Nella foto, Massimiliano Finazzer Flory con Elisa Martignoni e Gilda Gelati in “The Betrothed”
Tre arti su un unico palcoscenico per far rivivere uno dei più grandi romanzi italiani: “I Promessi Sposi”, di Alessandro Manzoni. Si presenta così – come un mix di letteratura, musica classica contemporanea e danza – “The Betrothed”, lo spettacolo diretto e interpretato da Massimiliano Finazzer Flory e che ha appena concluso la sua seconda tournée internazionale. Non si tratta, però, che di una pausa: in primavera, infatti, la performance teatrale varcherà di nuovo l’Atlantico con tappe a Miami, Chicago, Hudson, Denver, Montreal e ancora New York (il 22 marzo).
Di nuovo al Lincoln Center, dove pochi giorni fa hanno sfilato sul palco dello Stanley H. Kaplan Penthouse personaggi memorabili come Renzo e Lucia, Don Abbondio e Fra Cristoforo, l’Innominato e Don Rodrigo. Stabilendo nuove e affascinanti connessioni con il presente, dalla primavera araba a Occupy Wall Street.
Lo spettacolo nasce nell’ambito delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, essendo “I Promessi Sposi” il romanzo-specchio delle generazioni che hanno combattuto e vinto per l’Unità nazionale.
A dirigerne (e interpretarne) la rilettura è Massimiliano Finazzer Flory, autore e interprete teatrale, saggista ed editorialista, curatore di rassegne culturali sul territorio nazionale e ideatore di nuovi format in cui si intrecciano filosofia e letteratura. Il testo in inglese, invece, è dello scrittore e traduttore americano Michael F. Moore.
La performance è un esperimento audace e azzeccato: sul palco l’attore presta la sua voce (o meglio, le sue voci) a tutti i personaggi del Manzoni, interpretandone virtù e debolezze, dubbi e paure. Ad accompagnarlo in questa impresa titanica sono due muse di altre arti: Elisa Martignoni, violinista dell’Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi di Milano, e Gilda Gelati, prima ballerina del Teatro La Scala. Se la seconda regala a “The Betrothed” una colonna sonora straordinaria (fatta di musiche di Giuseppe Verdi, Pietro Mascagni, Vincenzo Bellini, Niccolò Paganini, Luciano Boerio e Nino Rota), la seconda ne interpreta le emozioni attraverso la danza, prestando l’espressività del suo volto e delle sue movenze al personaggio forse più penetrante di tutto il romanzo: Lucia.
“Lo spettacolo ruota attorno alla riunione delle arti”, ha spiegato ad America Oggi Finazzer Flory. “Viviamo in un’epoca in cui tutto è mediato dai software, anche la cultura.
Corriamo il rischio di dimenticare i contenuti,la memoria, l’immaginazione”.
Di qui l’opportunità – se non l’urgenza – di riportare in scena uno dei più solidi capolavori italiani. “Il Manzoni si muove sullo sfondo del 1818, ma è in grado di parlare anche all’Italia e all’America di oggi”, ha continuato l’autore.
“Farlo rivivere vuol dire omaggiare la memoria e la storia da cui tutti noi occidentali proveniamo. Lo spettacolo non offre nessuna lettura ideologica, anzi. Ciascun personaggio è in scena con i suoi dubbi e le sue perplessità, le sue speranze e le sue aspettative. Un po’ come ognuno di noi nella vita reale”.
Un’altra particolarità della performance consiste nella sua impostazione quasi shakespeariana. “I personaggi non sono protagonisti,ma sfilano, proprio come in un dramma diShakespeare”, ha spiegato Finazzer Flory.
Manzoni stava leggendo il Macbeth mentre scriveva i Promessi Sposi. Per questo il suo romanzo si colloca al crocevia tra il dubbio amletico shakespeariano e l’inquietudine dell ‘io che è tipica di Dostoevsky”.
Secondo l’autore e interprete, “ogni capitolo parla del nostro tempo”. Un esempio è quello dedicato alla rivolta del pane. “Come non vedere in quell’episodio le rivolte di oggi? quelle della conoscenza e degli studenti, ma anche le istanze della primavera araba e degli indignati contro Wall Street?”.
La stessa cosa vale per l’“Addio ai monti”, o struggente passo in cui Lucia saluta la sua terra, come in tanti sono costretti a fare oggi nella speranza di trovare un futuro migliore.
Tutti nella vita abbiamo dovuto lasciare qualcosa: un amore, un luogo, un familiare. Nelle parole di Lucia è racchiusa tutta la dignità di quel dolore”.
A questo si accompagna l’idea della migrazione e del teatro itinerante come forma di resistenza.
“Il teatro è l’impresa culturale che meglio riesce a rispondere alla crisi dell’economia”, ha detto Finazzer Flory. “Lavoriamo con il corpo, con il tempo, siamo degli artigiani dell’anima. Il nostro compito è quello di offrire un prodotto che faccia pensare la gente. La crisi è nata da un’economia sempre di corsa, incapace di sognare, ripiegata in un presente assoluto. La cultura, da questo punto di vista, può essere la cura migliore del nostro tempo.
Perché l’arte è un modo per resistere all’approssimazione, alla superficialità e all’indifferenza”.
Cosa dire, allora, della nostra Italia, che di cure sembra averne un grande bisogno?
“Oggi chi ama veramente l’Italia sono tutti gli italiani all’estero”, ha affermato l’attore. “Tutti quelli che ogni giorno dimostrano nei fatti che l’Italia è migliore di quello che si dice. Dobbiamo tornare a essere ambiziosi e vedere il nostro Paese nel mondo. Solo così riusciremo a unire il passato a un futuro ideale di cui l’Italia migliore è assolutamente capace”.