Mentre il festival di Cannes, guidato dal tandem Fremaux-Lescure, sembra ‘ostaggio’ di un’endemica incapacità di rischiare, la 74ª edizione della Mostra del cinema di Venezia – pur penalizzata, come Toronto, della scelte di distribuzione delle grandi major americane (vedasi le assenze di Blade Runner 2049, It, Detroit e Dunkirk) – indica invece che il più antico dei festival internazionali ha superato la “crisi di identità” vissuta negli anni a cavallo tra le gestioni Müller e Barbera e si è ritagliato un profilo definito e originale. Come lo scorso anno, infatti, il concorso principale sulla carta appare di livello alto, potenzialmente pieno di sorprese e contornato nelle sezioni collaterali – francamente deboli nella passata edizione – da una varietà di piccole perle tutte da scoprire.
Il concorso
I grandi nomi ci sono: Aronofsky con l’horror Mother!, Guillermo Del Toro con il fiabesco The Shape of Water, Clooney regista con Suburbicon, l’opener Downsizing di Alexander Payne, ma anche Kechiche, Guediguian, Paul Schrader, Kore-Eda, Vivian Qu.

Veniamo, però, alle “vere” prelibatezze: innanzitutto, New York e la sua Public Library, ritratte dallo sguardo entomologico del grande vecchio Frederick Wiseman in un poetico documentario di oltre tre ore (Ex Libris – The New York Public Library). Altro piatto forte del menu principale è Human Flow, dell’artista-attivista cinese – sgradito, osteggiato e incarcerato in patria – Ai Weiwei: per comodità di classificazione è definito “documentario”, in realtà si preannuncia un’opera complessa e provocatoria e visionaria nel solito stile di Ai, che qui racconta la drammatica vicenda degli oltre 65 milioni di migranti e rifugiati che negli ultimi anni hanno abbandonato la propria patria in cerca di sicurezza.
Non è necessario attendere la fine del festival per individuare il filo tematico che attraversa la selezione: i flussi migratori, il dramma dei rifugiati, l’assenza di diritti umani e guerre e atrocità da cui scappare. Il cinema misura la temperatura del mondo e ci rimette lo sguardo su ciò che ci sforziamo di non vedere. Lo fa anche l’israeliano Samuel Maoz che otto anni fa si aggiudicava il Leone d’oro con Lebanon e oggi torna al Lido con il misterioso Foxtrot, di cui si sa soltanto che i temi principali sono la guerra e la famiglia. Martin McDonagh è irlandese ma Three BIillboards Outside Ebbing, Missouri ha il sapore del miglior cinema indie americano. Di McDonagh si ricorda soprattutto In Bruges, che è giù un ottimo motivo per attendere con entusiasmo questo nuovo film. Il cast – Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, John Hawkes e Peter Dinklage – non fa che aumentare l’hype.
Infine, le coraggiose scelte “italiane”: Virzì finalmente e meritatamente in concorso, con il suo debutto americano The Leisure Seeker, con Helen Mirren e Donald Sutherland; i Manetti Bros con il musical Amore e malavita; il promettente Andrea Pallaoro, che dopo il bell’esordio di Medeas di quattro anni fa (in Orizzonti) torna con Hannah, coproduzione internazionale con Charlotte Rampling; e infine la scommessa di Una famiglia, esordio del catanese Sebastiano Riso, che affronta il tema della maternità surrogata.

Certezze, grandi nomi, sguardi obliqui e azzardi: Barbera e il suo team di selezionatori hanno apparecchiato una selezione varia e intelligente.
Non ci resta che goderci lo spettacolo.
Sezioni collaterali
Fuori concorso, tanta Italia (Soldini, Amelio sui terremotati di Amatrice, Patierno), qualche grande nome ultimamente un po’ in declino (Abel Ferrara e Kitano, cui spetta la chiusura con Outrage Coda), i nuovi film di Stephen Frears e John Woo e tre chicche imperdibili: la proiezione di sabato a mezzanotte in particolare, con l’ultraviolenza carceraria di Brawl in Cell Block 99, del cult director S. Craig Zahler (autore quattro anni fa del bellissimo Bone Tomahawk); The Devil and Father Amorth, di William Friedkin, che “compendia” il suo esorcista cult con un documentario shoccante su un esorcismo vero; Wormwood, serie Netflix in sei parti scritta e diretta nientemeno che da Errol Morris e interpretata da Peter Saarsgard, che sarà diffusa dalla piattaforma digitale il prossimo dicembre.

Ancora Netflix: i primi episodi della serie Suburra e Our Souls at Night di Ritesh Batra, film che vede ancora una volta insieme Jane Fonda e Robert Redford, che saranno premiati con il Leone d’Oro alla carriera. Infine, fuori concorso, tra le proiezioni speciali, attenzione a Lo stato delle cose di Andrea Segre, altro film che tocca il tema dell’immigrazione.
In Orizzonti, spicca il disturbante (così definito dallo stesso direttore Alberto Barbera) Caniba, di Verena Paravel e Lucien Castaing Taylor (nel 2012 autori di Leviathan e fondatori del Sensory Ethnography Lab di Harvard), documentario sul “cannibale” Issei Sagawa, studente giapponese alla Sorbona di Parigi che negli anni ’80 si “ciba” di una fanciulla olandese e che oggi, per anomalie della giustizia giapponese, è tranquillamente a piede libero. Attenzione anche al nuovo film di Adriano Valerio (molto interessante il suo esordio di due anni fa alla Settimana della critica, Banat – Il viaggio), l’intimo Mon Amour, Mon Ami, che potrebbe dare ulteriore conferma del talento del cineasta milanese. Uno sguardo curioso merita anche il surreale Brutti e cattivi di Cosimo Gomez, con Claudio Santamaria.

Questa una parte del menu, mentre altre sorprese potranno arrivare anche dalla Settimana della critica e dalle Giornate degli autori. E ovviamente, noi de La voce di New York saremo qui al Lido, da domani, per raccontarvi la 74° edizione della Mostra del cinema di Venezia.