C’era il pienone alla Casa Italiana Zerilli-Marimò della NYU, il primo aprile in occasione della proiezione del documentario di Men of the Cloth. Alcune persone, tra cui alcuni miei studenti della CUNY hanno dovuto restare in piedi, alcuni sono riusciti a sedersi su alcune sedie aggiunte all’ultimo minuto, altri non sono riusciti ad entrare. Ma il video della serata sarà presto disponibile sul sito della Casa. Alla proiezione del film é seguita una vivace discussione con la regista del film, Vicki Vasilopoulos, e i maestri sarti Nino Corvato e Joseph Genuardi che erano anche tra i protagonisti del film. C'era addirittura chi non voleva andar via e tutti volevano continuare a fare domande. La serata, egregiamente organizzata dal direttore Stefano Albertini era un segno tangibile di quanto importante e appropriato sia Men of the Cloth.
Il film é una ricca testimonianza umana e storica dell’arte della sartoria che ha caratterizzato il meglio della tradizione e innovazione italiana, quello che a livello globale viene identificato come “made in Italy.” Un metabrand con significati complessi a cui vari studiosi provenienti da varie discipline stanno dedicando la giusta attenzione. Una grande mostra sul glamour della moda italiana dal 1945 ad oggi si é appena inaugurata nel prestigioso Victoria & Albert Museum a Londra. L’importanza della storia, una storia intrisa di umanità e dignità è chiave nel film. Non a caso, all'inizio, nei testi informativi che precedono le sessioni del documentario si fa riferimento esplicito alla tradizione sartoriale italiana che ha profonde radici nel Rinascimento. È proprio nel Rinascimento, infatti, che troviamo i primi ritratti di sarti, tra cui il quadro del pittore bergamasco Giovan Battista Moroni (ca. 1576). Nello stesso periodo un sarto di Milano, Gian Giacomo Dal Conte pubblica il suo catalogo in cui raccoglie i modelli della sua bottega e anche alcuni testimonial e celebrity, come diremmo oggi, tra cui l'imperatore Carlo V che indossa i suoi modelli.
Il film procede parallelo alle fasi della costruzione del vestito. Storie che si sviluppano contemporaneamente e che ci vengono raccontate attraverso testimonianze di vita di sarti e maestri. Maestro, o in inglese “master tailor”era il nome con cui si usava chiamare il capo della bottega artigiana che era anche considerato un maestro di vita, importante nella formazione di giovani ragazzi che cominciavano ad imparare il mestiere sin da quando andavano alla scuola elementare. Una storia in estinzione. Il laboratorio artigianale, il saper fare, la famosa manualità italiana tanto invidiata all’estero, nella sartoria come nell'arte del mobile e in altri mestieri, sono state al cuore del successo dell’Italian style.
I Men of the Cloth del titolo del documentario sono i maestri Nino Corvato e Joseph Centofanti. Il primo, di origine siciliana ci racconta come è arrivato a New York dal suo piccolo paese della Sicilia e come con il suo talento, lavoro e determinazione, ha pian piano costruito il suo atelier ancora attivo nella prestigiosa Madison Avenue. Joseph Centofanti (1918-2011), che aveva la sua sartoria a Philadelphia, nel documentario racconta di aver seguito la sua passione e che, avendo imparato sin da piccolo i segreti del taglio e della manifattura, è sempre riuscito a guadagnare persino durante periodi di acuta crisi economica. Racconta infatti quando nel periodo coloniale fascista, era in Etiopia e mostra il suo libro/bibbia della tecnica sartoriale in cui conserva le immagini delle divise che realizzava per i militari italiani.
La passione, l’orgoglio, la dignità del lavoro del signor Centofanti hanno contagiato e formato un giovane sarto come Joseph Genuardi che una domenica mattina passando per il negozio di Centofanti chiese di essere preso come apprendista dopo aver già conseguito la laurea. E così il film mette a confronto le nuove generazioni alle antiche, mostrando come il giovane Genuardi abbia imparato e sviluppato la sua arte con la guida del maestro. Ora infatti Joseph Genuardi lavora come head tailor da Martin Greenfield a Brooklyn, uno dei distretti di New York che sta sempre più sviluppando le industry creative in vari settori.
L’ esperienza ricchissima di Genuardi, nato in America ma di origine italiana, é simile a quella di Angelo Di Febo, un giovane formatosi alla scuola sartoriale di Penne, in Abruzzo, fondata da Brioni. Nella piccola cittadina di Penne incontriamo infatti Checchino Fonticoli, il cui zio, Nazareno Fonticoli, con il suo business partner Gaetano Savino, aveva fondato la prima sartoria Brioni a Roma in Via Barberini nel dopoguerra. Brioni e l’unica linea sartoriale maschile a sfilare nel 1952 nella famosa Sala Bianca a Firenze insieme alle linee della moda femminile, Simonetta, Fontana, Pucci, Shubert etc. che lanciano il made in Italy nel mondo. Nelle immagini del documentario, il Signor Fonticoli ci parla del suo lavoro nell’azienda e vediamo la scuola di Penne dove i giovani imparano l’arte della sartoria. Qui si é formato Angelo Di Febo, una delle star della Brioni che ora viaggia in tutto il mondo, soprattutto in Asia. I blog sono pieni di sue immagini e interviste in cui parla del futuro della sartoria maschile. Angelo Di Febo nel documentario parla dell’attenzione e della cura che devono essere dedicati alle varie fasi di costruzione della giacca che è l’ anima del vestito. É un lavoro che richiede concentrazione, molto simile, come processo, alla scrittura: i vari pezzi vengono messi insieme in maniera armonica fino al final edit, il momento della stiratura del vestito prima della consegna. Nota dolente, è che l'azienda abruzzese Brioni é stata recentemente comprata dal gruppo Kering.
Da alcuni anni c'è una grande attenzione e un interesse crescente nei confronti della sartoria maschile. Diversi sono i fattori. In primis l'esigenza di ripensare al valore del know-how e della manualità in un periodo di fast fashion. Questa attenzione non risiede solo nel settore del lusso ma anche di giovani brand che esplorano le potenzialità della cosiddetta craft economy. A livello culturale, molto è stato scritto e si sta scrivendo su uomini, identità e mascolinità. C’é un intero campo di studi che si definisce men’s studies. C’ è anche una sempre crescente attenzione a questioni etiche che concernono l’ambiente e il lavoro. Tentativi importanti di eliminare la presenza ancora massiva di sweatshop in cui operai sottopagati, e spesso donne e bambini, producono vestiti di mega brands in condizioni da rivoluzione industriale e a volte pagano il “privilegio” del lavoro con la vita, come nel recente massacro del Bangladesh. Una vergogna sulla coscienza di tutti.
Il film di Vicki Vasilopoulos tocca delle corde importanti e fa riflettere sui limiti di un'economia sregolata e neoliberista, i problemi di giustizia sociale e sulla necessità di arginare gli sprechi e un consumismo impazzito. Il film incoraggia a pensare a curare e formare le nuove generazioni di lavoratori e cittadini e pensare a nuove dimensioni e condizioni del lavoro manuale e della sua nobile dignità. Men of the Cloth aiuta anche a capire quali sono le nostre responsabilità e che politica vuol dire cambiare il modo in cui si guarda al mondo, conoscere le pieghe segrete della storia e costruire partendo da se stessi. Certo, sono tramontate le grandi ideologie, ma la politica, quella vera, sta altrove. Sta nel lavoro quotidiano, nell'umanità, nella passione di realizzare un sogno come quello dei nostri sarti, Corvato, Centofante, Fonticoli, Gesuardi, Di Febo. Un grande esempio di lavoro, chiarezza e onestà intellettuale. E di questo c’è un grande bisogno. In Italia soprattutto.
Men of the Cloth (96 minuti, 2013) di Vicki Vasilopoulos, Orestes Films
*Eugenia Paulicelli, Queens College e Graduate Center, The City University di New York, è stata tra gli ospiti della tavola rotonda organizzata alla Casa Italiana NYU in occasione della proiezione di Men of the Cloth.