Ci sono eventi per cui alle volte le parole non bastano e bisogna rivolgersi alle immagini per dare memoria al passato. La prima guerra mondiale, momento storico tra i più significativi e devastanti della storia dell’uomo, è senza dubbio uno di questi. Il centenario spinge a interrogarsi ancora sulla portata, l’impatto e il significato della Grande Guerra, anche attraverso nuove riflessioni critiche, storiche e culturali. Tra queste va certamente segnalata la testimonianza offerta da Ermanno Olmi nel suo ultimo film Torneranno i prati, proiettato in anteprima il 4 novembre (esce nelle sale il 6) in 100 paesi in tutto il mondo, per celebrare la firma dell’Armistizio di Villa Giusti che sancì la fine degli scontri tra Italia e Austria-Ungheria.
Olmi ha reso omaggio ai soldati italiani, e non solo, caduti in quello che ha definito senza mezzi termini “un inutile conflitto”, un giudizio netto che emerge chiaramente anche nelle parole del pastore Toni Lunardi cui il regista affida la frase conclusiva del film: «La guerra è una brutta bestia che gira il mondo e non si ferma mai». Una materia “umanissima”, quanto mai cara e vicina alla poetica di Olmi che ha voluto così ricordare anche il padre, chiamato alle armi a 19 anni, alla cui memoria il film è dedicato. Ambientato nei luoghi storici dei combattimenti, a Dosso di Sopra nell’Altopiano d’Asiago (per le scene esterne a quota 1800 metri) e a Valgiardini (per la trincea ricostruita a 1100 metri), il film è stato girato in sette settimane, in cui i fatti realmente accaduti sono stati rielaborati da Olmi per divenire una testimonianza universale del massacro cui furono condannati i soldati italiani (pur senza espliciti riferimenti, è chiaro che l’immensa tragedia descritta va riferita alla terribile disfatta di Caporetto).
Nell’arco di una sola notte, illuminata da una luna ingombrante e nemica (sulla neve lucente spiccano le divise dei soldati che cadono silenziosi sotto il fuoco dei cecchini austriaci), si seguono le vicende di un gruppo di uomini, lasciati – o meglio condannati – a morire dai generali italiani e dai loro «ordini criminali», come esclama il capitano Emilio rifiutandosi di adempiere tali ordini e di «tenere alto lo spirito combattivo della truppa e non lasciare poltrire gli uomini nell’ozio» (queste le direttive del Maggiore). In una delle scene più dure del film, è proprio la consapevolezza di essere solamente delle pedine nelle mani di questi “generaloni” (forse inconsapevoli, ma di certo incuranti) è ciò che spinge un soldato semplice a togliersi la vita nel “caldo” della trincea, piuttosto che nella neve sotto il fuoco nemico nel tentativo folle di raggiungere il nuovo avamposto da cui spiare le mosse dei nemici.
La ricostruzione di Olmi deve molto ai diari dei soldati e alle testimonianze letterarie del tempo, da Emilio Lussu (Un anno sull’Altipiano) a Carlo Emilo Gadda, che nel suo Giornale di guerra e prigionia ha registrato la sua esperienza di volontario nelle truppe alpine: «Così Salandra, così il re, così tutti: fanno le visite al fronte, guardano le cose con gli occhi dei cortigiani: ma non le guardano col proprio occhio, acuto, sospettoso, rabbioso. Il generale Cavaciocchi, che deve essere un perfetto asino, non ha mai fatto una visita al quartiere, non s’è mai curato di girare per gli alloggiamenti dei soldati. Asini, asini, buoi grassi, pezzi da grand hotel, avana, bagni; ma non guerrieri, non pensatori, non ideatori, non costruttori; incapaci d’osservazione e d’analisi, ignoranti di cose psicologiche, inabili alla sintesi; scrivono nei loro manuali che il morale delle truppe è la prima cosa, e poi dimenticano le proprie conclusioni».
Non c’è eroismo nei loro volti, non c’è bellezza nello scoppio luminoso dei mortai austriaci, non c’è la guerra eroica nel film di Olmi perché non c’è stata nella realtà. L’inserimento di video d’epoca celebrativi sul finire della pellicola – gli unici momenti in cui intravediamo la vuota magniloquenza nazionalistica – è funzionale a produrre un contrasto significativo con l’ultima scena del film dove un soldato guarda in camera rompendo la parete scenica e rivelando il senso ultimo della guerra (e del titolo del film): finirà la guerra e torneranno i prati, non si vedrà più nulla, non i cadaveri dei soldati nei cimiteri improvvisati né la neve, e tutto sarà dimenticato.
Olmi non ha voluto e permesso che si dimenticasse. Il suo appello è stato raccolto, grazie all’iniziativa della Struttura di Missione per gli anniversari di interesse nazionale della Presidenza del Consiglio, con il supporto di Ambasciate, Consolati e Istituti di Cultura italiani all’estero, da Roma – dove è stata organizzata una proiezione alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a cui Ermanno Olmi non ha potuto all’ultimo momento prendere parte per motivi di salute – ai contingenti di pace italiani in Afghanistan, Kosovo e Libano, da Mosca a New York, quindi al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite dove è stato presentato dall'ambasciatore d'Italia Sebastiano Cardi. Anche a Boston è stata organizzata una proiezione del film, promossa dal consolato con l’ausilio della Dante Alighieri Society of Massachusetts, che ha invitato a introdurre il film, facilitandone una visione e discussione critica, lo storico Spencer Di Scala, professore della University of Massachusetts a Boston.