Per oltre trent’anni Lella Heins, regista e sceneggiatrice, ha vissuto in America con la sua passione: il teatro. Ora è tornata nella città in cui è nata e cresciuta, Milano, e in questa intervista ci descrive come proprio attraverso la sua arte riesce a mantenere forte il suo legame con New York.

Lella, parlaci di te e del tuo percorso.
“Mi considero fortunatissima. Ho avuto il privilegio di far parte del corpo registi e sceneggiatori dell’Actors Studio, di frequentarne le sessioni del martedì e venerdì per vent’anni e di studiare recitazione e regia con luminari di quella istituzione. E’ stata un’esperienza insolita per una persona non di madrelingua inglese.”
Quali sono stati gli elementi che ti hanno fatta appassionare allo stile di recitazione, scrittura e regia dell’Actors Studio?
“Ero rimasta colpita sin dall’inizio dal loro approccio pratico alla recitazione e alla regia, a come venivano coltivati sia l’osservazione del lavoro in scena sia l’ascolto e discussione tra colleghi. Il Metodo, la tecnica di recitazione sviluppata da Lee Strasberg, che fu tra i fondatori e presidente dello Studio sino alla sua morte, nel 1982, è considerata tra le più valide per raggiungere un profondo livello di immedesimazione con il personaggio, sia nel teatro che nel cinema. Il Metodo offre agli attori una varietà d’esercizi che se integrati con chiarezza, li aiuta a calarsi completamente nei ruoli più complessi, arrivando a interpretazioni di straordinaria bravura”.
Quindi tu insegni in Italia quello che hai appreso all’Actors Studio e hai poi insegnato alla New York Film Academy?
“Sì, perché i risultati e i successi dei miei allievi ne confermano la validità. Recentemente ho tradotto dall’inglese, con l’aiuto della traduttrice Lolita Mazzotta, i numerosi appunti presi durante le famose sessioni settimanali dello Studio, che spesso venivano anche riprese, per crearne un archivio storico. Per me, alla scoperta di questo nuovo mondo, era tutto una rivelazione, e ora questa raccolta di preziosi commenti e consigli é diventata una dispensa di cui possono avvalersi i miei allievi italiani.
Quali sono le differenze sostanziali che hai riscontrato al tuo rientro in Italia?
“Ho notato che, al contrario degli Stati Uniti, qui esiste ancora una certa dicotomia tra la recitazione per il teatro e quella per il cinema. Mi ha colpito il fatto che, pur ammirando quello che negli anni ‘60 e ‘70 era considerato teatro innovativo, cioè la recitazione dall’imprinting brechtiana, non sembrava, a mio parere, esservi stata un’evoluzione, o quanto meno un’integrazione di tecniche più moderne. Il Metodo negli anni ha subito molte evoluzioni, dettate soprattutto dai suoi vari insegnanti: tipicamente gli americani sono alla costante ricerca di nuove sfide, non temono il nuovo o il confronto con altre realtà, e sono quindi curiosi e aperti alle innovazioni. Anche se gli esercizi base del Metodo sono conosciuti, a questi si sono aggiunte miriadi di nuove varianti. Io stessa ho integrato nelle mie classi altre tecniche basate sul movimento e la musica, e nuovi esercizi derivati dalla mia esperienza con la pratica dello yoga e delle Costellazioni Familiari”.
Un incredibile approccio alla recitazione che ha nell’Actors Studio il suo tempio.
“Dall’Actors Studio sono uscite grandi star come Paul Newman, Shelley Winters e Harvey Keitel, e annovera tra i suoi membri famosissimi scrittori e registi che vivono questo particolare stile di recitazione. Ad esempio allo Studio sostengono che il regista dovrebbe studiare anche recitazione e quindi evitare un approccio eccessivamente intellettuale perchè l’attore ha bisogno di capire cosa deve fare sul set o sulla scena e le idee astratte non l’aiutano”.
Ci sono analogie tra il Metodo e la musica?
“L’analogia con la musica viene usata spesso nel linguaggio del Metodo: gli attori sono considerati veri e propri strumenti che in scena o sul set interpretano la musica del linguaggio parlato, arrivando al sottotesto, cioè alla verità nascosta, più complessa, del comportamento umano”.
Qual è il tuo desiderio più forte, attualmente? Quale obiettivo ti sei prefissa?
“Il mio desiderio è di creare un ponte culturale tra New York e Milano attraverso la mia Palestra per Attori, un week-end al mese di full immersion nel Metodo Strasberg e di presentare questo stile di recitazione al pubblico. Per questo ho fondato la compagnia On the Spot, di cui fanno parte gli allievi più avanzati, con cui abbiamo proposto con successo serate in ritrovi milanesi, showrooms e persino studi fotografici”.
Quali sono gli effetti evidenti del lavoro con il Metodo?
“L’effetto del Metodo sugli attori che partecipano alle mie classi é a volte strabiliante. Non solo li può migliorare come interpreti, ma anche come persone. Credo questo succeda perchè il Metodo aiuta a connettere con delle emozioni che a volte sono rimaste a lungo ignorate e con la propria creatività, quindi pur non essendo terapia, l’effetto può essere estremamente terapeutico”.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
“Da settembre, in collaborazione con l’American Rennaissance Theater Company di Manhattan, On the Spot inizierà un vero e proprio scambio teatrale: autori americani invieranno i loro testi alla mia compagnia e viceversa. Tutto verrà scritto e interpretato in lingua inglese e, se possibile, i commediografi parteciperanno alle rappresentazioni, che verranno filmate nelle città ospiti.
Questo scambio darà modo agli attori italiani di praticare il Metodo nella lingua in cui é stato creato e di proporre ai colleghi americani testi di autori italiani per stabilire un ponte virtuale, costruito con la passione per il teatro, il cinema e la buona recitazione”.
Davide Sica è un giornalista e autore di Milano. twitter@dsica