Il momento è d’oro e bisogna dirlo al mondo. E qualche vetrina migliore di New York… L’edizione 2014 di Open Roads, inaugurata giovedì 5 e in corso fino al 12 giugno al Lincoln Center, è anche occasione per celebrare una recuperata buona salute per l’industria cinematografica. Ogni anno, da 14 anni, il festival di cinema italiano più importante in Nord America offre alla Grande mela una panoramica sulle creazioni italiane più recenti, spaziando tra generi, tendenze, territori e stili diversi.
Con 16 film in programma, per questa edizione la Film Society Lincoln Center ha messo insieme un cartellone particolarmente diversificato che racconta un’Italia del cinema che sa fare tesoro del proprio passato mentre propone formule innovative al limite dello sperimentale. Nel programma compaiono veterani del cinema così come esordienti, film di fiction e documentari, commedie e pellicole di impegno sociale.
Il mostro sacro di quest’anno è Gianni Amelio di cui sono in proiezione due pellicole, L’intrepido e Felice chi è diverso. Tra i veterani figurano poi Roberto Andò, Daniele Luchetti e Giovanni Veronesi. Sono invece al loro film d’esordio Fabio Mollo, regista di Il Sud è niente, e Sydney Sibilia, giovane autore la cui opera prima è un Breaking Bad all’italiana. Tanti gli attori non professionisti: nel film di Winspeare, In grazia di dio, come anche ne L’amministratore, dove un vero amministratore di condominio si presta al cinema per raccontare il suo lavoro. E poi un talento che per la prima volta passa dal palcoscenico allo schermo, Emma Dante che si mette alla prova con regia e interpretazione della trasposizione cinematografica del suo romanzo Via Castellana Bandiera.
Il festival si è aperto giovedì con un evento speciale cui ha partecipato una ricca delegazione di registi e attori arrivati dall’Italia. Nel corso della serata, è stata proiettata l’ultima opera di Daniele Luchetti, l’autobiografico Anni felici, in cui il regista racconta la storia della sua originale e appassionata famiglia. Nel partecipato dibattito con il pubblico seguito alla proiezione, il regista ha spiegato che dal momento della prima scrittura della sceneggiatura alla realizzazione del film sono passati 15 anni: “Soltanto quando ho smesso di pensare questo film come un film sulla mia famiglia sono riuscito a sbloccarmi. Dal momento in cui ho capito che potevo sentirmi libero di tradire la realtà e costruire dei personaggi, è stato facilissimo”.
La serata è proseguita con la proiezione del film di Gianni Amelio, L’Intrepido, che vede Antonio Albanese alle prese con un lavoro molto particolare.
“Il tratto più interessante della selezione di quest’anno è certamente la varietà – ci ha detto Dennis Lim, director of programming della Film Society – Nello scegliere le opere abbiamo voluto mostrare sia il cinema italiano più mainstream che quello più piccolo e indipendente”.
Piccolo o grande che sia, il cinema che in questi giorni passa sugli schermi del Lincoln Center, sembra essere un cinema che piace, anche all’estero. “La finestra che questo festival ritaglia sul cinema italiano è una finestra vincente – ha commentato a La VOCE Carla Cattani, dirigente Istituto Luce Cinecittà – L’Italia è stata il paese al mondo che negli ultimi due anni ha vinto più premi nei festival maggiori. E i premi si traducono in attenzione internazionale che si traduce a sua volta in vendite. Si tratta di un momento oggettivamente straordinario. E in questo festival ci sono molti dei film che sono stati premiati in giro per il mondo”.
E il successo è transgenerazionale e va da Nord a Sud, ci ha spiegato Antonio Monda, fondatore del festival e rappresentante di Cinecittà negli USA. “Questa edizione del festival traccia una vera e propria mappa geografica dell’Italia, e tocca diverse generazioni di autori. Un grande spazio anche ai documentari che, dopo qualche anno in cui erano rondini che non facevano primavera, ora finalmente anche da noi iniziano a imporre la propria presenza”.
È infatti il documentario a fare da protagonista della rinascita della cinematografia nostrana che da qualche anno vede sperimentazioni che mescolano la fiction e la non fiction in uno stile nuovo e unico. “Li chiamano transgeneri – ha ripreso Carla Cattani – e stanno andando benissimo. Sono quelle sperimentazioni che si muovono tra documentario, film di finzione e videoarte. Ancora una volta il cinema italiano guarda alla realtà e recupera un rapporto forte con il territorio. Non parlerei di neo neorealismo, che sminuirebbe sia il cinema del passato che quello del presente, ma di un modo di raccontare la realtà che è assolutamente nostro, parte della nostra cultura, e allo stesso tempo assolutamente diverso da ogni altro modo. Il risultato sono tanti film che coniugano modi diversi di raccontare storie. E questo è il primo festival che ha riconosciuto questa tendenza del cinema italiano e l’ha valorizzata, dando molto spazio a questo tipo di film”:
Lo conferma anche Dennis Lim: “Il cinema di fiction che si dedica alla realtà è una tradizione nella cinematografia italiana e mi sembra interessante che anche oggi i registi più giovani si muovano tra documentario e fiction, sperimentando su entrambi gli estremi dello spettro. È una tendenza che esiste anche altrove, non è esclusiva italiana, ma è l’Italia che sta spingendo di più questo genere sulla scena internazionale”.
I film saranno in proiezione fino al 12 giugno, in lingua originale con sottotitoli in inglese.
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