Il termine è inglese e, come tanti neologismi di provenienza anglosassone, diventato di tendenza, è oggi spesso abusato. Non al punto, tuttavia, da oscurare la vibrante realtà cui l’espressione fa riferimento e che, al contrario di quanto comunemente si creda, non è appannaggio esclusivo del mondo delle tecnologie. Alle start-up di matrice umanistica nate nell’area di New York e New Jersey, l’Inserra Chair in Italian and Italian American Studies della Montclair University (NJ), in collaborazione con il Feliciano Center for Entrepreneurship, ha dedicato il seminario Not Just For Techies che è stato occasione per esplorare il panorama delle start-up locali e far conoscere alcune esperienze italiane. Perché quando si parla di studi umanistici, l’Italia ha da mettere a frutto secoli di cultura e innovazione.
Teresa Fiore (Inserra Chair) e Dennis Bone (Feliciano Center), organizzatori del seminario Not Just for Techies. Foto: MIke Peters
“Abbiamo organizzato questo incontro perché volevamo parlare di Italia senza parlare di moda e cibo, come spesso si fa, e per parlare di start-up, al di là dei termini tecnologici” ha detto Teresa Fiore, titolare della cattedra Inserra aprendo il seminario davanti a un folto pubblico tra cui c’era anche il console italiano a New York, Natalia Quintavalle.
Delle start-up, dell’innovazione e della capacità di costruire progetti intorno a idee giovani e nuove, New York ha fatto una bandiera e un florido settore di crescita economica, grazie anche alla visione dell’amministrazione cittadina che per anni ha cercato di favorire la creazione d’impresa in città. Al nutrito e variegato panorama delle start-up newyorchesi è dedicato il libro Tech and the City, di Maria Teresa Cometto, giornalista del Corriere della Sera da tempo residente a New York, e Alessandro Piol, cofondatore di Vedanta Capital con oltre trent’anni di esperienza nell’industria delle tecnologie. “Quello che colpisce della comunità newyorchese delle start-up è la varietà delle competenze e dei talenti – ha detto nel suo intervento Maria Teresa Cometto – Mentre nella Silicon Valley c’è un orientamento molto più tecnologico, a New York la community è composta da artisti, persone che vengono dai media, dalla moda, dalla pubblicità. L’idea è quella di ritrovarsi insieme e scambiarsi idee”. Il settore è in pieno sviluppo e produce migliaia di posti di lavoro in città. “Negli ultimi anni l’industria tecnologica a New York è diventata il secondo settore economico della città, dopo la finanza, ma produce più posti di lavoro di quanto non faccia la finanza che al momento sta attraversando una fase di crisi, anche di immagine”.
Il libro di Cometto e Piol raccoglie interviste a tanti dei protagonisti di questo vibrante movimento e racconta le storie di molte start-up newyorchesi che si muovono proprio nel campo dellle “humanities”. Tra i nomi più noti ci sono Kickstarter e Business Insider, progetti che sono esplosi a livello globale nel giro di pochissimi anni e che sono nati proprio nella Grande Mela. Complice dello sviluppo del settore all’ombra della Statua della libertà c’è anche la crescente tendenza dei giovani a scegliere di vivere nelle grandi città che, a differenza dei sobborghi, offrono un ambiente culturalmente stimolante e lavorativamente proficuo. “Negli scorsi anni, ho visto crescere a dismisura la comunità tech e le start-up di New York – ha detto Alessandro Piol – Una volta le compagnie del settore tecnologico venivano aperte nel bel mezzo del niente, soprattutto per via del fatto che avevano spese altissime e dovevano avere molto personale specializzato. Oggi le risorse che servono per aprire un’azienda nel settore tecnologico sono molte meno, c’è a disposizione ogni tipo di software open-source, online si trova di tutto e molte risorse possono essere out-sourced, così che non è necessario avere all’interno della propria azienda tutte le competenze e capacità. Bastano due persone, un computer portatile e una scrivania e l’azienda è fatta. Di conseguenza molte compagnie riescono a spostarsi nelle grandi città, perché non serve molto spazio”.
A riportare un’esperienza diretta è stato Guy Story, CTO di Audible.com, compagni con sede storica a Newark (NJ) ed esperto di innovazione tecnologica. Story ha raccontato gli esordi della sua compagnia e come, nel giro di pochi anni, sia arrivata ada attirare l’attenzione di colossi del digitale, tanto da essere acquistata da Amazon. “La collaborazione tra chi si occupa di tecnologie e chi si occupa di storytelling e contenuti è la chiave e ha permesso a imprese come la nostra di sopravvivere – ha detto Guy Story – Viviamo tempi interessanti, in cui c’è una piattaforma per ogni idea”.
Ma se New York è senza dubbio il motore di questo movimento, anche l’Italia sta facendo la sua parte e lo dimostrano esperienze come quella portata al seminario dell’Inserra da Claudio Vaccarella, fondatore di Hyper TV, una società fondata a Roma nel 2011 (oggi ha anche un ufficio a New York) con la missione di sviluppare e commercializzare una piattaforma di pubblicazione che rende più semplice creare app abbinate a programmi TV e ad eventi in modo coinvolgente, interattivo, e “gamificato”. Claudio Vaccarella concretizza in sé l’entusiasmo e la creatività imprenditoriale di questo movimento che dalla tecnologia arriva ai contenuti. “Questa è l’età dell’oro dei contenuti – ha detto nel suo intervento – Le nuove piattaforme non hanno più bisogno di sofisticati linguaggi di programmazione e possono interagire con gli utenti e con il contesto. Il tutto senza bisogno di competenze tecniche”.
Un processo di democratizzazione dei contenuti e dei mezzi di comunicazione che ha le caratteristiche del movimento dal basso (e proprio in quell’anima “grassroot” sta forse il cuore del termine start-up) e in grado allo stesso tempo di creare business da centinaia di milioni di dollari. E il processo non si ferma a New York ma coinvolge tutta l’area metropolitana fino al New Jersey dove sono tante le iniziative imprenditoriali di questo genere e dove c’è molta curiosità per questi temi. Lo ha dimostrato anche l’ampia partecipazione al seminario dell’Inserra e le tante domande che il pubblico ha rivolto ai partecipanti alla tavola rotonda: da una parte emerge il desiderio di sviluppare una propria autonomia rispetto a New York, dall’altra il New Jersey e la Tristate area tutta possono porsi, piuttosto che come realtà separata o in competizione, come spazio che beneficia della vicinanza di una città dinamica come New York e ad essa si integra offrendole competenze e servizi.
New York e gli USA hanno aperto la strada, l’Italia sta cercando il suo spazio. Le idee non mancano. Serve, semmai, la capacità di fare rete, anche con il settore della ricerca e dell’università. Da questa parte dell’Atlantico, realtà come l’Inserra ci stanno provando, costruendo un ponto tra l’Italia, New York e il New Jersey. Chissà che dall’altra parte dell’oceano qualcuno non segua il buon esempio.