
Con il bellissimo “Call me by your name” – in italiano “Chiamami con il tuo nome” , basato sul primo acclamato romanzo di André Aciman e con la sceneggiatura firmata da James Ivory, Luca Guadagnino ha ottenuto 4 nomination agli Oscar.
Il film è finalmente arrivato anche nelle sale italiane il 25 gennaio per raccontare una storia d’amore di intensità travolgente. È l’estate del 1983 nel nord dell’Italia (Crema), ed Elio Perlman (Timothée Chalamet), figlio di un professore universitario, musicista sensibile, è decisamente colto per la sua età. Mostra invece una certa innocenza e immaturità nelle questioni di cuore.
Un giorno, arriva Oliver (Armie Hammer già visto in “The Social Network” e “Lone Ranger”) un affascinante studente americano di 24 anni, che il padre di Elio ospita per aiutarlo a completare la sua tesi di dottorato. In un angolo di un’Italia ideale, un Giardino dell’Eden, tra i dei nasce lentamente un desiderio inesorabile che nel corso di un’estate cambierà per sempre le loro vite.
“Chiamami con il tuo nome” chiude così una trilogia sul desiderio, dopo “Io sono l’amore” e “A Bigger Splash”. “Quel che lega questi tre film è la rivelazione del desiderio – continua Guadagnino – la nascita del desiderio verso qualcuno, o la scoperta di essere l’oggetto del desiderio di qualcun altro. Tuttavia mentre nei precedenti film il desiderio spingeva al possesso, al rimpianto, al disprezzo, al bisogno di liberazione, in “Chiamami col tuo nome”, Guadagnino ha voluto esplorare quella splendida confusione che una volta Truman Capote ha descritto affermando “l’amore, non avendo una mappa, non conosce confini”.
“Chiamami col tuo nome è anche il mio omaggio ai padri della mia vita: il mio vero padre e i miei padri cinematografici: Renoir, Rivette, Rohmer, Bertolucci”, ha detto il regista in conferenza stampa.
Il film è stato presentato al Sundance Festival nel gennaio 2017, cominciando la sua corsa verso il successo. E’ stato nominato a tre Golden Globes, per sei volte agli Independent Spirit Awards e quattro volte ai BAFTA awards e come Miglior Film ai Gotham Awards. Pedro Almodovar ha definito “Chiamami con il tuo nome” , il migliore film dell’anno in occasione dell’annuale sondaggio indetto dal sito Otros Cines Europa che include i pareri dei maggiori cineasti.
Ma qual è il motivo di tanto successo soprattutto negli Stati Uniti dove ha segnato incassi da record? C’è una tendenza americana, sia nel cinema che in televisione, ad andare velocemente al traguardo. Al regista piace invece la combustione lenta. Il classico gioco tra gatto e topo, del tira e molla che si verifica tra le persone che sono attratte l’un l’altra, ma che non sono sicure che il loro interesse sia ricambiato. Gran parte della storia si concentra infatti sulle miriade di passi avanti e indietro tra Elio e Oliver prima che il loro rapporto diventi fisico. In questo modo, il regista riesce a trasmettere bene al pubblico la sensazione di un’estate italiana, piena di gite in bicicletta, di nuotate di mezzanotte, di musica e d’arte, di pasti appetitosi sotto il sole e del risveglio della prima passione di un ragazzo di 17 anni. Per la stampa americana, che lo ha definito un capolavoro, il film evoca la sensualità e la sessualità, l’erotismo che viene utilizzato per illuminare la vita interiore dei personaggi e l’ansia tipica del primo amore. E questo indipendentemente dal genere o dalla sessualità come pochi altri film sono riusciti a fare. “Il sesso sullo schermo può essere la cosa più noiosa da guardare – aggiunge Guadagnino – in generale, ma se il rapporto sessuale è un modo per esaminare un comportamento e come questo comportamento rifletta i personaggi, allora mi interessa. Ma se si tratta solo di mostrare un atto, no, non mi interessa”.

Non è da escludere che il pubblico americano si sia fatto conquistare dal tentativo del regista di far rivivere il ricordo della dolce vita che in realtà non esiste più in Italia. Ma non sono mancate le critiche per il gap di età tra i Elio e Oliver, da parte prima del giornalista americano Chad Felix Greene e poi del collega James Woods. E nemmeno le etichette. “Non è un film a tematica LGBTQ – precisa invece il regista – è una storia d’amore tra due persone e basta”.

E’ anche un film sulla famiglia. I Perlman, pur amando la tradizione e il passato, sono decisamente moderni. Trasmettono ad Elio un gusto forte dei classici in questo Giardino dell’Eden, allo stesso tempo lo spingono per andare a sperimentare e vivere la sua vita. Molti genitori tendono a mettere un freno ai loro figli, e invece loro dicono: “Vai! Vivi, perché la vita è un dono. Vivila pienamente”.
Ma quello che rende il film speciale è la splendida consapevolezza di come si cambia quando si ama qualcuno in modo positivo. Che la sofferenza non è una cosa negativa. Il dolore deve essere gestito e curato, e se lo si ignora o, per usare le parole del Signor Perlman, ‘prova a strappartelo dal petto’, si andrebbe a strappare anche tutto il bello che c’è stato. Se si è abbastanza fortunati da provare qualcosa di profondo, anche se fa male, cerchiamo di non allontanarlo sarebbe uno spreco provare qualcosa di bello e poi cercare di far finta che non sia successo.
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