Romano de Roma, Enrico Brignano si forma all’Accademia di Gigi Proietti, una scuola che ha generato molti attori di successo, purtroppo chiusa anni fa per mancanza di sostegno da parte delle Istituzioni. La carriera di Brignano è stellare. Dalla televisione, La sai l’ultima e poi Scherzi a parte, arriva a fare serie televisive di successo, come il Un medico in famiglia, e a riempire i teatri di tutta Italia con i suoi one-man show che ricordano molto la rivista o l’avanspettacolo di alto livello. Oggi Enrico Brignano è uno degli attori più conosciuti e amati in Italia. A breve porterà la commedia musicale Rugantino, pietra miliare del genere, a New York, città che per lui è quasi una seconda casa. E qui lo abbiamo incontrato, mentre si prepara a presentare nella Grande Mela questo nuovo lavoro che, ci ha spiegato, nella sua carriera ha assunto un valore particolare.
Che rapporto hai con New York?
New York per me è diventata nell’arco di vent’anni, da quando sono venuto la prima volta, una sorta di luogo familiare dove vengo per trovare nuovi stimoli. Ogni volta che giro per la città vedo nuove cose e allo stesso tempo viaggio nei ricordi. Io sono venuto qui in un momento abbastanza buio della mia vita e ricordo quando ero un po’ più giovane quando facevo il lavoro di cameriere. Ho due ricordi che si alternano: la prima volta quando ero uno studente d’inglese e poi mi misi a fare il cameriere in un ristorante italiano e poi ricordo l’ultima volta che venni tre anni fa e andai a recitare al Radio City Music Hall. Una città degli eccessi, dove si può andare dalle stelle alle stalle. Quindi adesso venirci con uno spettacolo come Rugantino è un ulteriore sogno. Parlo anche a nome della compagnia: siamo circa novanta fra attori ballerini e tecnici, portiamo a New York, luogo deputato alla commedia e al musical, una nostra commedia musicale. Anche se per un periodo abbastanza breve, è suggestivo. Rugantino, poi, è stata scritta tanto tempo fa, cinquantadue anni fa per l'esattezza e venne qui cinquanta anni fa, nel 1964, con altri protagonisti, quali Aldo Fabrizi, Nino Manfredi, Ornella Vanoni, Bice Valori, Lando Fiorini, Carlo delle Piane, Renzo Palmer, grandi attori che hanno scritto pagine importanti della storia dello spettacolo italiano. È davvero uno spettacolo celebrativo e spero sia anche auto-celebrativo per noi italiani. In un momento di grande crisi intellettuale e morale anche nel nostro paese portare uno spettacolo di questo tipo potrebbe essere un segno positivo.
Quando è iniziata l’avventura Rugantino per te? E quando hai deciso: lo porto a New York?
L’avventura è iniziata quando avevo dodici anni. Entrai in teatro a vedere l’edizione fatta da Montesano, egregiamente fra l’altro. C’era Alida Chelli che faceva Rosetta. Fu un amore a prima vista, non sapevo nulla di nulla, ero giovanissimo, venivo da una borgata romana, andavo al Teatro Sistina, che era la nostra Broadway, al centro di Roma, accompagnato dai genitori. Non avevo idea di cosa poter fare da grande; si vede invece che quello spettacolo così fascinoso, così bello e così ricco mi è germogliato dentro, tanto che quando iniziai a fare l’attore, esattamente nel 2000, facevo televisione e venne fuori la notizia che veniva ripreso Rugantino: mi proposi subito. Pietro Garinei (autore di Rugantino e direttore, insieme a Sandro Giovannini, del Sistina, ndr) all’epoca non mi diede neanche la possibilità di partecipare ai provini, nonostante lui mi volesse al Sistina, non andavo bene, secondo lui, per quel ruolo. Alla fine, dopo quattro anni che con Garinei continuavamo a frequentarci per fare altri progetti insieme, durante il progetto di Evviva, altro mio spettacolo al Sistina, decisi che avrei fatto Evviva a patto che in un'eventuale nuova edizione di Rugantino fossi io a fare il protagonista. Lui accettò di buon grado, ma poi quella promessa scritta nero su bianco, non poté essere mantenuta in quanto Pietro Garinei passò a miglior vita. Dunque rimasi col desiderio irrefrenabile di farlo. Aspettai un paio d’anni poi sentii che era ora, anche perché Rugantino è un ruolo che va fatto in un lasso di tempo non molto largo. Decisi nel 2009 di metterlo su per l’anno dopo. Uscita la notizia, a Roma, dove facemmo il debutto per poi rimanere quattro mesi in scena, la risposta del pubblico fu fantastica tanto da farci fare un incasso mai visto nella storia del teatro italiano. Finita la replica di Rugantino in Febbraio, venni qui perché c’era l’appuntamento con Gigi D’Alessio, al Radio City Music Hall, con il suo spettacolo Tu vo’ fa’ l’americano. C’erano circa 6.000 italo-americani in quella serata newyorchese e lì ebbi la possibilità di conoscere le comunità italiane, quegli italiani oriundi, partiti in giovane età o nati qui, ora affermati professionisti, che hanno ancora nelle orecchie un dialetto, magari del Sud, che non esiste nemmeno più e che invece hanno un amore nuovo, fresco e ancora giovane per l’Italia, che molti di loro non hanno nemmeno mai visto. In quell’occasione, fra un intervento e l’altro, mi sono detto: perché non portare Rugantino a New York? Ed eccoci qua fra un mese al City Center.
Si dice che sia una commedia musicale romana, secondo te è vero?
È una commedia musicale ambientata a Roma, dove si parla un romanesco desueto, antico, e i personaggi sono legati a quella città, del 1830. Potremmo dire che è una commedia romana, alla fine non lo è. Quelli che l’hanno ideato son tutti campioni: Garinei e Giovannini erano romani, ma hanno creato un genere – quello della commedia musicale – che non esisteva. Armando Trovajoli, che ha composto le musiche, era romano, ma ha un talento riconosciuto in tutto il mondo. C’è poi Coltellacci, che fece le scene e i costumi. Anche lui ha fatto scuola e le scenografie e i costumi nella nostra edizione sono quelli originali. Non c’è niente di cittadino se non lo spunto di una storia straordinaria legata a una tragicommedia dove amore e morte si miscelano come nelle migliori salse della commedia internazionale. Quando si parla di commedia di sentimenti, non si può non fare riferimento alle storie italiane. Persino Shakespeare si è ispirato all’Italia.
Ci sono cambiamenti nella tua versione rispetto a quella di cinquanta ani fa?
Noi abbiamo la musica dal vivo, cosa che non succedeva dal 1978. A New York però non abbiamo portato i musicisti, non abbiamo potuto, sarebbe stato molto complicato. A livello di struttura dello spettacolo, il copione non è cambiato per niente se non per piccole cose.
Rugantino andrà in scena al New York City Center il 12, 13 e 14 giugno.