Ogni tanto, purtroppo sempre più raramente, spunta fuori un film che ti riconcilia con l’idea stessa di cinema. Un’opera che ti ricorda come l’impegno civile possa sposarsi alla perfezione con l’intrattenimento, con un tipo di narrazione che segue il genere con tale lucidità da trascenderlo. Spotlight di Thomas McCarthy è uno di questi film, e senza mezzi termini è di gran lunga il migliore visto fino a oggi nel 2015.
Il tema trattato è ovviamente importante. La vicenda racconta dell’indagine giornalistica del Boston Globe che nel 2002 portò alla scoperta dello scandalo riguardante la Chiesa e il suo tentativo di occultare la presenza di numerosi preti pedofili che operavano nella città. Se però Spotlight è un gran film non è tanto per ciò che racconta ma per il modo in cui lo fa. Prima di tutto va citata la sceneggiatura del film, scritta dallo stesso regista insieme a Josh Singer: un testo capace di mettere in scena con tale forza propositiva cosa significhi fare giornalismo d’inchiesta non si vedeva dai tempi di All the President’s Men (Tutti gli uomini del presidente, 1976) di Alan J. Pakula, e non è un’esagerazione. La precisione con cui verità, ritmo, momenti forti e pause più leggere vengono mescolate è un piccolo grande miracolo di scrittura cinematografica.
Su questo testo insieme potente e sottile si poggia la regia di McCarthy, stringata senza mai essere noiosa o stucchevole. La volontà di raccontare con la maggiore verità possibile i fatti avvenuti non frena mai l’idea di cinema del regista, anzi ne avvalora le qualità portanti, come appunto la lucidità. E così Spotlight diventa un film di impegno civile che si fa anche spettacolo di cinema, attento allo sviluppo narrativo della vicenda corale tanto quanto a quello personale delle figure messe in scena, ognuna con una personalità e un’umanità magnificamente definite.
Con una simile partitura di base e un cineasta così lucido nella realizzazione, era praticamente impossibile che gli attori potessero fallire nelle loro parti. Ed ecco infatti che Michael Keaton, Mark Ruffalo, Stanley Tucci, John Slattery, e (finalmente!) Rachel McAdams danno il meglio delle loro capacità, regalandoci tutti prove esemplari. Su tutti merita però un applauso a parte un Liev Schreiber misurato e inarrestabile, straordinario nel comunicare la fermezza della sua “missione” ma anche la sensibilità dietro al giornalista.
Raccontare a parole la potenza espressiva di Spotlight non è facile, si rischia di scadere nella retorica oppure sminuirne la portata per evitare tale rischio. Andatelo quindi a vedere, lasciatevi trasportare dall’impeto civile che muove i personaggi, seguitene il percorso impervio e doloroso che li ha portati a testimoniare la verità, per quanto orribile. Spotlight racconta tutto questo attraverso la migliore arma che questo tipo di cinema possiede: la coerenza. Ammirevole.
Potete trovare Spotlight nei cinema di New York da venerdì 6 novembre, mentre in Italia dal prossimo prossimo 18 febbraio.
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