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September 17, 2014
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September 17, 2014
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Che “voglia matta” di quell’Italia che sapeva raccontarsi in quei film

Toni De SantolibyToni De Santoli
Ugo Tognazzi e Catherine Spaak in una scena de La voglia matta

Ugo Tognazzi e Catherine Spaak in una scena de La voglia matta

Time: 4 mins read

 

L’altro giorno Sky, il tv network dell’australiano Murdoch approdato in Italia undici anni fa, ha di nuovo trasmesso “La voglia matta”, diretto da Luciano Salce, protagonisti Ugo Tognazzi e Catherine Spaak. “La voglia matta” è un film uscito in Italia nell’inverno 1962-63, un film che fece epoca, bene accolto anche dalla critica, che allora era di palato difficile. La fortunatissima pellicola racconta la storia d’un quarantenne, Tognazzi, ingegnere di successo, reduce di guerra, il quale in un giorno di fine estate s’imbatte sul litorale tirrenico in una comitiva di diciottenni, ventenni, scatenati, scatenate. All’istante prende una cotta per la Spaak, fanciulla flessuosa, fanciulla enigmatica, ‘tentatrice’, la quale si mette subito a giocare con lui… Lo provoca… Lo attira a sé per poi respingerlo fra i lazzi dei suoi amici, delle sue amiche. A un tratto, con l’imprevedibilità che le è propria, la ragazza assai chic uno, due, tre baci li dona al quarantenne che freme, scalpita; “ruggisce”… Ma lei oltre non vuole andare… Morale: la “ninfa” e il suo seguito di punto in bianco l’ingegnere lo piantano all’alba sulla spiaggia, stremato e confuso, e dal villino sul mare tornano chiassosamente in città.

Ecco un film che rappresenta in modo impeccabile certa atmosfera dell’Italia di allora, delle estati italiane di allora; del rapporto fra uomini maturi, e che avevano fatto, perdio, la guerra!, e le ragazze, come venivano a quei tempi chiamate, “ye ye”. Un film forte, con accenti drammatici, rappresentante della commedia agrodolce italiana di quegli anni. Il timbro di Luciano Salce vi è impresso in modo netto, deciso. Una pellicola, insomma, di classe.

https://youtube.com/watch?v=bdWbnJREzf4

Sky giorni prima aveva ritrasmesso “Molti sogni per le strade”, girato nel 1948 dal celebre Mario Camerini, protagonisti una formidabile Anna Magnani, un altrettanto formidabile Massimo Girotti: la storia, assai realistica, d’una donna, d’una madre (la Magnani) la quale si ritrova ad aver a che fare con un marito (Girotti) che, reduce di guerra e con due soli soldi in tasca, stenta a riadattarsi alla vita civile e medita, addirittura, di lanciarsi “allo sbaraglio”. Poi lui, alla fine, capisce, capisce di non doversi gettar via; trova, per fortuna, l’agognato impiego e il film si chiude con un’inquadratura anch’essa assai realistica, piuttosto toccante: nella sera d’inverno, lei, lui, il figlioletto, s’incamminano verso casa e vediamo una moglie finalmente raggiante, distesa, la quale di profilo guarda orgogliosa il marito.

Giorni prima ancora, Sky aveva riproposto uno dei capolavori di Michelangelo Antonioni: “L’avventura”, del 1960, in vetta a tutti Gabriele Ferzetti, Monica Vitti, Lea Massari, vicenda che poggia sulla ormai famosa “incomunicabilità”, ‘morbo’ di buona parte dell’alta borghesia italiana dell’epoca; primo capitolo della trilogia ‘esistenziale’ dell’assai macerato, tormentato regista ferrarese (“La notte” e “L’eclisse”, il secondo e terzo).

Ma non è tutto qui: su Sky Cinema Classics tengono banco “anche” Vittorio De Sica, Totò, Peppino De Filippo, Titina De Filippo, Aldo Fabrizi, Marisa Allasio, Giovanna Ralli, i fratelli Memmo e Mario Carotenuto, e, s’intende, Sordi, Gassman, la Loren, Mastroianni. Grazie a Sky in questi ultimi anni abbiamo potuto seguire film come “Mio figlio professore”, di Renato Castellani, girato a Roma, uscito nel 1946: la storia, anch’essa alquanto realistica, d’un bidello (Fabrizi) del prestigioso Liceo Classico “Ennio Quirino Visconti”, il quale fra grossi sacrifici riesce a far laureare il figlio: il figlio che, un bel giorno, dimostrerà di vergognarsi del molto “umile” genitore, e qui è dura, durissima, inappellabile, la sentenza su quanti dimenticano le proprie origini.

Non sappiamo neanche più quante volte Sky ha mandato in onda capolavori realizzati da Pietro Germi: “Il ferroviere”, “L’uomo di paglia”, “In nome della legge”, “Un maledetto imbroglio”, altri ancora. Tutti film assai forti i quali ci presentano la natura umana, e sociale, in ogni suo risvolto, in ogni sua sfaccettatura: nella sua nobiltà come nella sua miseria. E tutto questo presentato con asciuttezza, con efficacia.

Care lettrici, cari lettori, stavolta l’abbiamo fatta davvero lunga prima d’arrivare al sodo. Eccoci, quindi, al sodo: a Sky le idee le hanno di molto chiare; conoscono il pubblico, conoscono il pubblico italiano, di cui accontentano ogni settore. Sul canale 315 vengono incontro a noi, a quelli che hanno più di cinquanta o sessan’anni d’età, agli italiani “traditi” da un’Italia sporca, disordinata, prona di fronte ai potenti, amante del ‘modernismo’ dal quale vengono usati, sfruttati, ingannati; resi ormai incapaci di discernere.

Vengono incontro a noi che non ne possiamo più dei Benigni, dei Moretti, dei Vanzina. Non ne possiamo più del superficiale contrabbandato per “spessore” culturale; non ne possiamo più di registi e attori i quali pensano ben più a se stessi che al pubblico. Non ne possiamo più di una genìa di provinciali i quali si sono resi autori d’un disegno “mefistofelico”: porre gli spettatori al loro servizio quando dovrebbero essere essi stessi a collocarsi al servizio del pubblico. Ma un pubblico ce l’hanno… Eccome, se ce l’hanno. Esso è costituito da italiani dimentichi, e magari non per colpa loro, dell’”essere” italiani, dimentichi del gusto italiano, del senso critico italiano. Del senso del ridicolo anch’esso smarrito da così tanti nostri connazionali: basta vedere come si vestono, come si pettinano, come girellano senza meta nelle vie e nelle piazze… Come s’atteggiano a “consumatori”. A “fruitori”! Hanno il Cinema che si meritano. Una paccottiglia un poco edulcorata qua e là, ma povera, poverissima, nella sua insopportabile pretenziosità.

Meno male che per quelli come noi c’è Sky. Sennò, sarebbe la tenebra. Non ci rimarrebbero, e sarebbe comunque tanto, che i dischi di Gino Paoli, Fred Bongusto, Sergio Endrigo, Umberto Bindi; di Mina, della Vanoni, di Nada.

 

 

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Toni De Santoli

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