In Africa le condizioni che spingono le persone ad attraversare il deserto per ritrovarsi nel caos libico non fanno che peggiorare. Da questa constatazione partono i registi Daniele Gaglianone e il nigeriano Alfie Nze in “Granma”, il film breve presentato alla 70/ma edizione del Festival di Locarno in programma dal 2 al 12 luglio.
Da un’idea di Gianni Amelio e prodotto da Gianluca Arcopinto e Horace, il mediometraggio fa parte della campagna informativa Aware Migrants lanciata dall’OIM, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, per informare i potenziali migranti sui pericoli legati alla traversata del deserto e del mar Mediterraneo per raggiungere l’Italia, e l’Europa. Un viaggio che passa per scafisti, gommoni e barconi fatiscenti nella speranza di una vita migliore.
Nei primi cinque mesi del 2017 gli sbarchi in Europa dei migranti proveniente dalla Libia e dal Nordafrica sono aumentati di oltre il 25 per cento rispetto allo stesso periodo del 2016. La maggior parte di loro sono sbarcati in Italia. Ma tre su cento non ce la fanno. Molti muoiono per aggressioni, rapine, sete, fame o disidratazione. Spesso non sanno nuotare.
Per Amnesty International, il 2017 rischia di diventare l’anno con più morti nel Mediterraneo. Solo nei primi mesi del 2017 ci sono stati oltre 2mila morti. Dopo il recente vertice di Tallinn dove si sono riuniti i ministri dell’Interno per discutere soprattutto dell’emergenza migranti, l’Organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani ha diffuso un rapporto con il titolo “Una tempesta perfetta”, che accusa l’Unione Europea di aver voltato le spalle ai migrati e ai rifugiati. Ne emerge un’Europa sempre più spaventata che non ha il coraggio e la volontà di mettere mano al alla Convenzione di Dublino che fa pesare tutto il carico migratorio sui Paesi frontalieri. Perché se i paesi dell’Unione avevano promesso di accogliere 16omila delle persone arrivate in Italia e Grecia nel 2015, ad oggi di queste ne sono state ricollocate meno di 21mila.
La drammaticità della situazione dei migranti impone il dovere morale di andare al di là dei numeri statistici e di uscire dal salone dei burocrati a Bruxelles. Il movimento di persone tra Africa e Europa sarà la realtà del prossimo decennio. Se ne facciano una ragione i vari pifferai dei confini chiusi che hanno di fatto favorito i populismi e l’immigrazione illegale, che a sua volta ostacola l’integrazione dei nuovi arrivati. È invece il momento di descrivere le cose come stanno per spezzare l’assedio dei luoghi comuni e dalle false notizie.
In questo scenario decisamente fosco si muove “Granma” con la speranza di aprire gli occhi sulla realtà del fenomeno migratorio. Da un lato mostra le ragioni che spingono i migranti a lasciare la famiglia e il loro paese per intraprendere un viaggio pieno di insidie , dall’altro i pericoli che corrono. Il protagonista è Jonathan, un giovane cantante hip hop di Lagos, in Nigeria. Un giorno mentre sta registrando una nuova canzone, riceve una telefonata in cui apprende che suo cugino Momo è morto in mare cercando di raggiungere l’Europa. Non ha scelta e decide con la madre di intraprendere un viaggio nel cuore del paese, per dare la triste notizia alla sorella, nonna di Momo. Il film della durata di 35 minuti è stato scritto e girato in Nigeria, fra Lagos e il villaggio di Badagry, con una troupe e un cast locali e sarà distribuito in 16 paesi tra Magreb, sub Sahara, Africa Orientale e Occidentale nelle tv locali, ma anche nei singoli villaggi, accompagnato da un video con la canzone rap “Challenging death”.
Spiega Alfie Nze che contrariamente a quello che pensa qualcuno, la maggior parte delle persone che partono dai paesi target del film non hanno la minima idea di quello a cui stanno andando incontro. Conoscono solo le testimonianze di chi ce l’ha fatta. E aggiunge che l’obiettivo non è dissuadere dal partire chi scappa da una guerra, da anni di carestie, violenze, persecuzioni e povertà. Ma informarli che il viaggio non sarà come promettono i trafficanti. Sottolineando che tra questi ci sono anche chi attende i migranti per ridurli in schiavitù, picchiarli e stuprarli prima di spedirli in mare. La loro decisione deve essere quindi una scelta consapevole. “Tutte le famiglie nigeriane hanno storie simili a quella di Jonathan”, dice ancora Afie Nze. “E anch’io. Dal ’94 non ho più notizie di mio cugino con cui sono cresciuto, scomparso anche lui nel tragitto verso l’Europa”.
Per Gaglianone invece la soluzione al problema dei migranti dovrebbe passare da un cambio di mentalità. “Perché la tragedia dei migranti – conclude il regista – è il risultato di un sistema ingiusto che non permette alle persone di muoversi liberamente. Ma perché chi è a Lagos non può andare dove vuole?”