Il cielo è azzurro, con qualche nuvola, oltre cui filtra un tiepido sole su Roma. E piazza del Popolo è una fiumana di gente accalcata davanti alla Chiesa degli Artisti, quella dove si celebrano le esequie dei personaggi famosi. Ma dove a lui, per tutti semplicemente Fabrizio, è riservato un posto d’onore in quanto persona. Persona, prima di tutto il resto. Volto amabile e giocondo fra mille e più maschere. Il perché la sua morte imprevista abbia scosso e al contempo unito, come raramente succede, l’Italia tutta in solo abbraccio è presto detto, ma forse più difficile da metabolizzare.
Fabrizio Frizzi era una presenza discreta e costante che, persino oltreoceano, aveva la capacità unica di bucare lo schermo, ma nel senso di andare al di là: di annullare quel filtro che separa realtà e finzione, di farsi compagno di tutti. Un appuntamento fisso quello che, negli ultimi anni, si era ritagliato nella giornata e nel cuore degli italiani con il programma L’Eredità del quale, da sostituto dell’amico Conti, era diventato l’unico titolare possibile.

Un punto fermo, con i suoi quarant’anni di onorata carriera in Rai fatta di alti e qualche basso, quasi dato per scontato. Che perciò ha lasciato attoniti gli italiani alla notizia della sua prematura scomparsa. Qualcuno ha detto che Fabrizio “rappresentava la parte migliore di noi”, al quale tutti avremmo voluto assomigliare almeno un po’. Incarnando forse quello stereotipo degli “italiani brava gente” che nel suo caso, tuttavia, rispecchiava esattamente la verità.
Quel sorriso buono, la spontaneità che esplodeva nel fragore della sua risata, la “generosità, cifra distintiva” di un’esistenza vissuta per gli altri e con gli altri, “con compassione”, ha ricordato il sacerdote che ha officiato l’omelia. Il senso del dovere e quell’entusiasmo per la vita, alla quale si è aggrappato da “combattente con il sorriso” fino all’ultimo giorno, non mancando l’incontro con il suo pubblico nemmeno nel dolore, che ha sempre cercato di eclissare dietro la sua dose quotidiana di buonumore. Fra le gaffes che l’hanno reso “uno di noi” e quei tratti così umani che al contempo lo hanno reso tanto diverso e speciale nel mondo di oggi. Eterno ragazzo fuori e dentro al piccolo schermo.
Intorno al feretro, coperto di fiori gialli, c’erano tutti a dargli l’ultimo saluto. La moglie Carlotta, i famigliari, gli amici di sempre, i colleghi. In prima fila Milly Carlucci, che visibilmente provata faticava a leggere la prima lettura, Carlo Conti, Antonella Clerici, Flavio Insinna, che nella commozione hanno tributato a Fabrizio Frizzi preghiere e una poesia di Borges, “Amicizia”. Un lungo, interminabile applauso ha accompagnato la bara dopo la messa. Sulla piazza, la gigantografia di Fabrizio che saluta i suoi telespettatori come di consueto, proprio come aveva fatto anche l’ultima sera prima di morire, dando loro “come sempre” appuntamento a domani.

“Un po’ prima delle sette, ogni sera accendevo il televisore e mi rilassavo – ricorda un signore – Lo sentivo vicino a noi, vicino alla gente. E col suo modo di fare metteva tutti a loro agio, con la sua semplicità, si vedeva che non era costruito”. Nonostante la piazza sia gremita, le persone sono raccolte silenziosamente davanti alla chiesa, fin dalle prime ore del mattino in un dolore composto e dignitoso che attraversa la calca. “Da piccolino, mi divertivo a guardare insieme a mio padre Scommettiamo che? Mi è dispiaciuto moltissimo”, ci dice uno studente universitario che tra una lezione e l’altra si è soffermato in piazza del Popolo a seguire i funerali. “Ho sentito doveroso venire a dirgli grazie”, ha detto una signora con gli occhi lucidi, in mezzo alla folla che ha ricambiato l’arrivederci di Fabrizio.
Tra le lacrime il rimpianto. E la consapevolezza che il mondo dello spettacolo italiano perde uno dei suoi artisti migliori, un professionista d’altri tempi, quelli del garbo e del rispetto: unica la sua capacità di “mettersi al servizio”, di farsi traghettatore di bellezza, di comunicare i valori che contano. Empatico ed autentico come solo i più grandi.