Girato con una Canon 5D digitale e con minimo budget, La frequenza fantasma di Chiara Ambrosio nasce come una sfida personale e un omaggio a una terra in via di estinzione. Il film, per la prima volta negli USA presentato all’Anthology Film Archives di New York, è stato ideato e girato tra il 2008 e il 2012, in brevi periodi in cui la regista, da 15 anni di base a Londra, si è recata in esplorazione di un piccolo paesino calabrese, Bonifanti di Verbicaro, non lontano dalle zone della sua infanzia. Si tratta di un non-luogo, uno di quei borghi d’Italia in cui la presenza umana ha lasciato il posto alla natura, in cui nulla sembra essere più riconoscibile. Il paese è stato infatti abbandonato negli anni Sessanta quando la popolazione si è trasferita nella zona circostante dove ancora oggi abita. Nel borgo antico sono rimasti gli animali, un leitmotiv del film, ma i residenti di un tempo non hanno del tutto dimenticato quelle strade.
La regista Chiara Ambrosio
Alla ricerca delle proprie radici familiari e di una connessione con le terre d’infanzia, Chiara Ambrosio scopre questa realtà casualmente, in un giorno di festa del paese, in occasione della celebrazione di un particolare rito di Pasqua pagana, ripreso nella scena iniziale. È l’unico momento del film in cui si vede il piccolo villaggio brulicare di vita, con bambini, uomini e donne di ogni età.
Al finire della celebrazione però si è rivelato alla regista il vero volto di un paese fantasma, destinato a essere riassorbito dalla natura circostante. Le immagini successive testimoniano proprio questa realtà, con una serie di scene interamente occupate dal paesaggio calabrese ma al contempo dominate dai suoni, dai rumori della natura e dai versi degli animali. Il suono è infatti la chiave usata dalla regista per entrare nel mondo di Bonifanti, per coglierne e testimoniarne la vitalità. I suoni colmano un’assenza visiva particolarmente evidente nella prima sezione del film, l’elemento umano, e dai suoni nascono le immagini come frequenze d’onda che prendono vita.
Le prime parole pronunciate nel film sono quelle in dialetto di un anziano cittadino che ci ricorda come “la memoria se ne va”. Altro tema fondamentale di questo film-documentario è infatti la memoria intesa dalla regista come impegno per salvaguardare il ricordo dei luoghi ripresi; al contempo, come ha lei stessa affermato nella discussione alla fine della proiezione, il film è anche il modo in cui ha voluto lasciare un segno personale e con cui vuole essere identificata per il suo lavoro. Si è trattato infatti di un progetto lungo e complesso, viste anche le difficoltà della zona (a partire dai mezzi di trasporto), che la regista ci ha descritto attraverso la metafora del giardinaggio. In primo luogo ha dovuto smuovere la terra del paesino e immergersi in quella realtà, imparando a conoscerla nel corso degli anni attraverso le parole degli abitanti che lentamente cominciavano ad aprirsi nei suoi confronti. È riuscita così a catturare le immagini quasi evanescenti di un mondo fantasma, a dare loro voce con i suoni della natura e a farle crescere nel suo film.
Il film sarà proiettato a inizio dicembre all’International House Film di Philadelphia e all’Harvard Film Archive.
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