Ogni anno il 25 novembre è la giornata mondiale per l'eliminazione della violenza sulle donne e per me ha un significato tutto particolare. Ma quest'anno, il 25 novembre 2013 resterà indelebile nella mia memoria.
Ho fatto parte del cast di Ferite a morte. Un progetto made in Italy di Serena Dandini e Maura Misiti. I racconti di 15 donne, 15 storie di vittime di femminicidio, che parlano da oltre la morte, raccontando la loro quotidianità, ciò che erano prima di quel momento atroce in cui è stata loro portata via la vita. Le storie sono tutte diverse tra loro. C'è una donna uccisa dal suo uomo, una studentessa assassinata dai talebani, una giovane violentata e soffocata, una bimba mai nata. E molte altre, tutte finite tragicamente con un unico punto comune: la violenza inaudita e ingiustificata sulle donne.
Io cosi piccola in mezzo alle SUPERSTARS
Arrivo al palazzo di vetro sulla 1st avenue di New York pochi minuti prima di mezzogiorno, per partecipare alla conferenza stampa di presentazione del progetto.
Entro in questa sala piena di giornalisti. Al tavolo della conferenza vedo una signora con dei tratti asiatici, è Lakshmi Puri, il direttore esecutivo di Un Women, poi Sebastiano Cardi, l'ambasciatore italiano presso le Nazioni Unite, e poi il sorriso familiare di Serena Dandini che mi introduce. "Rosy è una combattente, un'attivista antimafia molto conosciuta in Italia per il suo impegno a favore della legalità".

Serena Dandini (di spalle), Maria Grazia Cucinotta e le altre durante le prove
All'una siamo tutte al 27° piano, per provare a turno un piccolo brano della lettura che ci è stata affidata. A turno ci presentiamo, diciamo chi siamo, qual è il nostro percorso. Io sono l'unica che ha subito violenza. Accenno qualcosa e sono tutte solidali, affettuose. Siamo 15 lettrici ognuna con una sua storia e con una professionalità. Per popolarità alcune sono più riconoscibili di altre, ma l'ambiente è sereno, nessun protagonismo. Siamo donne al servizio di un messaggio importante, universale. Siamo volti e voci prestati a femmine come noi che non hanno più la possibilità di parlare. Siamo la cassa di risonanza di un dolore, ma soprattutto di una battaglia che deve essere di tutte le donne e di tutti gli uomini, in ogni parte del mondo.
Vestirsi e truccarsi nel Palazzo di Vetro che racchiude il mondo
Il dress code è total black: tutte vestite di nero, e indossiamo delle scarpe rosse, ormai simbolo della violenza contro le donne. Ovviamente non ci sono camerini, ma gigantesche sale riunioni con telecamere e microfoni ovunque, in cui ognuno di noi improvvisa la sua piccola zona trucco.
Ci si scambia i fard, gli ombretti, come si faceva un tempo con le compagne di scuola nei bagni, nell'ora della ricreazione: la complicità femminile è un sentimento senza tempo.
La sala Trusteeship scoppia di gente. Tra il pubblico, in platea ci sono anche mia madre e mio padre. Sono cosi felici di entrare alle Nazioni Unite per un avvenimento cosi importante: vedere la loro figlia testimone contro quella violenza che qualche anno fa l'aveva piegata. Sono più emozionati di me.
Mancano pochi minuti siamo tutte in fila in ordine di apparizione. Ci siamo strette le mani per auguraci "in bocca al lupo". Si apre una porta e arriva una musica piacevole che ci accompagna in una passerella discreta verso le sedie sul fondo del palco.

Dall’alto a sinistra in senso orario: Rosy Canale e Serena Dandini, Valeria Golino durante le prove, Rosy e Lakshmi Puri
Dietro di noi su uno schermo gigante delle immagini accompagnano la nostra lettura. Parte la prima. C'è un podio composto, austero come tutto il resto alle Nazioni Unite. Ognuna di noi raggiunge il pergamo e legge il suo brano. Senza un'eccessiva interpretazione, non serve drammaturgia, ma solo chiarezza. Far giungere chiaro il messaggio: le donne vengono uccise senza pietà in questo pianeta.
Sono una studentessa che vuole studiare. Una moto ferma lo scuolabus entra un ragazzo e mi spara in testa
Tocca a me. Il mio racconto si intitola Fiore di loto. Parla di una giovane studentessa che cammina orgogliosa con la sua divisa di scuola. I talebani non vogliono che le ragazze studino. La cultura è un mezzo per liberarsi, per avere una coscienza autonoma, libera. Lei vuole studiare legge, ma la famiglia è contraria. Un giorno una moto ferma lo scuolabus su cui la ragazza viaggia, un ragazzo sale, le punta in faccia la pistola e poi spara. Fine.
Anche nella mia storia personale ricorre una moto ed una pistola in faccia. Mentre leggevo mi son dovuta fermare e prendere fiato. La ragazza muore, ma confida nelle sue compagne di classe che nascondono i libri ed i quaderni, che magari non impareranno grandi cose, ma non si arrenderanno alla paura, ai talebani.
Applausi e lacrime
Ognuno ha messo il meglio di sé in queste righe. E non perchè sei alle Nazioni Unite e devi mostrare a tutti che sai recitare. No! Devi arrivare al cuore di tutti e far capire quanto la violenza fa male nella vita degli altri. Ci mettiamo in piedi di fronte all'immensa platea che inizia ad alzarsi in piedi battendo le mani. Io sono commossa, ho le labbra serrate e non riesco a sorridere. Poi si alazano le luci e mi rendo conto che c'è molta più gente di quella che credevo e che il mio viso è proiettato su 10 schermi in giro per l'auditorium. Scesa dal palco la gente mi ferma, si complimentano tutti, è un momento bellissimo.

Rosy Canale con i genitori all’ONU subito dopo lo spettacolo
Io cerco i miei vecchi. Da lontano vedo mio padre. Mi faccio spazio e li raggiungo. Piangono tutti e due. Avevano le cuffie e hanno sentito la traduzione della storia che ho letto. Poi arrivano gli amici. Angela, Laura, Consuelo, Gordon, Beatrice, Maurita e il grande direttore, Stefano Vaccara. È un momento unico. Sono a New York, dall'altra parte del mondo, alle Nazioni Unite, con i miei genitori, con nuovi amici intorno. E mi sento a casa.