L’obiettivo è conclamato: portare i mutanti creati dall’universo Marvel a livello degli altri supereroi quali Iron Man, Captain America, Thor o Spider-Man. Sia a livello spettacolare che per quanto riguarda il risultato al botteghino.
Considerati da sempre un gruppo di “outcast” rispetto agli altri personaggi più famosi e celebrati, gli X-Men rappresentano in qualche modo la metafora complessa delle minoranze che lottano per i propri diritti e per affermare la loro diversità in uno status quo che vorrebbe invece tutto e tutti soggetti alla medesima omologazione. Fin dal suo approccio con il primo lungometraggio, ormai targato 2000, Bryan Singer ne ha rispettato l’anima lacerata, e con quest’ultimo X-Men: Days of Future Past ha confermato la volontà di proseguire in quella direzione. Tale discorso però è stato inserito in una confezione che a livello narrativo e spettacolare funziona in maniera pressoché perfetta. Il gioco a incastri elaborato grazie al viaggio nel tempo che innesca la vicenda si dimostra fin dalle prime scene del film uno stratagemma riuscito per legare i “vecchi” leoni della prima trilogia con l’appeal delle nuove star dell’ultimo X-Men: First Class. In questo modo sia la generazione dei fan di Sir Ian McKellen che i più giovani appassionati di Jennifer Lawrence o Michael Fassbender potranno ritrovarsi in sala per applaudire i propri beniamini. A far da collante ai due gruppi di attori, Hugh Jackman, nei panni stavolta più saggi e riflessivi dell’icona Wolverine.
La parte che funziona meglio di X-Men: Days of Future Past è senza dubbio quella ambientata all’inizio degli anni ’70, piena di trovate cinematografiche e ironia sul periodo storico. L’alchimia tra i personaggi è ben sviluppata, le psicologie sono meglio definite, e ciò consente ad esempio a un’attrice talentuosa come Jennifer Lawrence di migliorare notevolmente l’aderenza al personaggio di Raven/Mystique, quando invece proprio lei era stata uno dei punti più dolenti di First Class.
Scritto e montato con un notevole senso del ritmo, condito con almeno due o tre sequenze di enorme impatto visivo, questo nuovo lungometraggio formato da Bryan Singer è senz’altro meritevole del livello dei precedenti, se non addirittura superiore. L’estetica con cui i due piani temporali sono stati definiti è tanto differente quanto precisa nel mostrare il tempo trascorso. Le Sentinelle, nuovi e inarrestabili nemici da cui gli X-Men devono scappare sono portentose, così come le battaglie che affrontano con i mutanti. Per quanto riguarda la parte ambientata nel passato è invece il duello psicologico ed emotivo tra i personaggi a rappresentare il vero tesoro del film. I rapporti umani lacerati ma potenti che legano Charles Xavie, Magneto, Wolverine e Mystique sono messi in scena con notevole presa emotiva, così come alla fine risalta anche la figura di Bolivar trask, altro “mostro” che nel film intende annichilire quella stessa diversità che in qualche modo ammira come scienziato. In ruoli così ben strutturati l’intero cast di attori fornisce una prova più che degna. Della Lawrence abbiamo già accennato, mentre anche James McAvoy, Michael Fassbender, Nicholas Hoult e il piccolo grande Peter Dinklage meritano di essere accomunati in un sincero applauso.
Quando il cinema hollywoodiano riesce a unire forma e contenuto in un prodotto che garantisce al pubblico spettacolo e motivi di riflessione, tale cinema rimane insuperabile. Siccome questo equilibrio viene trovato sempre più raramente, almeno per quanto riguarda produzioni dal grande budget e destinate al pubblico più vasto, X-Men: Days of Future Past si rivela ancor più prezioso di quanto la sua confezione da blockbuster racconta.