Per il quarto anno consecutivo, Emerging Coreographer Series (ECS), la piattaforma americana rivolta ai giovani coreografi di tutto il mondo, ha messo a disposizione degli artisti una borsa di studio per realizzare un progetto coreografico e metterlo in scena al LaGuardia Performing Art Center di New York (CUNY). La compagnia Mare Nostrum Elements (MNE), diretta da Nicola Iervasi e Kevin Albert, si è occupata della selezione dei candidati insieme al Consiglio dell’Accademia Nazionale di Danza (AND), partner esclusivo italiano di questa edizione. Gabriella Borni della cattedra di Composizione della Danza è stata mediatore tra le istituzioni, rendendo possibile questa opportunità per gli allievi dell’Accademia.

“Ho una connessione personale con la signora Borni perché abbiamo lavorato insieme anni fa – ha dichiarato Iervasi – Dopo una prima scrematura, siamo poi giunti alla fase del colloquio, dove abbiamo deciso di assegnare la borsa di studio a Carmine Caruso. Mi sembrava più pronto rispetto agli altri 20 candidati per il programma poiché conosceva l’inglese, che comunque è una parte importante della scrittura. Inoltre, trattandosi di uno showcase, avevo bisogno di un pezzo dai 5 ai 10 minuti e il suo era a priori uno dei più idonei. Ho capito subito che avrei scelto lui, ma prima ho voluto mostrare il materiale a Kevin, il mio collaboratore, che ha confermato il mio istinto”.
Diplomando del terzo triennio contemporaneo, Caruso è volato a New York nel mese di novembre per preparare lo spettacolo e montare una coreografia dedicate al mare, con il quale ha un rapporto molto stretto essendo originario di Bagnara Calabra. “È nato tutto da un déjà vu che ho avuto un pomeriggio in cui mi trovavo in compagnia della mia ragazza. Ho sentito una musica di Einaudi talmente ispirante che ho avvertito l’esigenza di andare immediatamente in Accademia a comporre, dando vita a quel leitmotiv che mi ha portato all’audizione e ad essere scelto. L’idea di High Tide è partita dal mare, senza sapere che la compagnia di Kevin e Nicola si chiamasse, appunto, Mare Nostrum Elements”. Caruso ha scelto questo tema per parlare di sé stesso, del suo paese d’origine e dei suoi ricordi d’infanzia. A tale proposito, ha raccontato di quando da bambino, una volta rientrato a casa dopo la scuola, si affacciava al balcone o faceva delle passeggiate sulla spiaggia insieme a suo padre per “prendere aria”, proprio come lui diceva abitualmente. “Questa frase che mi ripeteva ogni volta, aveva vari significati, ma io l’ho capito solo col tempo: era un modo per prendere ossigeno e buttarsi tutto alle spalle. Ora che vivo a Roma e non lo posso fare più così spesso, sento il bisogno di riconnettermi con la natura e di ritrovare me stesso”. L’inglese lo ha aiutato a trasmettere in modo chiaro le sue intenzioni sul pezzo che avevo creato grazie a un linguaggio più conciso che non si presta all’uso di tante metafore, il che è stata una sfida parlando del rapporto dell’uomo con il mare.


Come ha raccontato lo stesso Iervasi, al momento del colloquio si sono create una serie di connessioni inaspettate. “Solitamente sono uno che non crede alle coincidenze. Io non sapevo che lui fosse calabrese come me (ora c’è una diatriba tra di noi su quale mare sia migliore, se lo Ionio o il Tirreno) e lui, oltre a non sapere il nome della nostra compagnia, era ignaro del cammino che ho iniziato 15 anni fa e del titolo del mio spettacolo di punta, Mediterranean Voices“. Anche per Nicola, quindi, il mare è sempre stato un elemento trainante della sua carriera artistica. Parlando della concezione del ruolo del coreografo in Italia e negli Stati Uniti, Iervasi ha osservato che in entrambi i paesi non si rivolge molta attenzione al tema del business e del marketing di questa professione: “Lo scopo mio e di Kevin è quello di offrirne una visione a tutto campo, insegnando agli artisti come presentare in maniera sintetica ed efficace i loro progetti. La parte della scrittura ha in questo processo una funzione essenziale, anche se spesso sottovalutata, in quanto si tende generalmente a focalizzarsi sulla fisicità e sul movimento”.

Prima di andare in scena gli scorsi 27 e 28 febbraio, Caruso e gli altri partecipanti (Felipe Galganni, Margaret Jones, Jacob Kruty, Patrick O’Brien, Michelle Sagarminaga, Jiemin Yang, Jacqueline Duga) hanno potuto sfruttare gratuitamente nei mesi precedenti alcuni spazi in città da dedicare alle prove, alla produzione e ad alcuni meeting settimanali, in cui hanno potuto confrontarsi sia tra loro sia con coreografi affermati. Come ha potuto lui stesso riscontrare durante la sua esperienza newyorchese, per Caruso le differenze tra Italia e Stati Uniti si notano soprattutto nel modo di lavorare: quello americano risulta più strutturato, più metodico e insegna a rispettare le scadenze. “Inoltre, qui ho scoperto l’importanza dell’artist statement, una sorta di presentazione che aiuta il coreografo a comunicare la sua visione della danza, a definire il suo modus operandi, a capire che tipo di ricerca fare e a individuare la sua fonte d’ispirazione nel suo processo creativo. Tutto ciò mi è servito a capire in quale direzione andare”. Caruso ha infine commentato la crescita e le soddisfazioni che questa avventura gli ha procurato, definendola oltre che uno scambio culturale, una vera e propria esperienza di vita, in cui ha appreso il senso di comunità e di unione tra colleghi e ha conosciuto nuove persone dotate di potenziale e grande valore artistico.