Come ogni anno da venticinque a questa parte, il N.I.C.E. è sbarcato a New York. Il felice acronimo sta per New Cinema Italian Events, l’associazione diretta da Viviana del Bianco che promuove il nuovo cinema italiano all’estero, attraverso l’organizzazione di festival e scambi culturali in tutto il mondo, dalla Cina alla Russia, dagli USA all’Inghilterra. Quest’anno il Comitato Selezionatore ha portato a New York L’Universale di Federico Micali, Seconda Primavera di Francesco Calogero e Harry’s Bar, di Carlotta Cerquetti, tutti e tre in programma domenica 20 novembre all’SVA Theater di Chelsea.
Abbiamo incontrato Carlotta Cerquetti poco prima della proiezione di Harry’s Bar, il documentario che ha girato nel 2015 sul leggendario locale veneziano aperto da Giuseppe Cipriani nel 1931. La pellicola arriva a New York forte del passaggio per le Giornate degli Autori all’ultima Mostra del Cinema di Venezia e della candidatura al David di Donatello.
Cerquetti è particolarmente contenta di presentare il suo film a New York, una città che ama, dove ha lavorato molti anni ― nello studio del fotografo Hiro ― e dove ha studiato ― alla Scuola di Cinema dell’NYU. Tra l’altro, ci fa notare, New York è presente anche nel documentario: l’Harry’s Bar, diventato marchio nel corso degli anni, ha aperto tre “succursali” Cipriani proprio a New York, e alcune scene, così come alcune interviste, sono state girate proprio in quelle location. Alla regista preme tuttavia sottolineare che le interessava raccontare il locale storico, quello in Calle Vallaresso a Venezia e, nello specifico, la storia della città attraverso quel luogo, e lo “stile” che lo contraddistingue.
“Oggi come oggi – puntualizza – il termine ‘stile’ ha assunto un’altra accezione, ma vedendo il film si capisce cosa Giuseppe Cipriani intendesse: l’amore per l’accoglienza del cliente, l’interesse a farlo stare bene, la qualità delle proposte, il tutto confezionato da un’estrema semplicità, un’essenzialità, che purtroppo si stanno perdendo. Oggi ‘stile’ rinvia a qualcosa di più snob, legato alla ricchezza. Mentre all’Harry’s, per quanto sia frequentato dal gran mondo della cultura e del cinema, sono sempre stati molto democratici, e accolgono tutti con la stessa gentilezza. Ci tenevo a raccontare anche una storia italiana positiva, con dei valori, la passione… la passione di quest’uomo che faceva tutt’altro nella vita (era un pasticciere) ma che riuscì, grazie a questa sua intuizione, a fare cose meravigliose con questo locale, e a farlo diventare un vero e proprio contenitore di storie dagli anni ’30 fino ai giorni nostri”.

Per narrare l’Harry’s Bar attraverso le immagini, Carlotta Cerquetti ha svolto un lavoro di ricerca certosino, spulciando gli archivi dell’Istituto Luce, ripescando filmati meno noti sul locale, e visionando pile e pile di fotografie e filmati Super 8 della famiglia Cipriani.
Non c’è un particolare spettatore target a cui si rivolge, aggiunge la regista, ma ci confessa di aver ricevuto moltissimi messaggi da parte di spettatori di tutte le età che lo hanno visto: in Italia è passato in televisione. Le piacerebbe che lo vedesse sia il giovane ancora ignaro di cosa sia il fenomeno Harry’s Bar, sia lo spettatore più cresciuto, che ha conosciuto quel mondo, ha dei ricordi legati a quel posto e si appassiona a ripercorrere quelle storie sullo schermo. “Quanto al pubblico americano, ci sono molti estimatori del ristorante, che già conoscono la storia del locale veneziano e che magari avranno piacere a vedere come le cose sono veramente andate. Poi se uno ama l’Italia, la storia dell’arte, il cinema, penso possa rimanere soddisfatto dal documentario. Anche perché, per essere un documentario, è di grande intrattenimento! Arrigo, figlio di Giuseppe Cipriani, che gestisce l’Harry’s da oltre cinquant’anni, è un uomo molto spiritoso, ed è proprio l’ironia con cui racconta gli aneddoti legati al bar che ti intrattiene, che ti tiene lì…E in realtà tutto è nato da questa sua capacità d’(in)trattenerti, e da una prima chiacchierata/intervista che gli ‘rubai’ dopo che vide il mio primo documentario. ‘E se facessimo un film sull’Harry’s Bar?’, gli proposi ― sarei stata ore ad ascoltarlo raccontare storie sul locale… All’inizio fu molto restio. Poi però si convinse”.
Il film è un piacevolissimo excursus nella storia di questo luogo mitico, narrato non soltanto da Arrigo Cipriani, ma anche da una variegata moltitudine di avventori del locale, che spaziano da Earnest Hemingway all’architetto Vittorio Gregotti, dal critico Achille Bonito Oliva al pittore Bobo Ivancich, passando per Naomi Campbell e Puff Daddy. Ti viene voglia di appuntarti tanti pensieri che senti scorrere nel documentario, la cui unica pecca, forse, è la brevità ― ne vorresti di più, di questi racconti! Bonito Oliva parla dell’erotismo del posto in cui “un meticciato di clienti s’incontrano per stare scomodamente vicini”. L’architetto Marino Folin descrive l’esperienza dell’Harry’s come “stare a teatro, un teatro di mondo, in cui la scena cambia in continuazione”.
Ma sono le parole di Arrigo Cipriani, a rimanerti impresse, senza bisogno di carta e matita, e la sua ironia ― giustamente colta dalla regista ― la saggezza del less is more per cui “innovare è tornare indietro”. Lasciare la forma per riappropriarsi della sostanza.
Guarda il trailer di Harry’s Bar: