Da lunedì 27 a giovedì 30 novembre, lo splendido multisala Armida di Sorrento ha ospitato la quarantesima edizione delle Giornate Professionali del Cinema, principale occasione d’incontro per l’industria cinematografica del Belpaese e stuzzicante vetrina sull’anno che verrà.
Oltre all’anteprima di alcuni fra i titoli più attesi dei prossimi mesi – ricordiamo The Greatest Showman di Michael Gracey, con Hugh Jackman e Rebecca Ferguson e Loving Pablo di Fernando Leon De Aranoa con Penelope Cruz e Javier Bardem –, tuttavia, la manifestazione è stata teatro anche della consegna dei Biglietti e delle Chiavi d’Oro 2017, prestigiosi riconoscimenti conferiti alle pellicole, agli artisti, alle aziende e agli esercenti di maggior successo della passata stagione cinematografica italiana.
Se i trionfi di Warner Bros Italia come casa di distribuzione con il maggior numero di spettatori e de L’ora legale di Ficarra e Picone come film italiano più visto erano quanto meno preventivabili, decisamente più sorprendenti sono state le scelte della giuria riguardo agli interpreti maschili insigniti della targa ANEC Claudio Zanchi ai giovani artisti; a salire sul palco accanto alla bravissima Sara Rossi, la Fatima di Ammore e Malavita dei Manetti Bros, infatti, è stata un’insolita combriccola di ragazzotti capitanata dal «diversamente giovane» Giuliano Montaldo – nume tutelare del cinema sociale italiano e regista di film come Sacco e Vanzetti – e completata da Andrea Carpenzano, Arturo Bruni, Emanuele Propizio e Riccardo Vitiello.
Sorprendenti, dicevamo, non certo per la qualità della loro recitazione né tanto meno per la variopinta anagrafe di Montaldo – splendido ottantasettenne –, quanto piuttosto per una peculiarità “curricolare” del lungometraggio di cui sono protagonisti, Tutto quello che vuoi. Come segnalato con salace goliardia da un post sul profilo Facebook del regista del film, Francesco Bruni, infatti, questo trionfo leva più di un sassolino dalle scarpe delle maestranze coinvolte in una produzione capace di trionfare all’interno della medesima cornice campana negatagli nella scorsa edizione dal loro stesso distributore, che non inserì il titolo neppure in listino.
A dodici mesi di distanza, però, Tutto quello che vuoi ha ampiamente fugato i dubbi che condussero a quella poco lungimirante decisione, collezionando premi e candidature in tutto il mondo – dal più prestigioso, il David di Donatello consegnato proprio a Bruni per la Miglior Sceneggiatura, all’ultimo in termini temporali, il Premio del Pùblico al 10° Festival de Cine Italiano di Madrid – e rendendosi protagonista di una lunga cavalcata al botteghino condotta sull’onda del volano mediatico rappresentato dalla presenza nel cast del giovane Arturo Bruni a.k.a. Dark Side, figlio del regista e membro del noto collettivo trap Dark Polo Gang.
Limitare le ragioni del successo di pubblico registrato da quest’opera alla sola fascinazione esercitata sui più giovani dal rapper romano, tuttavia, non renderebbe giustizia al valore di una commedia capace di entrare con garbo nel cuore dello spettatore.
Dopo il graffito generazionale di Scialla! e il ritratto familiare di Noi Quattro, con Tutto quello che vuoi, infatti, Francesco Bruni decide di tracciare il delicato affresco dell’amicizia picaresca tra Giorgio (Giulio Montaldo), anziano poeta affetto da Alzheimer, e Alessandro (Andrea Carpenzano), ventiduenne sfaccendato e indolente. Poli antitetici eppur complementari di una Trastevere divisa tra i giardini delle ricche ville e la microdelinquenza che formicola ai piedi della scalinata di Viale Glorioso, i due protagonisti intrecciano i propri destini quando il giovane, a seguito di un aspro litigio con il padre, è costretto ad accettare di accompagnare Giorgio nelle sue camminate e a vegliare su di lui per trenta euro all’ora. Il bizzarro duo – cui andranno poi a sommarsi Riccardo (Arturo Bruni, appunto), Tommi (Emanuele Propizio) e Leo (Riccardo Vitiello) – prende così vita nel fumo di una sigaretta, tra piccole bische e videogame, fra divagazioni sull’amore e aneddoti di guerra, rincorrendo i ricordi di una mente smarrita e nei cui cortocircuiti si nasconde un tesoro.
Appoggiandosi alla vernice fresca del lutto intimo di un padre affetto dalla medesima malattia, Bruni – storico sceneggiatore di Paolo Virzì, livornese come lui – traccia una commedia brillante, scanzonata, lontana dal patetismo e dalla retorica spiccia, dimostrando la preziosa dote di saper ricreare empatia comica attraverso un dialogo serrato e frizzante, ricamando sulla differenza anagrafica e verbale che separa i due protagonisti, ma orchestrandone anche le eufonie. Giorgio e Alessandro appartengono, infatti, a due generazioni lontane ma che proprio l’affezione mnemonica contribuisce a saldare, facendo del vecchio vate il perfetto controcampo diegetico del ragazzotto romano, un otre vuota ma non per questo arida in cui distillare tutto ciò che il primo ha da dimenticare.
Ispirandosi liberamente a Poco più di niente (Garzanti, 2008) di Cosimo Calamini, Bruni adotta aneddoti azzeccati, capaci di catalizzare l’azione in maniera naturale, evitando così di appesantire il respiro di un racconto che scorre veloce fra le trame di un sottobosco che oltre al valore esistenziale dell’arte e della poesia ne rivendica persino la portata polemica e politica, intessendo i caratteri individuali del romanzo di formazione con quelli plenari del ricordo storiografico.
Pur non presentandosi come un’pera esente da difetti, pur cedendo alla tentazione di una messa che lascia poco al non detto e pur rifugiandosi di tanto in tanto in un eccessivo candore sentimentale, Tutto quello che vuoi può essere inserito a pieno diritto tra le più brillanti novità dell’anno, cullato da un cast che trova nella conquista della targa ANEC Claudio Zanchi un giusto riconoscimento ma anche una piccola rivincita per un Cinema in cui tutti dovremmo credere un poco di più.