I protagonisti del film di Giorgio Ferrero sono quattro, ognuno scelto per rappresentare le altrettante fasi di un viaggio che attraversa con lucida freddezza la tappe di creazione, trasporto, commercio e distruzione degli oggetti che abitano la nostra vita quotidiana. Van è il manutentore di pozzi petroliferi nel deserto del Texas. Danilo invece è il capo macchina su una nave cargo che passa le sue giornate in solitudine nel cuore dello scafo dove si trova il motore della nave. Andrea è lo scienziato che ha passato la sua vita tra lo studio di formule matematiche e il silenzio di una camera anecoica. Infine Vito, che per molto tempo ha gestito slot machine, adesso è il responsabile di una gigantesca fossa di rifiuti in cemento armato.
Ognuno di loro, in maniera diversa, è il solitario custode dell’anello di una catena che Ferrero rivela alternando momenti di profonda poesia a situazioni di altrettanta prosaicità. Lo spettatore si ritrova così a viaggiare dallo sconfinato deserto del Texas in cui opera solitario l’Italo-Americano Van Quattro, al cargo su cui viaggia il capo macchina Filippino Danilo Tribunal, una nave che “può raggiungere la lunghezza di 400 metri”, ci informa Ferrero, paragonandola ai 381 metri dell’Empire State Building.
Si arriva poi alla camera anecoica dello scienziato Italiano Andrea Pavoni Belli, il luogo in cui si effettua la validazione acustica di molti oggetti di uso quotidiano e che in passato è stata usata come strumento di tortura, avverte il regista all’inizio del terzo capitolo del film. “Il silenzio è come l’alpha e l’omega, il ciclo della vita. Il suono, interazione di frequenze, è un generatore di felicità: funzione periodica continua nel tempo”, racconta la voce calma di Andrea in un ipnotico piano sequenza che ci lascia con un memento: “nel silenzio, ricercate il vostro suono, abbandonate il rumore delle cose inutili.” Ci si avvicina all’epilogo, passando per l’ultima sezione del film, quella più cupa e rappresentata dalle parole di Vito Mirizzi, un uomo che ha trascorso metà della sua vita gestendo slot machine nei bar della Svizzera e che oggi è il responsabile di una fossa di rifiuti in cemento armato di un gigantesco termovalorizzatore.
“Beautiful Things” è un documentario che vuole ammonire e denunciare, e che non ha paura di farlo sperimentando con le forme e ibridando il genere. Ferrero, musicista e compositore prima che regista, ricorda in qualche modo il lavoro meticoloso e di attenzione al suono dei documentari di Basil Wright e Alberto Cavalcanti negli anni ‘30.
Il risultato è un film che non può prescindere dal suono, che viene utilizzato con maestria non solo come ponte tra le quattro sequenze per scandire la struttura del film, ma elevato a portatore di un messaggio che il regista stesso tiene a rimarcare, dedicando il film “a noi che non sappiamo vivere senza collezionare oggetti. A noi tossici viziosi, bulimici accumulatori. A noi che non riusciamo a vivere nel silenzio”.