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June 21, 2022
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Speranza Scappucci debutta al MET a novembre con Rigoletto

Per la direttrice d'orchestra, che ha studiato a New York, un sogno che si realizza

Alma TorrettabyAlma Torretta
Speranza Scappucci debutta al MET a novembre con Rigoletto

Speranza Scappucci (ph: Ian Ehm)

Time: 5 mins read

Prima donna italiana a dirigere un’opera a Vienna e quest’anno alla Scala, Speranza Scappucci, richiesta ormai in tutto il mondo, farà il suo debutto al MET il prossimo novembre con Rigoletto. Un sogno che si avvera per la direttrice d’orchestra romana che, dopo essersi diplomata al Conservatorio Santa Cecilia di Roma, ha approfondito i suoi studi a New York presso la Juilliard School.

L’abbiamo incontrata in Belgio, a Liegi, dove sta concludendo il suo mandato di cinque anni come direttore musicale stabile dirigendo un altro titolo di Verdi, il Simon Boccanegra.

 

Maestro Scappucci, il suo prossimo debutto al MET le è particolarmente caro, come mai?

Nel ‘93 mi sono diplomata in pianoforte a Santa Cecilia ed avevo il sogno di andare negli Stati Uniti, cosi sfidai me stessa e decisi di fare un’audizione per la Juilliard School. Andai con mia sorella Gioia, più grande di me, che studiava Scienze Politiche e stava scrivendo la sua tesi sui diritti umani delle minoranze e doveva consultare dei documenti all’ONU. Sono stata presa, ed ho trascorso tantissimi anni a New York studiando alla Juilliard pianoforte, musica da camera e liederistica, ho scoperto che mi piaceva il mondo dell’opera e quindi mi sono specializzata, sempre alla Juilliard, in accompagnamento per cantanti per diventare maestro collaboratore. Sempre a New York ho avuto le mie prime esperienze lavorative, sono stata presa dal New York City Opera, come coach e assistant conductor. E poi ho lavorato a Chicago, Los Angeles, Washington, e ho iniziato a collaborare  con alcuni teatri europei a cominciare da Vienna. Poi l’incontro con il maestro Riccardo Muti, sono diventata la sua pianista fissa per otto anni. Ma New York è rimasta sempre la mia seconda casa, tra il 2007 e il 2011 ho lavorato anche al Metropolitan come pianista per una o due opera all’anno. E quando è iniziata la mia carriera come direttrice d’orchestra il sogno era proprio quello di arrivare al Metropolitan: nel 2021 avrei dovuto fare il mio debutto con la Traviata che purtroppo è saltata a causa della pandemia, per fortuna in calendario avevamo anche questo Rigoletto nel 2022. Quando ero alla Juilliard mi facevo dare i biglietti per gli studenti ed andavo al MET in piccionaia una sera si e una no, ho sentito Cecilia Bartoli nel suo debutto  nel Così fan tutte, Pavarotti cantare la sua ultima Aida, la Tosca con la Dimitrova, quindi adesso la mia gioia è immensa.

Come è avvenuto il suo passaggio da pianista a direttrice d’orchestra?

È stato uno sviluppo naturale, il lavoro dietro le quinte come pianista d’opera ti fa diventare in effetti una specie di assistente, di braccio destro, del direttore d’orchestra. Io qui a Liegi, ad esempio, ho due assistenti pianisti, fantastici, che prima di ogni recita vengono da me e gli do le istruzioni per i cantanti. Se dentro di te senti la necessità di essere tu stesso artefice del prodotto finale, di esprimere attraverso la tua direzione le tue idee musicali, è naturale che passi alla direzione. Inoltre il pianoforte è lo strumento più completo e tu suoni la parte dell’orchestra, io in dodici anni come maestro collaboratore, in vari teatri e con Muti,  ho già suonato tantissime opere al pianoforte e ho già quindi sviluppato una conoscenza molto profonda di molte partiture.

Speranza Scappucci (ph: Ian Ehm)

Qual è il tuo approccio con la partitura e i diversi compositori?

I tantissimi studi, lavorare con un grande come Muti, mi hanno dato le chiavi per interpretare certi compositori, ma io ho sempre avuto dentro di me innanzitutto un grande rispetto per quanto scritto. Il mio approccio è  di cercare di capire il perché, perché c’è un accento su una particolare nota e non su un’altra, è un lavoro di scavo, che nell’opera è più facile perché c’è la parola scritta, c’è il testo, se un accordo è scritto pianissimo piuttosto che fortissimo la ragione di solito è legata a quello che viene detto. Io cerco sempre di partire dal comprendere la drammaturgia musicale. E quando conosciamo la lingua del libretto è più facile, se non la parliamo dobbiamo studiarla, come ho fatto io per due anni con il russo per dirigere Eugenio Oneghin qui a Liegi. Mi piace pormi delle sfide, non dirigo solo l’opera italiana, mi piace aprirmi ad altre esperienze, poi è chiaro che nel processo scopri che sei più portato per una cosa piuttosto che un’altra, ma se non ci provi non lo saprai mai.

Non solo opera, dirige anche musica contemporanea?

Io dirigo anche molta musica sinfonica e ultimamente ho cercato di includere nei miei programmi anche pezzi di sinfonica contemporanea.  A Genova, al Teatro Carlo Felice, ad esempio, un mese fa ho diretto la prima italiana ed europea di un pezzo  molto bello scritto da Paola Prestini che è compositrice e direttrice artistica del Sawdust Theater a Brooklyn. Abbiamo studiato insieme alla Juilliard, abitavamo in due appartamenti uno sopra l’altro, i tragici momenti dell’11 settembre li abbiamo vissuto insieme, ci lega quindi anche una grande amicizia ed è bello per me adesso dirigere la sua musica. E mi piacerebbe anche dirigere dell’opera contemporanea, perché ci sono tanti talenti che meritano.

Sta concludendo il suo incarico a Liegi come direttore musicale stabile, in cosa l’ha arricchita questo ruolo.

Innanzitutto devo dire che il mio debutto ufficiale come direttrice d’orchestra è stato nel 2014 al Festival di Macerata con la Traviata (anche se avevo già diretto nel 2012 Così fan tutte di Mozart all’Università di Yale)  e solo tre anni dopo, nel 2017, ho avuto questa opportunità in un teatro importante come quello di Liegi offertomi dall’allora suo direttore generale Stefano Mazzonis.  Era la prima volta che avevo un incarico del genere ed ho imparato tantissime cose, di me stessa come persona, e come musicista, perché avere la propria orchestra ed il proprio coro ti da l’opportunità di costruire un percorso di crescita comune. Ho debuttato tanti titoli qui – la mia prima Butterfly, la mia prima Carmen, la mia prima Aida – tutto il tuo sapere lo metti a disposizione dell’orchestra e del coro ma allo stesso tempo impari anche da loro che magari quell’opera l’hanno già suonata. Ho imparato tanto anche dal punto di vista amministrativo, ci sono le audizioni, bisogna pensare la futuro dell’orchestra. Poi è chiaro che in un rapporto lungo ci sono momenti belli e altri più difficili, come in tutte le relazioni, impari quindi anche tanto sul tuo carattere e su come gestire le cose.

È da sempre molto sensibile alla divulgazione musicale, ed è  sempre molto chiara nelle spiegazioni, come dimostra da ultimo la sua partecipazione alla trasmissione La gioia della musica su RAI 3, disponibile su RaiPlay.

Ancora io non ho insegnato, ma il mio modo di parlare all’orchestra d’interpretazione è di spiegare sempre i motivi per cui scelgo di fare una cosa in un certo modo piuttosto che in un’altra, ed ho scoperto di avere quest’attitudine di chiarezza. Io credo che, non solo con i musicisti che conoscono la musica, ma anche con chi non conosce la musica, sia importante rendere le cose semplici e attrarre tutti alla musica. Perché se tu hai la musica nella tua vita, anche se non l’hai studiata, è un arricchimento per lo spirito.

Speranza Scappucci (ph: Ian Ehm)

Cosa nei pensa delle regie contemporanee?

Secondo me bisogna attualizzare l’opera in modo che abbia un significato per l’uomo di oggi, ma  questo non vuol dire stravolgere la storia o mettere  le persone in jeans piuttosto che con il costume tradizionale, il punto è che le regie dovrebbero essere intelligenti nel lanciare i messaggi che questi grandi compositori avevano per l’umanità del loro tempo ma che hanno significato anche oggi perché un Verdi che ti parla, ad esempio, dell’amore di un padre per la figlia è un tema universale. Il punto è il modo in cui lanciare oggi questi messaggi. Io sono quindi sia per le regie moderne che classiche, ma intelligenti e fatte bene. E soprattutto è importante non andare contro la musica.

Per concludere, come sarà il suo Rigoletto al MET e quale il prossimo sogno da realizzare?

Questo Rigoletto non è una nuova produzione e quindi non avrò tantissime prove, quindi il mio spirito sarà di fare il massimo con un’orchestra e un coro che sono tra i migliori al mondo, con due cast di cantanti strepitosi, soprattutto di essere al servizio di Verdi, del compositore, come sempre faccio, non è questione di mettere in mostra me stessa. Ho già realizzato tanti miei sogni, adesso mi piacerebbe anche fare un grande concerto, magari all’aperto, su una grande piazza, di solidarietà, per i migranti, per la pace, coinvolgendo tutti quelli che possono fare qualcosa. Poi dirigere anche Otello e Falstaff. E un giorno il Concerto di Capodanno a Vienna, che nessuna donna ha diretto finora, e quello della Fenice in Italia, perché sono italiana.

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Alma Torretta

Alma Torretta

Palermitana, giornalista professionista, prima trasferita a Roma e ormai da sette anni a Bruxelles, con tre passioni nel cuore: opera, vino e vela d'altura.

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