Durante il mese di dicembre, il MoMA celebra, in collaborazione con Luce Cinecittà, il grande cinema italiano doppiamente, dedicando una retrospettiva al regista Antonio Pietrangeli e un tributo al meglio del cinema realizzato da Rai Cinema, con personalità del calibro di Matteo Garrone.
La retrospettiva su Pietrangeli si è aperta ieri con la proiezione del suo Io la conoscevo bene, film uscito nel 1965 che proprio il contesto del MoMA, con il suo pubblico internazionale, rivela nella sua potente modernità e nella capacità di anticipare i tempi. Come ha giustamente fatto presente Roberto Cicutto dell’Istituto Luce, Pietrangeli non è certamente annoverato tra i registi italiani più popolari. Questo perché è morto prematuramente, a soli 47 anni, proprio mentre girava l’ultima scena del suo Come, quando, perché, lasciando incompiuta una carriera che era già ampiamente carica di sprazzi di genio. Eppure, ha aggiunto Cicutto, Pietrangeli è stato davvero un grande, un anticipatore dal punto di vista delle scelte narrative e di regia e un raffinato lettore dell’epoca che ha vissuto e che, nella decina di film che ha diretto, ci ha consegnato tra leggerezza e amarezza.
Una fotografia luminosissima, quella scelta da Pietrangeli in Io la conoscevo bene, che consente di descrivere appieno la modernità, il cambiamento, il passaggio dal dopoguerra al boom economico, raccontato a partire dalla storia di una ragazza qualsiasi. Una bella ragazza che arriva dalla campagna toscana per cercare fortuna nel mondo dello spettacolo. Pietrangeli la segue nella banalità delle sue giornate, nella superficialità delle sue tante relazioni. Non è un’eroina femminista, non ne ha la consapevolezza. È una ragazza qualsiasi che si trova a cavalcare l’emancipazione femminile di quel tempo, senza esserne troppo consapevole, senza averne gli strumenti intellettuali ed emotivi e soprattutto in un contesto che non è pronto ad accoglierla. Incontrerà una società che non è in grado di capirla e valorizzarla, uomini che non sono in grado di amarla proprio perché esprime una libertà eccessiva. È una ragazza disinibita e indipendente, che vive da sola e guida la macchina. È una ragazza come tante ed è il simbolo di un’epoca. Simbolo di una femminilità che stava cambiando e non si sapeva bene che direzione stesse prendendo. Adriana, la protagonista, ricorda fortemente la Marilyn che descrive Pierpaolo Pasolini, con cui Pietrangeli non a caso ha lungamente collaborato. Una ragazza che è tutt’altro che una femme fatale e che sembra anzi vittima della sua bellezza.

Pietrangeli sul set, con Ugo Tognazzi e Stefania Sandrelli
Nel suo intervento, Camilla Cormanni, dell’Istituto Luce Cinecittà, ha fatto presente come siano centrali i ritratti femminili nell’intera filmografia di Pietrangeli e ha anche ricordato il libro Antonio Pietrangeli, il regista che amava le donne a cura di Mario Sesti (presente in sala), Piera Detassis ed Emiliano Morreale. Pietrangeli sapeva descrivere le donne, certo, ma prima di qualsiasi altra cosa le sapeva capire e dirigere. Ne è la prova la meravigliosa prestazione di Stefania Sandrelli che ai tempi di Io la conoscevo bene aveva soltanto 19 anni.
La vicenda di Adriana, la protagonista del film, è il pretesto per raccontare una realtà, quella del mondo dello spettacolo, con uno sguardo ironico che sfiora il grottesco, in scene come quella della festa in cui Ugo Tognazzi intrattiene gli ospiti con una danza disperata. Attori di grandissima fama come Tognazzi, appunto, e Manfredi, impreziosiscono il racconto, senza però rubare la scena alla protagonista assoluta che si muove per tutto il film con apparentemente frivola incoscienza. Così come si muove il racconto nel seguirla, senza indugiare troppo in particolari descrittivi e svolazzando da una realtà all’altra.
Il film è incredibilmente moderno anche dal punto di vista del linguaggio. La musica ha un ruolo fondamentale nella narrazione e accompagna, letteralmente, la protagonista. Le hit del momento oltre a rendere perfettamente il sapore dell’epoca, si mescolano alla storia e la descrivono. Emblematico, in questo senso, è il momento in cui la protagonista ascolta la canzone Mani bucate di Sergio Endrigo.
Se Pietrangeli non è stato sufficientemente apprezzato dai suoi contemporanei, non è forse soltanto per la sua morte prematura, né solo per i pregiudizi che alcuni nel mondo del cinema avevano nei suoi confronti per essere passato dalla critica alla regia. Se il film non è stato capito è forse anche perché era veramente moderno e addentro a una realtà totalmente in divenire. Ora che abbiamo gli strumenti per capirlo, a distanza di quasi 50 anni e vedendolo a distanza spazio-temporale da dove e come è stato concepito, possiamo cogliere appieno la modernità eccezionale di Io la conoscevo bene, un autentico capolavoro.
E questo è solo l’inizio. La retrospettiva del MoMA, infatti, ci guiderà, durante il mese di dicembre, attraverso la riscoperta dell’intera opera di Antonio Pietrangeli.