, questo non vuol dire però che al di fuori del contesto drammatico, questo giudizio non ci sia e non sia anche molto presente. Per Salvatore è una missione raccontare della propria storia e lanciare un messaggio positivo ai ragazzi della sua generazione.
È consapevole della fascinazione e della spettacolarizzazione del male che una serie come “Gomorra” propone al pubblico, e sicuramente è questo il segreto del suo successo perché “la gente è attratta, storicamente, dai personaggi negativi, che ci spingono a chiederci il perché, perché della gente normale come noi ad un certo punto è portata a compiere degli atti così efferati”. Però non bisogna mai confondere il piano dello spettacolo con quello della vita reale. Nella vita reale Salvatore non è il figlio del boss e si augura che sempre più ragazzi della periferia, non solo di Napoli ma delle periferie di tutto il mondo, scelgano un percorso come il suo. Ce ne ha poi parlato in maniera più approfondita nella nostra intervista esclusiva:
In questo tuo libro, “Non volevo diventare un boss”, sei vicino e nel contempo distante dal personaggio che interpreti in Gomorra. Quanto è diverso Salvatore da Genny?
“Nel libro non prendo le distanze dal mio personaggio, ma da quello che il mio personaggio rappresenta cinematograficamente. Io sono nato e cresciuto nella periferia nord di Napoli. Quelle zone le conosco, e so che ho fatto una scelta anche grazie alla mia famiglia, di non voler intraprendere la strada della delinquenza. Ho intrapreso invece quella artistica, attoriale, una passione che ho inseguito sin da ragazzo. Genny è totalmente diverso da Salvatore. Io sono un ragazzo tranquillo, solare, che cerca di inseguire il suo sogno, Genny è diventato un killer senza scrupoli che pur di ottenere potere e il denaro non si pone limiti morali”.
Gomorra è un grande successo internazionale, molto amato negli Stati Uniti. Cosa pensi ci sia di diverso in questa serie televisiva rispetto ad altri film e serie dello stesso genere, che la stanno rendendo così incredibilmente popolare?
“Rispetto ai film storici e le serie storiche, da “Il Padrino”, “Scarface” a “I Soprano”, penso che “Gomorra” sia diversa perché c’è un racconto che nasce e si sviluppa sul territorio, così come non è mai stato fatto prima. Un racconto reale e crudo. Una narrazione che parte da Napoli, in lingua napoletana, ma si sviluppa a macchia d’olio in tutte le nazioni che tocca, dalla Spagna alla Germania, all’Inghilterra”.
Come sottolinei nel tuo libro, “Gomorra” racconta solo un lato di Napoli, probabilmente il suo lato oscuro. Ma Napoli non è solo questo, Napoli è la città della grande tradizione artistica, culturale ed accademica che affonda le sue radici ne Il Regno delle due Sicilie. È la città della grande laboriosità, della sublime arte dell’arrangiarsi. Quali sono secondo te i valori positivi e gli ideali che il carattere napoletano porta con sé e che possono insegnare tanto e dare tanto ai giovani della nuova generazione.
“La volontà di “Gomorra” non è quella di raccontare Napoli, altrimenti la serie si sarebbe chiamata Napoli. Quello che racconta la serie è di questo cancro che noi troviamo ovunque, la mafia è ovunque e si ramifica spesso nelle periferie delle grandi città. Le istituzioni fanno fatica a far penetrare la luce in queste realtà purtroppo degradate. Attraverso il mio libro spero di portare un messaggio di speranza ai giovani, che se vogliono con la loro forza ed il loro spirito possono combattere questo male. Questo non significa farsi eroi o giustizieri, ma scegliere di non intraprendere quella strada. Se tu hai un sogno e lotti per realizzare quel sogno, ce la puoi fare, questo è quello che voglio dire con questo libro”.
Cosa significa per te trovarti qui a New York a presentare il tuo libro e a rappresentare la cultura della tua città?
“È un grande onore che mi fa capire che se sogni in grande puoi davvero raggiungere grandi traguardi. Non mi sarei mai aspettato di trovarmi qui a presentare il mio libro e a parlare della mia esperienza. E chissà cosa potrà accadere nei prossimi cinque anni”.
Te lo chiedo allora, cosa ti auguri che accada nei prossimi cinque anni?
“Spero di avere l’opportunità di confrontarmi con altri grandi registi ed attori internazionali e di potermi confrontare con me stesso e capire fino in fondo le mie capacità attoriali per crescere sempre di più. Ci sono in vista dei nuovi progetti anche se ancora non sono ben delineati, ma è già un grande traguardo sapere che questi progetti sono in cantiere”.