Jon Batiste è il primo artista afroamericano dal 2008 a vincere il Grammy più ambito, quello dedicato al migliore disco dell’anno, We Are. Anche quattordici anni fa era stata una vittoria all’insegna della tradizione della musica black. In quel caso era toccato al guru del jazz Herbie Hancock e il trentacinquenne pianista di Metaire, Louisiana, non può che sperare di diventare anche lui un’icona del jazz e della musica d’autore dopo il meritato Oscar per la soundtrack del lungometraggio Pixar “Soul”, in compartecipazione con Trent Reznor dei Nine Inch Nails e Atticus Ross e premiata anche a questi Grammys alla categoria “Best Score Soundtrack for Visual Media”.
Batiste, nonostante la sua proposta musicale rétro e adulta, era partito da favorito con undici nomination pur conquistando altri 3 premi: “Best American roots performance” e “Best American roots songs” con “Cry”, e “Best Music Video”, quello di “Freedom”, traccia struggente che ha proposto dal vivo alla MGM Grand Garden Arena in occasione di una cerimonia presentata da Trevor Neah che è sembrata molto più che in passato un lungo festival incentrato sulla canzone più che uno show intervallato da premiazioni.
Durante la serata dell’anno più importante per chi vive di musica, ha anche dominato l’appello video-registrato da Volodymyr Zelensky: il presidente ucraino, snobbato domenica scorsa dagli Oscar, ha chiesto ai fan della musica in America di usare i social media per “dire la verità sulla guerra” e di sostenere la causa dell’Ucraina “in ogni modo possibile, ma non col silenzio”.
La musica sembra tornata al centro dei Grammy nell’edizione dell’atteso ritorno alla normalità dopo due anni segnati dalla pandemia.
Non a caso a trionfare insieme a Batiste sono stati due performer istrionici, nonché pregevoli polistrumentisti d’altri tempi, come Bruno Mars e Anderson .Paak grazie a Silk Sonic, un progetto per certi aspetti molto classico, patinato e manierista, ma che è riuscito a conquistare trasversalmente pubblico e critica con un’hit inarrestabile quale “Leave the Door Open” premiata come Record of the Year, Song of the Year. Best R&B Song, Best R&B Performance (a pari merito con Jazmine Sullivan).
L’hip hop, autentico protagonista dell’Half Time Show dell’ultimo Super Bowl, è stato ancora una volta relegato in una posizione defilata rispetto ad altri generi musicali. Tra le esibizioni, NAS è stato costretto a comprimere in tre minuti e poco più un medley di quattro classici del suo repertorio, mentre John Legend ha ripescato “Free” duettando con le artiste ucraine Mika Newton e Lyuba Yakimchuk dopo il videomessaggio del presidente Zelensky che verrà ricordato per la toccante frase «Riempite il silenzio della morte con la musica».
Erano già state preannunciate le assenze di Drake, ritiratosi dalla competizione senza motivazioni ufficiali, e di Kanye West, per scelta questa dell’organizzazione che ha voluto punire il suo cyberbullismo nei riguardi di Pete Davidson, attuale partner dell’ex moglie Kim Kardashian, e altri comportamenti controversi di Ye, comunque vincitore di due Grammys grazie alle tracce di “DONDA” “Jail” feat. Jay Z (“Best Rap Song”) e “Hurricane” feat. The Weeknd e Lil Baby (“Best Melodic Rap Performance”).
L’annuncio della vittoria di Tyler, The Creator alla categoria miglior album rap con “Call Me If You Get Lost” è stato inserito nella scaletta del pre-show, mentre solo il meno famoso dei due vincitori della categoria Best Rap Performance” per il brano “Family Ties”, Baby Keem è salito sul palco ad accettare il Grammy. L’illustre cugino Kendrick Lamar del nuovo fenomeno rap che vi abbiamo presentato qualche mese fa qui, non era nemmeno presenti in sala.
Era presente almeno lei, H.E.R. che con il toccante inno all’emancipazione black Fight For You, già Oscar e colonna sonora di Judas and the Black Messiah di Shaka King, ha bissato il successo dello scorso anno all’Academy, con una statuetta alla categoria “Best Traditional R&B Performance” e ha messo ancora una volta il mostra il suo talento esibendosi con la sua “Damage”, “We Made It” e una cover di “Are You Gonna Go My Way” di Lenny Kravitz che l’ha affiancata sul palco insieme a Travis Barker dei Blink 182.
Tra le popstar sono tornati da Las Vegas a mani vuote Billie Eilish (sette nomination), Justin Bieber (otto nomination) e Lil Nas X (cinque nomination). Hanno potuto gioire soltanto Doja Cat e SZA (grazie a “Kiss Me More vincitrice alla categoria “Best Pop Duo/Group Performance) e Olivia Rodrigo premiata come migliore nuova artista, per la migliore Pop Solo Performance grazie alla hit planetaria “Drivers Licence” e per il “Best Vocal Pop Album”, il celebratissimo Sour.
Tra le nuove categorie, da segnalare la vittoria di Arooj Aftab, artista sperimentale di Brooklyn di origini pakistane premiata grazie alla splendida traccia Mohabbat come Best Global Music Performance e quella della superstar portoricana Bad Bunny, miglior album di “Musica Urbana” con El Último Tour Del Mundo
La serata è segnata inevitabilmente dal lutto per la recente scomparsa di Taylor Hawkins dei Foo Fighters, vincitori di tre Grammys nella categorie rock, e celebrato da un videotributo sulle note di “My Hero”.
Mentre tra le parole pronunciate dagli artisti sul palco sicuramente hanno lasciato il segno quelle di Jon Batiste: “Credo nel profondo che non esista un miglior musicista, un miglior artista, un miglior ballerino o un migliore attore. Le arti creative sono soggettive e raggiungono le persone in un momento delle loro vite in cui ne hanno bisogno”.
Il video integrale della cerimonia con tutte le premiazioni e le esibizioni live è già disponibile su Youtube: