Gabriel è il delicato e avvincente racconto di un ragazzo disturbato, che crede di ritrovare la serenità ricongiungendosi al suo primo amore. La sua impresa svelerà a poco a poco lo squilibrio mentale del giovane. Il film cattura con sensibilità, e al contempo spietatezza, la mancanza di compassione della nostra società nei confronti dei problemi legati alla psiche.
Lou Howe, corona il suo debutto alla regia presentando questa pellicola al Tribeca Film Festival dove il film è in concorso. A La VOCE di New York racconta come ha concepito la storia:
Perché hai sentito l’esigenza di raccontare una storia sui disturbi mentali?
L’idea originaria nasce da un’esperienza che ho avuto nel vedere un mio caro amico diagnosticato con dei problemi di questo tipo, tuttavia il personaggio di Gabriel è interamente immaginario.
Hai fatto delle particolari ricerche nel campo medico per la realizzazione del film?
Ci sono state due organizzazioni di New York che sono state di grande aiuto: The Child Mind Institute, che ha letto le prime versioni della sceneggiatura per assicurarsi che la malattia fosse raccontata in maniera veritiera, e la Fountain House, che è una struttura che aiuta le persone con questo genere di disturbi. Ho portato anche Rory [Culkin] in questo centro, affinché potesse prendere spunto dai pazienti per creare il personaggio di Gabriel. Ma in generale ho fatto in modo che tutti gli attori sviluppassero il proprio punto di vista all’interno della storia.
È stato utile tenere un diario delle giornate di Gabriel?
Effettivamente è stato il primo passo nella creazione dell’intero progetto. Ho iniziato a tenere un diario dal punto di vista di Gabriel, che in qualche modo si è riversato nella sceneggiatura.
Come hai preparato gli attori prima delle riprese?
Abbiamo parlato molto per costruire la vita interiore di Gabriel. Oltre a creare l’intero retroscena della famiglia. Insomma c’è stata tanta preparazione prima di arrivare sul set. In modo che ci fossero delle solide fondamenta per dare vita ai personaggi.

Il regista e l’attore durante un incontro con la stampa al Tribeca Film Festival
L’attore protagonista Rory Culkin, che incarna in maniera stupefacente Gabriel, racconta la sua esperienza nel dar vita al suo personaggio:
Com’è stato incontrare persone realmente affette da disturbi mentali?
Per me era importante sentire i racconti di prima mano per poter capire il loro punto di vista. Imparare dall’esterno, attraverso gli studi medici indubbiamente è molto utile, ma durante le riprese tutti gli aspetti nozionistici li ho dovuti mettere da parte, perché Gabriel se ne infischia delle diagnosi.
Qualcuno dei pazienti in particolare ti ha dato degli spunti nella costruzione del personaggio?
Non ho molte battute e ci sono momenti in cui mi esprimo con il linguaggio del corpo. Un paziente in particolare mi aveva colpito, perché mi aveva detto che non poteva fidarsi interamente delle sue mani e che doveva sempre tenerle a vista. Ecco perché ho quelle movenze in cui tengo le mani vicino al viso.
A proposito di fiducia, com’è stato lavorare con gli altri attori?
Non avevo la necessità di familiarizzare con loro. Andavamo d’accordo, ma non c’era bisogno di costruire un rapporto di fiducia, proprio perché Gabriel non si fida di loro.
È stato difficile per te liberarti di Gabriel alla fine delle riprese?
Credevo di essermene liberato ma quando sono tornato a casa dopo le riprese ero molto fragile e sensibile, i miei amici mi dicevano che il mio volto sembrava invecchiato di anni – nel giro di poche settimane! Quando alla prima del film, qui al festival, mi sono ri-visto nei panni di Gabriel mi ha ri-catapultato in quello stato d’animo e mi sono commosso.
Qui tutte le proiezioni di Gabriel in programma nel corso del Tribeca Film Festival.