Nel decennio dei cinecomics, in cui sembra impossibile battere gli incassi strabilianti dei supereroi su maxi schermo, c’è una sfida dentro la sfida. Di questi tempi, infatti, un supereroe non può più permettersi il lusso di essere un “normale” supereroe: deve superarsi. Questo scopo è stato raggiunto – e riconfermato nel sequel – da Wade Wilson, alias Deadpool, l’irriverente e scorretto uomo dalla tutina rosso sangue in grado di rigenerarsi. Ryan Reynolds, oltre a vestire nuovamente i panni di Deadpool, ha partecipato anche alla produzione del film e ha lavorato alla sceneggiatura sempre in compagnia di Rhett Reese e Paul Wernick, con una new entry però alla regia, David Leitch. Una storia semplice, con i soliti protagonisti – e l’aggiunta nel cast di Josh Brolin nella parte di Cable – questa volta alle prese con un ragazzino mutante in cerca di vendetta per i maltrattamenti subiti. La furbizia del secondo capitolo sta nella riconferma di tutte le chiavi di successo del primo film, giocando con citazioni e battute, confermando l’abbattimento della quarta parete e puntando tutto sul carattere senza freni del protagonista.

Wade Wilson e il suo alter ego non sono poi così diversi: il primo è un cattivo che per soldi elimina persone più crudeli di lui, non può far a meno del sarcasmo, è innamorato della sua Vanessa (Morena Baccarin) e non ha paura della morte. Deadpool invece è un cattivo che per motivazioni unicamente personali (vendetta, curiosità, egoismo) elimina personaggi più malvagi, è un concentrato di battute, è innamorato di Vanessa e non ha paura di morire ma solo di fare del male a lei. Ciò a dimostrazione del fatto che i punti cardine del proprio carattere o della propria vita non cambiano, qualunque sia la nuova situazione da affrontare. In questo sequel ritroviamo i vecchi ingredienti, dall’affiancamento di due mutanti degli X-men al migliore amico Weasel (T.J. Miller) che pecca di mancanza di fiducia, fino alla messa in scena di tutti gli stereotipi di Hollywood e della società con l’unico scopo di smontarli. Un film d’amore e per famiglie a detta dell’eroe, che in realtà si scopre essere vietato ai minori di 17 anni negli Stati Uniti per la presenza di tematiche e argomenti non esattamente appropriati; un budget alto, non altissimo, che conquista al box office una cifra spropositata (anche qui la decisione chiara di andare controcorrente, spendendo relativamente poco per un film di azione Marvel); un anti-eroe che uccide, che sbaglia, che è sbadato e troppo spesso allo scuro delle situazioni, incapace di prendere decisioni sensate o di comportarsi da esempio per gli altri. Agisce a modo suo, spontaneamente, e piace.
Non sono servite particolari mosse vincenti per questo secondo capitolo, anzi molto spesso ci sembra si accontenti di seguire lo spartito del primo. La trama è facilmente intuibile dopo pochi minuti, del resto si parla di puro intrattenimento, di un prodotto pensato per far ridere lo spettatore, che per due ore non deve far altro che lasciarsi trasportare. Una colonna sonora quasi buffa, perfetta per descrivere il contrasto tra la violenza messa in scena e la leggerezza del protagonista, che stempera la tensione drammatica e conferma il senso di spensieratezza che caratterizza entrambi i film. Seppur di fronte ad una commedia bizzarra, la morale è comunque presente: l’importanza dell’ironia. Perfino un anti-eroe negativo come Deadpool ci insegna qualcosa, e lo fa nel mostrare la giusta chiave di lettura della vita, che andrebbe sempre affrontata con coraggio e ironia (senza usare le doppie sciabole, però).
La forza del successo dei due film sta proprio nella consapevolezza dell’obiettivo, della confezione e dei destinatari a cui è rivolto. Ingredienti che mescolati insieme funzionano e che paradossalmente estendono la fetta di pubblico a cui è dedicato: per i fan dei cinecomics, ma questa volta anche per quelli che ritengono questo universo cinematografico una grande montatura Hollywoodiana priva di fondamento e senso (e Deadpool vi dà ragione!).