Oriana Fallaci, giornalista coraggiosa che raccontò decine di conflitti da ogni parte del mondo, personaggio controverso e scomodo che negli ultimi anni della sua vita si attirò accese critiche per i suoi libri anti-islam. A lei è dedicato lo spettacolo Fallaci, a Woman Against che andrà in scena il 16 giugno alle 18.00 all’interno del festival di teatro Italiano In Scena!. Scritto da Emilia Costantini e presentato a New York nella traduzione e adattamento di Dave Johnson e Laura Caparrotti, lo spettacolo presenta Andrus Nichols nei panni della famosa scrittrice in un’immaginaria intervista post-mortem.
Emilia Costantini è giornalista culturale e critica teatrale per il Corriere della Sera e autrice di tre romanzi, numerosi saggi e alcuni testi teatrali. Ha ideato e conduce da tre anni al Teatro Stabile di Roma, Teatro Argentina, la rassegna Singolarità del femminile, dedicata alla creatività femminile. L’abbiamo intervistata per farci raccontare di questo spettacolo e del suo rapporto con la giornalista scomparsa nel 2006.
Come e perché ti è venuta l’idea di uno spettacolo su Oriana Fallaci?
Perché è stata la più grande giornalista del Novecento, oltre che una grande scrittrice. Lei si è sempre definita uno scrittore (al maschile) prestato al giornalismo. L’idea di occuparmi della Fallaci mi è venuta quattro anni fa. Poi, dal mio testo, Monica Guerritore ha realizzato una drammaturgia scenica che abbiamo portato al Festival di Spoleto e da allora lo spettacolo ha iniziato a viaggiare ed essere rappresentato in varie città finché è stato tradotto in Inglese e ora siamo qui a New York.
Come è costruito lo spettacolo?
Si tratta di un’intervista immaginaria e impossibile. Ci sono due voci, quella della giornalista e quella di Oriana che ormai appartiene alla morte ed è come se tornasse dal passato per rilasciare questa intervista.
Cosa ti interessa del suo personaggio nello specifico?
Il fatto che fosse una donna molto scomoda. Fin da quando faceva la partigiana con il papà a Firenze. Io l’ho definita “una donna contro” che non è mai appartenuta né alla destra né alla sinistra che, nella divisione politica italiana, lei chiamava i Guelfi e i Ghibellini, per evidenziarne l’eterna litigiosità. Era contro la violenza, contro le guerre. Fu la prima inviata di guerra donna e si schierò apertamente contro le tirannie e contro le cricche. Non è mai appartenuta a un partito e per questo è stata impallinata in Italia mentre è stata più amata all’estero, in America e perfino in Cina.
Nell’ipotizzare le sue risposte, immagino avrai dovuto ipotizzare un carattere. Su quali fonti ti sei basata?
Il personaggio esisteva già e quindi io ho utilizzato le sue parole. Sarebbe stato irrispettoso usare parole mie: ho preso i suoi scritti e li ho costruiti in un contesto teatrale. Mi sono presa qualche libertà, ma soprattutto sul personaggio della giornalista che la intervista. Il materiale non mi mancava, anzi, ho avuto l’imbarazzo della scelta e semmai a tratti ho dovuto fare un’operazione dolorosa per togliere delle cose. Ho utilizzato il suoi libri, i suoi articoli, qualche rara intervista da lei rilasciata, le cose che diceva e poi il suo libro uscito postumo, Un cappello pieno di ciliegie, che che racconta della sua famiglia e delle sue esperienze.
Da giornalista e donna, qual è il tuo rapporto personale con Oriana Fallaci? È stata un riferimento? Una fonte di ispirazione?
Purtroppo non l’ho mai conosciuta personalmente e io vengo da una storia e da un rapporto con il giornalismo completamente diverso. Io mi occupo di spettacolo e sono arrivata al giornalismo perché mi interessava il teatro. Però Oriana Fallaci è stata un punto di riferimento per la mia generazione ma non solo, anche per i giovani di oggi. Sono due i suoi libri che hanno avuto più influenza su di me e sono Lettera a un bambino mai nato, che non è un libro sull’aborto ma sul dolore e sul dubbio, e Un uomo, libro che racconta la rigura di Alekos Panagoulis e del rapporto tra i due. Sicuramente la sua figura mi ha ispirata e poi, se vogliamo, anche se al confronto con lei mi sento un microbo, qualcosa in comune tra me e lei c’è perché anche io ho scritto romanzi ispirati alla realtà. I libri di Oriana, anche quando erano romanzi, non erano mai avulsi dalla realtà, dalle sue esperienze personali, dal mondo in cui viveva. Così il mio primo romanzo, uscito nel 2009, affrontava per la prima volta il tema della fecondazione eterologa, che oggi è espoloso ma allora non se ne parlava ancora. Nel mio secondo libro ho affrontato il tema dell’handicap fisico e sociale, dove per handicap sociale intendo quello di gente che nasce e vive in condizioni disastrate. Ai primi di luglio uscirà invece il mio ultimo libro che parla, in forma narrativa, del traffico illegale di organi umani, un tema sempre più di attualità, dal momento che invecchiamo sempre più tardi e sempre più spesso c’è bisogno di trapianti, ma le liste d’attesa sono lunghissime. Così la compravendita di organi sta diventando un fatto drammatico e anche in Italia esistono cliniche compiacenti dove, pagando, si possono saltare le liste d’attesa.
Nei suoi ultimi anni di vita, dopo l’11 settembre, Oriana Fallaci scrisse dei libri molto aggressivi contro l’Islam che sembrarono segnare un brusco cambiamento di rotta e le attirarono molte critiche. Il tuo testo affronta questi passaggi e quel suo periodo ti ha messo a disagio?
All’inizio anche Monica era un po’ titubante quando stavamo decidendo di fare questo spettacolo proprio per via dei suoi ultimi scritti e della sua crociata contro un certo modo di comportarsi da parte dell’Europa nei confronti di un certo Islam. Però quelle sue critiche io non le chiamerei cambiamento di rotta, perché, dopo l’11 settembre, Oriana semplicemente sentì il bisogno di denunciare il terrorismo. Lei era a New York l’11 settembre e scrisse che quella mattina si rese conto che qualcosa stava succedendo e accese la TV, cosa che non faceva mai, e vide quella mostruisità. Descrisse la scena delle persone che si lanciavano giù dalle torri come se “nuotassero nell’aria” e disse che nella sua vita di morti ammazzati ne aveva visti tanti ma tanta gente che si ammazzava così non l’aveva mai vista. A quel punto sentì il dovere morale di lanciare un grido di denuncia contro il terrorismo e non poté non reagire quando sentì dire da alcuni italiani – e l’ho sentito anche io con le mie orecchie – che gli americani se l’erano meritata. Sfido chiunque a dire che il terrorismo sia una cosa positiva, Oriana ha semplicemente rivendicato il diritto dell’Europa ad alzare le antenne contro una nuova colonizzazione. Alcuni lo definiscono razzismo, ma io ci vedo più una difesa della propria cultura. Noi quando andiamo all’estero cerchiamo di comportarci in maniera rispettosa della cultura altrui, soprattuto quando richiede regole specifiche di comportamento. Credo che non sia assurdo chiedere altrettanto agli altri.
Credi che quei suoi ultimi libri le abbiano alienato le simpatie della classe intellettuale (o almeno di una certa classe intellettuale) o credi che ci sia ancora interesse e disponibilità a conoscere e capire Oriana Fallaci?
Quelli sono gli intellettuali che Oriana chiamava “intellettuali falliti e invidiosi” che l’hanno da sempre ridicolizzata, isolata e infine messa al bando. Ma io onestamente non mi aspettavo l’entusiasmo e l’interesse che questa donna, in modo trasversale agli strati sociali e intellettuali, riesce ancora a suscitare. Lo spettacolo ha avuto un successo enorme e allo spettacolo sono seguiti convegni partecipatissimi, conferenze. L’anno scorso sono stata invitata all’Università di Miami e a luglio sarò a San Francisco per parlare della Fallaci.
Fallaci e New York, un rapporto d’amore durato una vita. Ci sono riferimenti alla città nel tuo testo?
New York ovviamente è presente. È una città cosmopolita e piena di energie e non poteva non esserci in un testo su Oriana Fallaci che qui aveva trovato la sua culla e il suo rifugio negli ultimi 20 anni. Qui si ritirò a scrivere il suo ultimo libro che fu poi pubblicato postumo. New York era presente nella vita di Oriana e lo è nella vita di tutti noi, come punto di riferimento, fonte di energia e voglia di fare e di vivere.
Cosa significa per te portare questo testo qui a New York? E pensi che ci sia interesse qui per questo personaggio?
Sono emozionatissima. Capita una volta nella vita (almeno nella mia, perché invece i libri di Oriana sono stati tradotti in decine di lingue) di sentire un proprio testo recitato in un’altra lingua, in questo caso da una vera attrice americana. Credo che l’interesse ci sia e che Oriana Fallaci qui sia molto conosciuta. Ma d’altra parte, come dicevo, lei all’estero era anche più famosa che in Italia. Quando organizzai il primo convegno sulla Fallaci a Spoleto, dopo lo spettacolo, c’era, tra gli ospiti, la giornalista Lucia Annunziata che raccontò che quando aveva inizato a fare l’inviata e andava in giro per il mondo, quando sentivano che era una giornalista italiana, molti le dicevano “Ah, Oriana Fallaci”. Era diventata un’icona.
Fallaci, a Woman Against
Testo di Emilia Costantini, con Andrus Nichols
Traduzione e adattamento di Dave Johnson e Laura Caparrotti
Lunedì 16 giugno, 6.00 pm, TheatreLab, 357 W 36th Street, Manhattan