Valeria Golino ha sicuramente una presenza scenica che emana un particolare magnetismo, qualcosa difficile da definire, un affascinante mistero che gli americani chiamerebbero: star quality. Lo si percepisce nell’aria, come un’esotica fragranza che si sprigiona non appena entra in una stanza e la guardi arrivare da lontano. È come se quel sogno, quell’epifania che appare come una sensuale dea sullo schermo, si manifestasse in carne ed ossa davanti ai tuoi occhi. Ma più si fa vicina, e più la tua visione si fa chiara, ecco che l’icona dell’attrice svanisce e la donna Valeria si presenta ai tuoi occhi. Lo percepisci nei tratti morbidi del viso che si rilassano in un ampio, rassicurante sorriso, nella vivacità dei suoi occhi, nel suo modo autoironico di scherzare sulla caviglia che ha da poco danneggiato e che non le concede il passo conturbante e felpato che ci si aspetterebbe da una diva del suo calibro.
Si coglie anche una sorta di dolce innocenza in lei, una gioviale leggerezza che in qualche modo stride con l’immagine voluttuosa con la quale è spesso dipinta al cinema. Probabilmente è proprio quell’innocenza uno dei segreti della sua misteriosa ed inafferrabile sensualità. “Mi considero una persona euforica e molto positiva”, ci racconta l’attrice mentre ci parla del suo nuovo film, quasi a volerci dare una chiave d’accesso a quel mistero. “Preferisco sempre non recitare nei miei film da regista. Non trovo molto interessante il mio punto di vista su me stessa, preferisco quando qualcun’ altro mi guarda attraverso una camera, e magari scopre delle parti di me che non conoscevo e mi spinge in territori a me sconosciuti. Amo lavorare nello stesso modo con i miei attori sul set.”
Valeria Golino, l’attrice, vanta una carriera davvero eccezionale, uno dei rarissimi esempi di attrice italiana capace di imporsi anche all’estro. Da giovanissima inizia infatti la sua avventura ad Hollywood che in pochi anni la trasforma in una vera e propria star. Indimenticabili le sue interpretazioni in Rain Man (1988) al fianco di Dustin Hoffman e Tom Cruise; Hot Shots (1991); The Indian Runner (1991) di Sean Penn; Four Rooms (1995) di Quentin Tarantino; o Frida (2002), diretto da Julie Taymor. Dopo l’America è la Francia che l’accoglie e poi il resto dell’Europa. In Italia lavora con alcuni dei cineasti contemporanei più d’avanguardia: Citto Maselli, Gabriele Salvatores, Emanuele Crialese, Silvio Soldini, Francesca Archibugi, Ferzan Özpetek, Paolo Virzì, Francesca Comencini.

Le sue scelte attoriali sono sempre imprevedibili, fuori dagli schemi, e dipingono un caleidoscopico ritratto di donne, dalla mangiatrice di uomini all’eterea dea, dalla donna impegnata, alla madre e alla ragazza della porta accanto. La sua recitazione, spontanea, istintiva ma anche sofisticata le ha permesso di vincere i premi più prestigiosi tra i quali quattro Nastri d’Argento, 3 Globi d’Oro, 3 Golden Ciak e 2 David di Donatello. Inoltre, è una delle tre sole attrici nella storia ad avere vinto due volte la Coppa Volpi come migliore attrice al Festival del Cinema di Venezia.
Con il suo primo film da regista Miele (Honey), interpretato da Jasmine Trinca, la Golino debutta immediatamente al Festival di Cannes 2015 nella sezione Un Certain Regard, vincendo anche il premio della giuria ecumenica. Il film è stato accolto da critiche entusiaste ed è stato unanimemente riconosciuto come il miglior debutto nella storia del cinema di un’attrice alla sua prima prova da regista.
Alle prese con la sua seconda prova registica, le aspettative dell’attrice erano molto alte. Sentiva di dover provare qualcosa con questo film, aveva paura che il successo del primo potesse essere considerato come un caso fortuito. Una sfida forse ancora più grande anche per la scelta di vestire una storia che si confronta con il tema del cancro con una chiave comica e a tratti disimpegnata.
In Euforia, Golino indaga il conflittuale rapporto tra due fratelli, Ettore (Valerio Mastandrea), e Matteo (Riccardo Scamarcio, ex-marito dell’attrice), che si fa ancora più problematico alla scoperta della malattia di Ettore, un tumore al cervello che ne sta progressivamente deteriorando il fisico e la mente. Ettore è un professore che vive nella provincia di Roma, dal carattere solitario, a tratti scontroso e molto riservato, mentre Matteo è un imprenditore di successo omosessuale che vive una vita euforica di lussi ed eccessi nel mondo del jet-set romano. Matteo decide di prendersi cura della malattia del fratello ma anche di nascondergli la gravità della sua condizione. Grazie al rapporto privilegiato che ha con i medici ai quali affida la cura del fratello, Matteo riesce a convincerlo quasi fino alla fine di avere un tumore benigno, e lo incita a continuare a vivere e a guardare con positività al futuro. Nel cast anche alcune tra le più talentuose attrici italiane: Isabella Ferrari, Valentina Cervi, Jasmine Trinca, Iaia Forte, and Marzia Ubaldi. Il film è stato presentato nuovamente al Festival di Cannes 2018 nella sezione Un Certain Regard.

Abbiamo cercato di andare più a fondo nella comprensione delle tematiche e dell’estetica del film con Valeria Golino, in un’intervista senza peli sulla lingua, come è nel suo stile, nella quale l’attrice ci parla anche di come è stato dirigere il suo ex-marito, Scamarcio, sul set; dei suoi gloriosi anni ad Hollywood; dello stato del cinema italiano oggi e del perché rifiuta categoricamente lo stigma di film a tematica gay, con il quale una parte della stampa internazionale, ed in particolare il magazine Variety, ha etichettato Euforia.
Parlaci delle tematiche e dell’estetica di questo film. C’è più euforia e speranza o più tristezza e rassegnazione?
“Certamente non possiamo parlare di rassegnazione. Forse c’è paura, ansia, aspettativa. La tristezza e la rassegnazione non sono sentimenti che mi appartengono anche se a volte ovviamente li provo. L’euforia è un sentimento molto gioioso ma anche ansiogino. Con questo film ho cercato di parlare di tematiche serie, delle nostre paure profonde e anche del nostro momento presente particolarmente difficile, con un tono leggero. L’estetica e la forma in un film sono molto importanti, tanto quanto il contenuto. Ho cercato di fare un bel film, ma non volevo che l’aspetto estetizzante sovrastasse il tono ed il contenuto, perché volevo anche far ridere e spesso la comicità e la bellezza formale non vanno di pari passo.”
Da attrice, come ti sei approcciata al lavoro con gli attori? In questo film in particolare dirigi Riccardo Scamarcio, con il quale hai avuto anche una relazione intima. Come è stato lavorare con lui?
“Essere un’attrice sicuramente mi aiuta molto nel mio lavoro con gli attori sul set. Cerco di essere con gli attori esattamente come vorrei che i miei registi fossero con me. Mi piace guardare davvero i miei attori, comprenderli profondamente, voglio che si sentano protetti da me e nel contempo voglio farli sentire liberi, li invito a sperimentare con i loro personaggi a creare con me il film. Io sono molto fisica con i miei attori, li tocco, li bacio, li abbraccio, potrei essere denunciata per molestie per quanto li tocco! No, scherzo, ma per me loro sono come dei figli sul set. In questo film ho avuto l’occasione di lavorare con attori che conosco molto bene come Valerio Mastandrea e le mie amiche attrici. Quando lavori con qualcuno con cui sei anche amico, forse il senso di responsabilità è ancora più grande perché hai sempre paura di deluderlo. Con Riccardo è chiaro che non sono riuscita ad avere alcuna autorità su di lui come regista. È difficile esercitare un ruolo autorevole con qualcuno che è il tuo ex-marito. Però il vantaggio è che io lo conosco molto bene, conosco tutte le sue espressioni, i suoi limiti e le sue bellezze d’attore. Ho cercato di andare a fondo per portarle alla luce, e sono molto orgogliosa di lui e del lavoro che ha fatto”.
Hai avuto una carriera da vera star qui in America. Così ci puoi raccontare di quegli anni? Tu che hai avuto l’opportunità di avere successo all’estero come vedi l’industria del nostro cinema italiano oggi quando cerchiamo, purtroppo ancora con fatica, di esportarlo?
“La mia esperienza in America è stata estremamente valida e mi ha formata tanto. Ho vissuto dodici anni negli U.S. ed ho fatto credo diciotto film, ho lavorato con attori molto più bravi di me e con grandissimi registi. Sono sempre felice di tornare ed ho sempre qualche rimpianto di cose che magari avrei voluto fare e che sogno ancora di fare in America. Penso che negli ultimi anni il cinema italiano stia proponendo dei film validissimi e ci sono molti registi di grande talento. Cerchiamo tutti i modi possibili per farci conoscere all’estero anche se l’industria del cinema italiano non ci aiuta affatto, sta sempre un passo indietro. Esportare i nostri titoli è molto complicato, non abbiamo lo stesso supporto che per esempio il cinema francese ha. C’è probabilmente qualcosa che va cambiato anche dal punto di vista culturale, perché il pubblico italiano sembra essere disaffezionato nei confronti del proprio cinema. Nonostante questo, Euforia sta andando bene nelle sale in Italia, è rimasto al cinema per sette settimane, e per un film art-house italiano è quasi un miracolo.”
Hai avuto spesso occasione di raccontare la complessità della sessualità ed hai affrontato la tematica LGBTQ in diversi dei tuoi film. Penso per esempio al meraviglioso ritratto di donne in Le cose che so di lei (Things You Can Tell Just by Looking at Her), di Rodrigo García che hai interpretato insieme a Calista Flockhart. Tra l’altro ultimamente sei stata nominata ‘madrina’ del ‘Lovers Film Festival di Torino’, un festival che tratta tematiche LGBTQ. Una parte della stampa internazionale, ed in particolare Variety, ha criticato però il modo in cui hai rappresentato il mondo omosessuale in Euforia, definendolo un film che presenta una visione stereotipata ed obsoleta. Come rispondi a queste critiche?
“Intanto voglio dire che le mie opinioni da cittadina che lotta per i diritti civili e umani sono una cosa, e la mia visione da artista, in particolare in questo film, sono un’altra cosa. Non ho mai voluto trattare la tematica gay in questo film. Sono anche stanca del fatto che si senta ancora il bisogno di trattare questo aspetto come una ‘tematica’. Il protagonista di questo film ha una serie diversa di caratteristiche, e tra queste lui è anche un omosessuale. È tra l’altro un omosessuale promiscuo e senza peli sulla lingua. Quindi? Quando ho portato il film a Cannes, Variety ha scritto che ho riportato i gender film agli anni novanta, perché il mio personaggio è troppo libero sessualmente ed è quindi uno stereotipo. Ma secondo me questo giudizio è la vera oscenità. Forse avrei dovuto raccontare Matteo come qualcuno che è innamorato e che vuole costruirsi una famiglia, forse quello sarebbe stato più politicamente corretto. Ma io rivendico la libertà di vivere la propria sessualità come si vuole. Non intendo essere ghettizzata o censurata come donna e come artista da questa ridicola arena mediatica nella quale viviamo oggi. Io sono un’artista libera, non una perbenista”.