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February 5, 2014
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February 5, 2014
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La sinfonia che mi salvò la vita. Hiding in The Spotlight

Ludovica MartellabyLudovica Martella
Time: 5 mins read

A una settimana dalla Giornata della Memoria, Hiding in The Spotlight (La Pianista Bambina, in traduzione italiana), un docu-film di Flaminia Lubin, tratto dall’omonimo best seller di Greg Dawson, commemora le vittime dell’olocausto con la sua prima proiezione ufficiale alla Casa Italiana Zerilli Marimò di New York.

Il docu-film narra la storia della tredicenne Zhanna Arshanskaya e di sua sorella minore, Frina, originarie di un piccolo centro dell’Ucraina, Karkow, le quali riuscirono a sopravviere alle atrocità antisemite dei nazisti grazie alla loro abilità nel suonare il piano. Per Zhanna, su cui è concentrata maggiormente la storia, fu una sinfonia in particolare a salvarle la vita: Fantasy Impromptu di Chopin.

Zhanna era così legata a questa sinfonia che, quando lei e la sua famiglia erano già in marcia verso il campo di sterminio, riuscì a tornare indietro e raggiungere la sua casa, solo per recuperarne lo spartito, per poi riunirsi al gruppo di ebrei, ancora in marcia verso ciò che poi si rivelò una delle tragedie più grandi della storia.

La storia di Zhanna non è solo commovente; è una storia con risvolti imprevedibili. Zhanna riuscì a scappare mentre la sua famiglia si stava dirigendo verso il campo di sterminio, grazie a un giovane soldato tedesco che prese l’orologio del padre di Zhanna come prezzo per la sua libertà: “Non mi importa cosa fai, vivi solamente”, le disse il padre prima di lasciarla scappare tra le strade fredde e innevate appena fuori Karkow.

Fu proprio questa la frase che le diede il coraggio di suonare quella sinfonia che tanto amava, Impromptu, per il nemico: Zhanna e Frina, diventate oramai Maria e Marina Morozova per ragioni di sicurezza, divennero infatti le giovani dive dell’intrattenimento dei campi militari. Fu la loro musica e la loro forza di volontà a farle sopravvivere. “Ogni volta che suonavo avevo paura che qualcuno potesse riconoscerci” commenta Zhanna Arshanskava nel docu-film.

libroMa Zhanna non fu sempre così disponibile a parlare della sua triste e commovente storia, racconta Greg Dawson, autore del best seller e figlio di Zhanna. Tantomeno lo fu sua zia, Frina, la quale non rivelò mai, nemmeno a Zhanna, come fece a scappare dal campo di sterminio dove i suoi genitori e i nonni furono probabilmente uccisi, e a raggiungere sua sorella.

“Non ho saputo nulla della storia di mia madre finché non ho compiuto trent’anni – rivela Dawson riferendosi alle terribili esperienze vissute nei campi di concentramento – Questa è una cosa comune per la mia generazione, molti superstiti non ne parlavano .“Quando chiesi a mia madre perché non avesse mai raccontato la sua storia a me e ai miei fratelli, mi disse ‘Pensavo che fossero cose troppo atroci da dire a dei bambini’. Questa fu la sua scelta. Fu poi, nel 1994, che mia madre capì realmente quanto fosse importante parlare dell’olocausto”.

Fu quasi per caso che finalmente per Zhanna arrivò il momento di raccontare la sua storia. “Mia figlia aveva un compito per la scuola – riprende Greg Dawson – in cui doveva descrivere come fosse la vita di sua nonna alla sua stessa età. Sapendo come fosse riservata sull’argomento, ero sicuro che mia madre non le avrebbe rivelato molto, ma lei ci sorprese con una lettera di quattro pagine scritta a mano dove descrisse i dettagli toccanti e commoventi di quell’esperienza”.

Zhanna

Zhanna Arshanskaya, durante l’evento alla Casa Italiana Zerilli-Marim├▓

Fu dopo quell’esperienza che Dawson decise di scrivere un libro sulla storia di sua madre, quella storia che lui stesso non aveva mai saputo fino in fondo. Questo processo durò ben sette anni. Provò anche a contattare sua zia, due volte, ma Frina rifiutò sempre di parlare della sua esperienza. “Io e Frina abbiamo sempre avuto un bel rapporto, lei è sempre stata molto più riservata di mia madre”.

Matilde Ferri, la giovane attrice che interpreta Zhanna nel docu-film, racconta quanto sia stato difficile per lei immedesimarsi nel personaggio a causa della forte emotività della storia. Lo stesso vale per le due co-protagoniste, India Daniel (Frina) and Barbara Beyda (Irina, la migliore amica di Zhanna). “Certe volte, scoppiavamo tutti a piangere” rivela Ferri raccontando delle prove.

Benedetta Grasso e Erin McGuff, co-sceneggiatrici, confermano il valore sentimentale del docu-film. “Abbiamo provato a non essere troppo narrative nel riprodurre la storia, anche se in un documentario, devi sempre rimanere vicina ai fatti storici – racconta benedetta Grasso – Il bello di un docu-film però è che puoi enfatizzare i dettagli sentimentali della storia, cosa che pensavamo fosse fondamentale in questo caso e penso che ci siamo riuscite”. Erin McGuff, sottolineando il fatto che Dawson ha inserito nel testo molte frasi proprie di sua madre, spiega “Il libro è molto facile da leggere, come se qualcuno ti stesse raccontando una storia. Per questo motivo abbiamo deciso che ci fosse una voce narrante a raccontare la vicenda”. La voce è accompagnata da immagini mute dove le giovani attrici mettono in scena la storia, arricchita da animazioni che, conferma la regista, Flaminia Lubin,  “sono una parte importante del documentario”.

gruppo

Da sinistra : Greg Dawson (autore), Flaminia Lubin (regista), Matilde Ferri (Zhanna), Barbara Bayda (Irina), Stefano Albertini (Casa italiana NYU) e India Daniel (Frina)

Lubin ha già dimostrato in passato la passione per ricreare e rappresentare storie non note al grande pubblico. Il suo precedente documentario, 50 Italians: The men who Saved 50.000 Jewish lives (50 italiani: gli uomini che salvarono 50.000 ebrei), la storia di 50 italiani che durante la shoah riuscirono a salvare la vita di migliaia di ebrei, è solo un esempio della sua missione come regista.

Hiding in The Spotlight è una storia ricca di emozioni e colpi di scena, pronta a educare ed ispirare il prossimo, e soprattutto a ricordare cosa patirono queste persone durante la persecuzione nazista. Il documentario sarà  presto proiettato alla Scuola d’Italia Guglielmo Marconi, dove Lubin ha già presentato il suo 50 Italians.

 

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