New York grande protagonista alla 71ª mostra del cinema di Venezia. Fuori concorso, due maestri come Barry Levinson e soprattutto Peter Bogdanovich portano altrettanti film in cui si respira a pieni polmoni il raffinato clima intellettuale di New York.

Al Pacino in una scena di The Humbling
Levinson adatta nientemeno che sua maestà Philip Roth, con The Humbling (in Italia L'umiliazione), romanzo capolavoro che il più grande scrittore americano vivente (almeno a parere di chi scrive) ha pubblicato nel 2010. Al Pacino veste i panni del protagonista, Simon Axler, attore teatrale e di cinema tra i più grandi del suo tempo che, superati i sessanta, ha perso talento e fiducia e sente finita la sua carriera. Abbandonato da tutti, Axler trova un conforto temporaneo nel rapporto con una ragazza di oltre trent'anni più giovane, che gli darà le energie necessarie per la rincorsa prima dell'ultimo, tragico, definitivo balzo autodistruttivo. Per tutto il film si respira il fascino dell'aristocrazia letteraria di New York, in questo fedele al testo di Roth, di cui Levinson, però, smorza la forza distruttiva del desiderio erotico, la libido senile che nel romanzo rendeva più forte e profonda "l'umiliazione del titolo". Non è un peccato da poco, anche perché commesso in nome dell'esportabilità commerciale del film e della sua potenziale corsa agli Oscar, film che però funziona comunque bene per via della sontuosa interpretazione di Pacino, da anni mai così in forma, e di una sintonia tra la mano di Levinson e lo humour nero di Roth.

I membri del cast Kathryn Hahn e Owen Wilson posano, a Venezia, con il regista Peter Bogdanovich
She's Funny That Way segna il ritorno di Peter Bogdanovich alla regia dopo tredici anni. Un altro film sul teatro e su Broadway, il terzo, dopo Birdman (anche questo girato a New York) e il sopracitato The Humbling, è una forsennata commedia degli equivoci che in alcuni momenti tocca i vertici dei tempi d'oro della carriera del regista di Ma papà ti manda sola?, mentre in altri mostra un po' di stanchezza. Andate a vederlo, però, anche solo per il cammeo che conclude il film, un'apparizione improvvisa e geniale sulla quale non diciamo di più per non rovinarvi la straordinaria sorpresa.

Alba Rohrwacher e Adam Driver in una scena del film Hungry Hearts
Nel concorso principale, invece, sceglie l'ambientazione newyorchese anche Saverio Costanzo per il suo Hungry Hearts. Il film, diciamolo subito, non ci è piaciuto, nonostante Costanzo sappia fare cinema come pochi della sua generazione in Italia, con una cura estetica e scelte stilistiche sempre interessanti e appropriate e un'ottima capacità di racconto. Troppi intoppi, però, in questo thriller psicologico che narra la discesa agli inferi di una giovane coppia che perde il contatto con la realtà nel momento in cui la giovane Mina si convince che il figlio che porta in grembo sarà "speciale" e vada per questo conservato puro, lontano dal contatto con il mondo. Per prima cosa spiace dire che Alba Rohrwacher non ci ha convinto, insufficiente nel dare spessore alla progressiva follia del suo personaggio. Poi, ci sono parse quantomeno blande, insufficienti, incomprensibili le motivazioni che "muovono" alcuni personaggi nella storia, il legame spesso solo maldestramente accennato con il loro passato, le infantili incursioni oniriche e psicoanalitche. Per ora, il peggiore degli italiani in concorso.

Una scena del film Heaven Knows What
Infine, segnaliamo ai nostri lettori un altro film di ambientazione newyorchese, questa volta opera di una giovane coppia artistica di registi, Josh e Benny Safdie, in concorso nella sezione Orizzonti. Si intitola Heaven Knows What ed è la versione cinematografica del romanzo autobiografico di Arielle Holmes Mad Love in New York City, che racconta con esasperante crudezza e toccante poesia il micromondo di giovanissimi homeless e tossici che pulsa nelle strade di Manhattan quando cala il sole. I due cineasti, classe 1984 e 1986, invece di trasformare il racconto di Arielle in fiction, hanno deciso di chiederle di rifare personalmente alcune delle "situazioni" raccontate nel romanzo, determinando una dimensione originale sospesa tra finzione e documentario (per certi versi lontanamente ispirata alla "tecnica" sdoganata nelll'ormai imprescindibile capolavoro The Act of Killing di Joshua Oppenheimer). Il risultato è un piccolo gioiello, forte, ruvido, disturbante e impreziosito da scelte stilistiche personali – le musiche "da fiaba", alcuni momenti di poesia e tenerezza – che creano un forte contrasto. Emozionante, poetico, vibrante, potete vederlo a fine settembre al New York Film Festival, in attesa che qualche distributore scelga di investire su questa giovane coppia di autori.