Il tredici settembre scorso si è svolta, all'auditorium Santa Chiara di Trento, la commemorazione in onore di Walter Bonatti, l'alpinista e reporter scomparso due anni fa all'età di ottantuno anni.
Circa ottocento persone hanno riempito l'auditorium e hanno partecipato alla serata voluta da Rossana Podestà in memoria del compagno di una vita. Tra il pubblico tanti giovani, amici, parenti, arrampicatori, giornalisti, autorità, ma anche celebrità dell'alpinismo moderno come Simone Moro.
La commemorazione si è aperta con un bel concerto del Coro Sat di Trento, che ha dimostrato di essere al top della categoria, con trentadue coristi perfettamente in sintonia.
Il momento successivo, divertente e piacevole, ha visto il tributo musicale di Margherita Vicario, nipote della Podestà. Margherita ha cantato una propria canzone e ha poi accompagnato con la chitarra la cugina Alice, intenta a leggere un passo del libro "Montagne di una vita", sulla conquista del Gasherbrum IV. Il duetto ha regalato sorrisi al pubblico e ha dato un respiro giovane e fresco alla serata.
Al termine della performance, è stato proiettato il film W di Walter, di Rossana Podestà e Paola Nessi. Il documentario, della durata di un'ora e venti minuti, è un lungo racconto di Rossana che svela il Bonatti alpinista, esploratore, ma anche l'uomo della vita quotidiana. Indubbiamente un Bonatti diverso e inedito.
Per chi, come me, lo ha conosciuto solo dai libri e dalle interviste, un documento del genere fornisce senza ombra di dubbio una visione esaustiva sull'uomo, evidenziando anche le fasi della sua vita in cui il granitico esploratore diventava vulnerabile come un bambino, messo in ginocchio da eventi che ne troncavano la libertà personale e lo allontanavano dal suo mondo, fatto di grandi spazi e vita vera.
In particolare colpiscono le interviste realizzate al rientro dal K2 nel 1955 e dopo il licenziamento di Epoca nel 1980. Ritraggono un Bonatti depresso, che ha quasi paura di guardare il proprio interlocutore negli occhi, che sfrega le mani senza sosta. Le soluzioni a queste due fasi drammatiche della sua vita saranno il successo ottenuto in solitaria sul pilastro del Dru nel 1955, e l'incontro con Rossana Podestà nel 1980. Due veri e propri "salvataggi" in extremis, che lo hanno riportato a vedere la luce.
È comprensibile, a mio avviso, che chi faccia alpinismo e avventura a grandi livelli, avverta, nei momenti di stallo, un ritorno delle paure che ha sempre scacciato durante l'azione e venga visitato dai fantasmi del passato. Questa è una regola che evidentemente non risparmia neanche i più grandi.
Dopo un emozionante racconto dell'ultima scalata estrema della sua carriera, nel febbraio del 1965 sulla parete Nord del Cervino in solitaria, il film attraversa i quindici anni di reportage nel mondo per Epoca fino al giorno in cui, morto Arnoldo Mondadori, Bonatti viene licenziato. Giunge quindi il periodo della terza età, vissuto con Rossana, la cui voce fuori campo racconta con emozione del suo disorientamento iniziale e della lunga storia d'amore che li porterà a viaggiare in tutto il mondo, a scegliere la casa di Dubino e a vivere momenti indimenticabili con i nipoti.
È un Bonatti felice e solare, divertente e spensierato, con ancora tanti sogni, tra i quali figurano addirittura dei vulcani da scalare in Kamchatka e in alcune isole del Pacifico.
Sogni che avrebbe potuto sicuramente realizzare nonostante l'età. Il film mostra infatti uno spezzone rarissimo, in cui a sessanta anni passati, scala in libera e in scarponcini, una parete di roccia (forse di quinto grado) dell'altezza di un centinaio di metri. Un uomo di forza e resistenza fuori dal comune, indubbiamente.
Nelle battute finali del lungo documentario, entra in scena la sua morte, descritta in modo visivo da una ripresa aerea che dalla casa di Dubino porta lo spettatore a Porto Venere, dove riposa Bonatti con la sua famiglia.
Dieci minuti di applausi hanno seguito i titoli di coda. Il coro della Sat ha quindi chiuso la serata con gli ultimi brani, tra cui la "Ninna nanna".
Paola Nessi e Rossana Podestà hanno firmato insieme un lavoro molto impegnativo e delicato, fuori dal canone classico dei documentari, più identificabile forse come un personalissimo racconto fiume, indirizzato soprattutto a chi ha conosciuto Bonatti solo dai libri e ne ha amato lo stile di vita. Non capita spesso di ascoltare un racconto di una vita così, "seduti in giardino" con chi ne è stato parte.
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